NESSUNO TOCCHI CAINO - LO SPETTRO DI UN NUOVO MASSACRO INCOMBE SULL’IRAN
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 31 - 06-09-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA
LO SPETTRO DI UN NUOVO MASSACRO INCOMBE SULL’IRAN NEWS FLASH 1. PIÙ CHE PENE ALTERNATIVE OCCORRE CREARE ALTERNATIVE AL SISTEMA PENALE, CHE È ORA CHE VADA IN PENSIONE 2. NESSUNO TOCCHI CAINO A VENEZIA 2025 3. AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE DI TUNDU LISSU IN TANZANIA 4. AFGHANISTAN: 13 PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO PER DROGA E ADULTERIO LO SPETTRO DI UN NUOVO MASSACRO INCOMBE SULL’IRAN Virginia Pishbin Sono un medico educato a osservare e valutare sintomi. Vedo i sintomi di una febbre mortifera del passato tornare nel mio Paese, l’Iran. E allora lancio l’allarme prima che sia troppo tardi. I presagi del massacro del 1988, quando 30.000 prigionieri politici furono sistematicamente giustiziati, si stanno manifestando. Scrivo oggi perché so che cinque prigionieri politici sono stati condannati a morte e separati dagli altri, un terrificante indicatore, questo della separazione, della loro imminente esecuzione. I loro nomi sono: Vahid Bani Amerian, Pouya Ghobadi, Shahrokh Daneshvarkar, Babak Alipour e Mohammad Taghavi. Sono stati condannati per la loro appartenenza al principale gruppo di opposizione, i Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK), dopo aver subito processi farsa. La notizia della loro condanna a morte segue di