NESSUNO TOCCHI CAINO - DALLA IMPICCAGIONE A UN ALBERO ALLA FUCILAZIONE TELECOMANDATA: LA STORIA DELL’'EVOLUZIONE' DELLA PENA DI MORTE IN AMERICA
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 32 - 20-09-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA DALLA IMPICCAGIONE A UN ALBERO ALLA FUCILAZIONE TELECOMANDATA: LA STORIA DELL’'EVOLUZIONE' DELLA PENA DI MORTE IN AMERICA NEWS FLASH 1. BIBBIA E FUCILE, OCCHIO PER OCCHIO: BENVENUTI IN AMERICA 2. LE NOSTRE PRIGIONI. STORIE DI PENA E SPERANZA 3. FLORIDA (USA): GIUSTIZIATO DAVID PITTMAN 4. AFGHANISTAN: 22 PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO DAI TALEBANI I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA TAVIANO: 20 SETTEMBRE ASSEMBLEA PUBBLICA DALLA IMPICCAGIONE A UN ALBERO ALLA FUCILAZIONE TELECOMANDATA: LA STORIA DELL’'EVOLUZIONE' DELLA PENA DI MORTE IN AMERICA Valerio Fioravanti Gli statunitensi hanno iniziato a uccidere “statalmente” utilizzando l’impiccagione. Come abbiamo visto nei film western, quando erano gli sceriffi a organizzare le esecuzioni usavano il sistema del patibolo con la botola, un ottimo sistema, se così si può dire, perché se calcolata correttamente la lunghezza della corda, l’impiccato non moriva lentamente per soffocamento, ma velocemente, per rottura del cosiddetto “osso del collo”, ossia la seconda vertebra cervicale, o C2. Erano abbastanza “civili” anche con le esecuzioni sommarie, quelle improvvisate passando una corda sul ramo di un albero, e facendo cadere l’impiccando da un cavallo. Anche il cosiddetto “linciaggio” era di solito una impiccagione, ma più simile al sistema ancora in uso oggi in nazioni particolari, come l’Iran, dove l’impiccato, che ha i piedi posati a terra, viene sollevato a forza di braccia con il collo stretto nel cappio. Qui la morte è decisamente lenta. Nel 1890 fu effettuala la prima elettrocuzione. In italiano usiamo il termine “sedia elettrica”, e non tutti sanno che il prototipo venne sviluppato da Thomas Alva Edison. La corrente funzionava, ma non era disponibile ovunque, e non sempre con la necessaria potenza. Questo portò, nel 1924, a inaugurare (su un cinese) il sistema della camera a gas. L’acido cianidrico, ottenuto facendo cadere una compressa di cianuro di sodio in un barattolo di acido solforico, non sempre si sviluppava e saliva verso l’alto in maniera adeguata, e si verificarono diversi malfunzionamenti, ossia esecuzioni lente. Quindi venne rispolverata la fucilazione, mai caduta del tutto in disuso, ma a lungo riservata ai militari, nel senso che l’impiccagione era per i delinquenti comuni, la fucilazione per chi commetteva reati vestendo una divisa, intendendo che la morte per fucilazione era più dignitosa di quella per impiccagione (salvo la fucilazione alle spalle per i traditori). Nel 1977 nello Utah (lo stato a preponderante presenza di Mormoni, che in teoria dovrebbero essere pacifisti integrali) fu effettuata la prima fucilazione dell’epoca moderna. Vittima ne fu Gary Gilmore, e fu raccontata magistralmente da Norman Mailer, che con “The Executioner's Song” (la canzone del boia) del 1979 vinse il Premio Pulitzer. Poi, e siamo ai tempi nostri, nel 1982 si pensò che le convulsioni della camera a gas e della sedia elettrica, e la sanguinosità di quattro colpi di fucile al petto (i famosi 5 tiratori uno dei quali con la cartuccia a salve) potessero essere sussunti in un nuovo metodo, la “iniezione letale”: una potente dose di calmante, un paralizzante muscolare e un veleno cardiaco. Da allora 1.449 persone (1.433 uomini, 16 donne) sono state uccise con questo sistema, meno scomposto dei precedenti, ma non immune da errori e malfunzionamenti: aghi inseriti male, farmaci letali scaduti e quindi di ridotta efficacia, rottura di vene e incidenti vari. In America le chiamano “botched executions”, esecuzioni raffazzonate, e si stima siano state circa 70. Poi le ditte farmaceutiche, dopo un lungo periodo in cui pretendevano di non poter seguire il percorso di tutti i loro farmaci venduti, hanno iniziato a porre delle restrizioni, e da circa 15 anni è diventato molto difficile per le carceri acquistare farmaci letali. Quindi alcuni stati hanno pensato di tornare ai vecchi sistemi, seppure con qualche piccola miglioria: è stata rispolverata la camera a gas, ma non più con il cianuro bensì con l’azoto, che nel sangue del condannato va a rimpiazzare tutte le molecole di ossigeno (6 esecuzioni tra il 2024 e il 2025). Anche la sedia elettrica è stata reintrodotta (20 esecuzioni dal 2000 a oggi), e 2 fucilazioni nel 2025. La seconda delle quali, incredibile ma vero, ha visto gli agenti che si erano offerti come volontari (retribuiti) mancare il bersaglio nonostante puntassero i fucili da meno di 4 metri. Stress, ansia, paura, ripensamenti dell’ultimo secondo? Sta di fatto che ora stanno pensando di sostituire i tiratori umani con dei congegni meccanici. Ognuno dice la sua: chi pensa a semplici morse da fabbro con cui bloccare i fucili e grilletti collegati a un telecomando, e chi pensa a mirini elettronici che puntino alla perfezione un microchip fissato sul cuore del condannato, e chi immagina (ma da un punto di vista tecnico sarebbe, oggi, effettivamente facile da realizzare) ad armi poggiate su cavalletti, e completamente automatizzate. Come avrebbe detto Mailer, se i boia cominciano a esitare, e stonano la loro canzone, ci sono però gli apprendisti stregoni, i politici, che continuano a farsi venire idee su come ammazzare i propri simili. Non la faranno, ma ci vorrebbe una legge che mandasse i politici, certi politici, in prima persona a premere il grilletto, tradizionale o telecomandato che sia. Sarebbe interessante vedere quante elezioni vincono. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH BIBBIA E FUCILE, OCCHIO PER OCCHIO: BENVENUTI IN AMERICA Sergio D’Elia su l’Unità del 16 settembre 2025 È una storia tipicamente americana che affonda le radici negli usi e costumi originari della giovane Nazione: la Bibbia e il fucile, lo sceriffo e il fuorilegge, l’occhio per occhio, la forca e il linciaggio. Il piano narrativo, come in un film, è già disegnato. Tyler Robinson, un ragazzo di appena vent’anni, di buona famiglia ma senza arte né parte, se ne va in giro armato e a piede libero. Con un fucile da caccia spara un colpo secco e preciso e uccide un ragazzo di appena trent’anni, Charlie Kirk, osservante dei Dieci Comandamenti del Vangelo e del Secondo Emendamento della Costituzione americana. Amava il Signore sulla Croce, «la risposta di Dio al male» predicava, e venerava il sacro diritto costituzionale americano alle armi libere per difendersi dal male. È stato colpito dal giovane cacciatore proprio mentre parlava di fucili e armi da fuoco negli Stati Uniti. Il fatto da cui inizia la storia è avvenuto in Utah e non avrà un lieto fine. La storia finirà come è iniziata, in nome di Dio e a colpi di fucile. Lo Stato dei Mormoni usa sia l’iniezione letale che la fucilazione. La parabola non sarà felice; in un modo o nell’altro, sarà implacabile, paradossale o speculare. In risposta al male compiuto, l’assassino forse sarà messo in croce, sul lettino letale che tale pare, con le braccia aperte e le gambe inchiodate. Oppure, più probabile, il fucile che ha ucciso Kirk ucciderà il suo assassino. Poco prima di morire, racconta un testimone, Kirk aveva proclamato con fervore al suo pubblico che «Cristo è il Signore» e che il Figlio di Dio aveva «vinto la morte». Nel braccio della morte dello Utah, lo Stato si crederà il Signore, ma non vincerà la morte, la imporrà. Non sarà un Dio misericordioso quello che regnerà nei prossimi tempi sulla terra promessa dei Mormoni, ma un Dio spietato. Nella camera della morte di Salt Lake City, sul monito salvifico della Genesi “nessuno tocchi Caino” prevarrà la regola mortifera del Levitico “occhio per occhio, dente per dente”. Se lo Stato non riuscirà a ottenere le sostanze letali, la legge consente l’uso di un plotone di esecuzione. L’ultima è avvenuta un anno fa tramite fucilazione. La prossima sarà quella di Tyler Robinson, il ragazzo col fucile che ha sparato a Charlie Kirk, l’uomo amante della Bibbia e del fucile. C’è una sala d’attesa accanto a quella della morte, col pavimento grigio e una panca di cemento armato, il gabinetto e il lavandino di acciaio inossidabile fissati al muro. Lì, puoi pregare il Signore che vince sulla morte. Contro Gesù Cristo, la morte arriverà nella stanza dopo, e sarà più veloce e più violenta dell’iniezione letale. Nella camera della morte troneggia un tetro macchinario. Una sedia nera di ferro avvolta da cinque fibbie di cuoio, una per fermare la testa, due per bloccare il tronco, due per serrare le caviglie. Al giovane Tyler metteranno un cappuccio nero sul capo e cucito sul petto un bersaglio bianco con il centro rosso. Una tenda scura proteggerà il plotone di esecuzione. I tiratori volontari del sistema carcerario non si vedranno ma saranno pronti a sparare dietro due feritoie buie di fronte al trono illuminato della morte. Lo schiocco dei fucili che colpirà Tyler sarà secco e improvviso come quello che ha colpito Charlie. Il corpo sobbalzerà due, tre volte. Il bersaglio sul petto scomparirà all’istante. Al suo posto comparirà una macchia rossa di sangue. Un medico votato dal giuramento d’Ippocrate a salvare vite, ne certificherà la morte. Benvenuti nello Utah, la terra dei Mormoni, della promessa tradita. Benvenuti in America, la terra ferma alla Bibbia e al fucile. Per tre secoli, l’una ha ispirato l’idea di giustizia, l’altro ha diffuso la sensazione di sicurezza. Oggi, l’antico testo e l’arma da fuoco, sono divenute, ad un tempo, legge penale e strumento di esecuzione. Nel Sud della Nazione, nella “striscia della Bibbia”, che coincide con quella della pena di morte, la regola terribile della prima parte della storia raramente ha conosciuto eccezioni. Ora, quella realtà maligna rischia di estendersi anche al Nord e all’Ovest del Paese. Fino al piccolo stato messianico dello Utah dove la pena capitale è stata una pratica rara, dove nel braccio della morte sono detenute solo quattro persone. Al bravo ragazzo credente nel Signore che vince sulla morte, non è stato raccontato il lieto fine della seconda parte della storia, la buona novella del “non giudicare” e, soprattutto, del “non uccidere” . “Chi ha ucciso deve essere ucciso”, pene di morte e pene fino alla morte, non hanno fatto diminuire i reati. “Un cittadino, un’arma”, la libera circolazione delle armi da fuoco, ha minato l’ordine e la sicurezza negli Stati Uniti. La società “legge e ordine”, la Bibbia e il fucile, invece di riparare gli americani da ogni pericolo, per tragico paradosso, hanno prodotto la realtà dei delitti di sangue che in America avvengono con frequenza maggiore rispetto al resto del mondo. È la maledizione dei mezzi che prefigurano i fini. Perché sul viatico manicheo della lotta tra il bene e il male, a furia di armi da fuoco e pene capitali, anche uno Stato democratico può generare Caini e diventare esso stesso Caino! Se vogliamo dirci, non dico cristiani, ma semplicemente un po’ più umani e civili, occorre cambiare registro. Vivere nel modo e nel senso in cui vogliamo che vadano le cose. Pensare, sentire e agire in modo radicalmente nonviolento. Al contrario, la logica am ico/nemico, di azione e reazione per cui al male si risponde con il male, alla violenza privata con la violenza di stato, al fucile col fucile, è un modo di fare che genera mostri e fatti orribili, punizioni crudeli e inusuali come quelli già accaduti e altri che si annunciano nello Utah. In questi giorni ricorre il trentennale di un’altra storia che merita di essere ricordata. È una storia di violenza ma anche di resurrezione. Assomiglia a quella degli Stati Uniti, ma non è durata secoli e ha avuto un lieto fine. In Sudafrica, come negli Stati Uniti, l’uso della pena di morte è stata il prodotto della schiavitù, della violenza razziale e del linciaggio. Per molti anni, il Sudafrica è stato un leader mondiale nel numero di esecuzioni capitali. Più di mille persone sono state impiccate tra il 1981 e il 1990, con l’ultima esecuzione avvenuta nel novembre 1989. Il 95% delle persone condannate a morte durante l’apartheid erano nere, mentre tutti coloro che emettevano la sentenza erano bianchi. Quasi la metà delle persone nere giustiziate era stata condannata per l’omicidio di vittime bianche, mentre nessuna delle 31 persone bianche con vittime nere è stata giustiziata. Ma era l’era dell’apartheid. Più di trent’anni fa. L’America di oggi, invece, continua ancora a mostrare un pregiudizio nei confronti delle vittime bianche e dei carnefici neri. Dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica, nel 1993 fu emanata una costituzione provvisoria, che includeva una carta dei diritti. I negoziati costituzionali non affrontarono la questione della pena di morte, affidando l’esame di costituzionalità ai tribunali. La Corte Costituzionale del Sudafrica fu istituita nel febbraio 1995, circa cinque anni dopo l’annuncio di una moratoria sulle esecuzioni. Nel giro di pochi mesi, la neonata Corte suprema emise una sentenza storica che aboliva la pena capitale e dava priorità ai diritti costituzionali fondamentali alla vita e alla dignità. La cancellazione dell’ultima traccia del passato coloniale cambiò il corso della storia, segnò l’inizio di una nuova era dei diritti umani in una terra che aveva conosciuto immani violenze, crimini atroci contro l’umanità. Ma il capolavoro di vera giustizia fu compiuto poco più avanti nello stesso anno, quando per sanare le ferite del passato e ristorare le vittime dell’apartheid, non furono istituiti tribunali penali, ma una “Commissione per la Verità e la Riconciliazione”. La verità per onorare la memoria delle vittime, la riconciliazione per salvaguardare il futuro del Paese. La risposta ai crimini più gravi si ispirava alla cultura tradizionale Ubuntu, una parola che può essere tradotta come “umanità attraverso gli altri” o “benevolenza verso il prossimo”, una visione della giustizia centrata sulla nonviolenza e la riparazione. Il Sud dell’Africa, con una filosofia sconosciuta nel mondo “civile”, ha sconfitto la pratica della violenza e della forca che erano state portate nel continente nero dai coloni bianchi del continente europeo. Nel sud della grande America, invece, il tempo si è fermato al tempo della Bibbia e del fucile. Occhio per occhio, colpo su colpo, pallottol a per pallottola. LE NOSTRE PRIGIONI. STORIE DI PENA E SPERANZA Gianluca Liut* Un teatro necessario, un atto civile, un incontro di voci e coscienze. “Le nostre prigioni. Storie di pena e speranza” è il recital che porta in scena, con pudore e lucidità, la vita invisibile che pulsa oltre le sbarre. Un viaggio nelle ombre e nelle luci del nostro Paese dietro le sbarre, dove la pena diventa racconto, la sofferenza si fa memoria, la speranza prende la forma concreta di sguardi, gesti, lacrime, parole. Protagonisti in scena Emanuele Montagna, Asia Galeotti e Martina Valentini Marinaz di CFA Colli Formazione Attori di Bologna, su testo di Dino Petralia, già a capo del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria. Cinque storie, tre interpreti e un autore per un affresco corale che attraversa l’umanità del carcere senza indulgere al sensazionalismo, cercando la verità minuta e quotidiana delle esistenze. In questa misura giusta il teatro civile compie la sua funzione di giustizia. Non assolvere, non convincere, ma mettere in condizione di vedere megl io. E, vedendo meglio, di comprendere. Il debutto è doppio e simbolico: anteprima nazionale a Padova, il 25 settembre, al Teatro Ai Colli; prima nazionale a Bologna, il 2 ottobre, al Teatro Dehon. Due città, due comunità, un solo filo che unisce la responsabilità di guardare dove di solito si distoglie lo sguardo. Il recital offre al pubblico una serata di teatro, che è anche un tempo condiviso di ascolto. Il tempo che manca a chi è chiuso, il tempo che manca a chi resta fuori. La scrittura di Dino Petralia è netta e compassionevole insieme. Asciutta nella lingua, attenta ai fatti, capace di restituire la densità morale delle storie. Il testo intreccia frammenti di vite – di donne e di uomini, di genitori e di figli, di operatori e volontari – componendo un mosaico dove ogni tessera trova il proprio posto grazie a una drammaturgia che alterna persone e comunità, confessione e coralità, cronaca e poesia, italiano e dialetti. Il friulano, il romagnolo, il napoletano, il barese e il siciliano, nei dialoghi, esprimono la dimensione nazionale delle storie di pena e di speranza. In scena, le tre voci si fanno strumento di un’unica coscienza in ascolto. Emanuele Montagna costruisce la spina dorsale narrativa, guidando lo spettatore dentro i nodi della pena, della colpa, della riparazione possibile, ma anche della rassegnazione e della rinuncia alla vita. Asia Galeotti e Martina Valentini Marinaz danno corpo alle fratture, componenti che si spezzano e si ricompongono, restituendo la fragilità e la forza di chi abita il limite. Un intreccio che evoca con sensibilità, senza mai arretrare dal rigore della parola. “Le nostre prigioni” è parola e silenzio. Perché è nel silenzio che spesso il carcere parla più forte. Nelle attese, nelle visite, nei corridoi, nelle notti. Il teatro, qui, non imita. Traduce, trasfigura e restituisce. E il pubblico diventa parte di un patto. Quello di non dimenticare. “Le nostre prigioni” è pensato per la cittadinanza tutta, per chi vive il carcere da dentro e per chi lo incrocia soltanto nei talk show e nei giornali. È un invito ad attraversare l’idea stessa di pena, a misurarla con la dignità, a chiederci quale comunità vogliamo essere. Padova e Bologna diventano luoghi di un rito laico. Il teatro come laboratorio di umanità. L’anteprima al Teatro ai Colli, il 25 settembre, è la prima occasione per conoscere queste cinque storie di pena e di speranza, come cura dello spazio pubblico dell’ascolto. La prima nazionale al Teatro Dehon, il 2 ottobre, consegna lo spettacolo alla sua piena maturità, aprendo la strada a un percorso di repliche e dialoghi con i territori. “Le nostre prigioni” non è uno spettacolo “sul” carcere. È un’opera “con” il carcere, con chi lo vive e lo attraversa, con chi ci lavora, con chi attende fuori. Una pratica di prossimità che il teatro rende possibile, creando una distanza giusta per vedere meglio e, allo stesso tempo, un’intimità che permette di riconoscersi. Perché le nostre prigioni, davvero, sono nostre. Parlano di noi, della misura con cui sappiamo coniugare giustizia e umanità. Una lungimirante produzione dell’Ordine degli Avvocati e della Camera Penale di Padova, con il patrocino di Nessuno Tocchi Caino Spes contra Spem. Segnatevi le date: 25 settembre, Padova, Teatro ai Colli; 2 ottobre, Bologna, Teatro Dehon. “Le nostre prigioni. Storie di pena e speranza” vi attende. Dove l’arte incontra la responsabilità, per trasformare l’ascolto in consapevolezza, la consapevolezza in scelta, la scelta in cura. * Avvocato, Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino FLORIDA (USA): GIUSTIZIATO DAVID PITTMAN David Pittman, 63 anni, bianco, è stato giustiziato il 17 settembre in Florida. Pittman è stato dichiarato morto alle 18:12 ora locale (le 00:12 del 18 settembre in Italia) dopo un'iniezione letale nella prigione statale della Florida a Starke, in base a un mandato di esecuzione firmato dal governatore Ron DeSantis. Il governatore repubblicano della Florida ha firmato quest'anno più mandati di esecuzione di qualsiasi altro suo predecessore. Il portavoce di DeSantis, Alex Lanfranconi, ha dichiarato che l'esecuzione è stata compiuta senza complicazioni. Secondo Lanfranconi, le ultime parole di Pittman sono state: “So che siete tutti venuti qui per vedere un uomo innocente essere ucciso dallo Stato della Florida. Sono innocente. Non ho ucciso nessuno. Tutto qui”. L'ultimo ricorso di Pittman è stato respinto il 16 settembre dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Pittman è stato condannato a morte nel 1991 con l’accusa di aver ucciso, nel maggio 1990, la famiglia di sua moglie. Pittman e sua moglie Marie stavano attraversando un divorzio contrastato quando sono avvenuti gli omicidi, e gli investigatori sostengono che lui avesse minacciato più volte di fare del male alla sua famiglia. Secondo gli esiti processuali Pittman avrebbe tagliato la linea telefonica nella casa dei genitori di sua moglie, Clarence Knowles, 60 anni, e sua moglie, Barbara Knowles, 50 anni. Pittman ha pugnalato a morte la coppia e l'altra figlia, Bonnie Knowles, 21 anni. Ha poi dato fuoco alla loro casa e ha rubato l'auto di Bonnie Knowles, con cui si è allontanato, e che poi ha abbandonato e incendiato. La famiglia è stata trovata morta il 15 maggio dello stesso anno. Un testimone durante il processo del 1991 ha identificato Pittman come la persona che scappava dall'auto in fiamme. Anche un informatore della prigione ha testimoniato che Pittman aveva ammesso gli omicidi. I giurati hanno raccomandato la pena di morte con un voto di 9 a 3. Gli ultimi ricorsi di Pittman si sono concentrati su prove recenti che indicavano che, al momento degli omicidi, soffriva di disabilità intellettive, tra cui un QI di circa 70 punti. I suoi avvocati sostengono che la sua esecuzione abbia violato la protezione costituzionale contro la condanna a morte di una persona con gravi problemi mentali. Gli avvocati dello Stato hanno sostenuto che fosse troppo tardi per sollevare un’eccezione del genere rivendicando un disturbo mentale risalente a molti anni prima. La Corte Suprema della Florida, ribaltando una precedente decisione, ha stabilito nel 2020 che tali rivendicazioni non possono essere applicate retroattivamente. Pittman è il 12° detenuto giustiziato quest'anno in Florida, il 118° in totale da quando la Florida ha ripreso ad applicare la pena capitale nel 1979, il 31° giustiziato quest'anno negli Stati Uniti e il 1.638° in totale da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni nel 1977. (Fonte: The Guardian, 17/09/2025) AFGHANISTAN: 22 PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO DAI TALEBANI I Talebani hanno frustato pubblicamente 22 persone, tra cui una donna, in quattro province dell'Afghanistan negli ultimi tre giorni, ha annunciato la Corte Suprema del gruppo il 16 settembre 2025. La Corte ha affermato che le punizioni sono state eseguite nelle province di Kabul, Khost, Farah e Baghlan alla presenza di funzionari locali e di cittadini, previa approvazione della massima autorità giudiziaria del gruppo. A Kabul, dieci persone sono state frustate pubblicamente il 15 settembre dopo essere state riconosciute colpevoli di vendita e traffico di bevande alcoliche, pasticche di stupefacenti e hashish. Sono state inflitte fino a 39 frustate e comminate pene detentive fino a due anni. Nella provincia di Khost, sei persone sono state frustate il 14 settembre nel distretto di Spera con l'accusa di "corruzione morale" e "sodomia". Ciascuna di loro ha ricevuto 39 frustate e condanne a cinque anni di carcere. Nella provincia di Farah, cinque persone, tra cui una donna, sono state frustate il 13 settembre nel distretto di Bala Buluk con l'accusa di "relazione illecita" e "rissa". Hanno ricevuto tra le 20 e le 39 frustate. Nella provincia di Baghlan, una persona è stata frustata il 14 settembre nel distretto di Khost con l'accusa di "corruzione morale", ricevendo 39 frustate e una pena detentiva di 21 mesi. Dal loro ritorno al potere nel 2021, i Talebani hanno reintrodotto le pene corporali e capitali nel loro sistema giudiziario. Centinaia di persone, tra cui donne e membri della comunità LGBT+, sono state sottoposte a queste punizioni. La missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha registrato almeno 234 casi di flagellazioni pubbliche tra aprile e giugno di quest'anno, tra cui 48 donne e un minore. Solo a giugno, più di 80 persone sono state frustate in pubblico in diverse province. (Fonte: Kabulnow, 17/09/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA TAVIANO: 20 SETTEMBRE ASSEMBLEA PUBBLICA Assemblea pubblica - VISITARE I CARCERATI 20 settembre 2025 Ore 10:00 Municipio di Taviano Aula Consiliare Piazza del Popolo Intervengono Francesco Pellegrino – Sindaco di Taviano I Sergio D’Elia – Segretario Nessuno tocchi Caino I Paola Ria – Assessora del Comune di Taviano I Elisabetta Zamparutti – Tesoriera Nessuno tocchi Caino I Roberto Tanisi – Magistrato, già Presidente Tribunale di Lecce I Augusto Fonseca – Scrittore e traduttore I Giuseppe Napoli, Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino I Biagio Palamà, Avvocato penalista I Anna Briganti, Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino Info 335 6153305 NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |
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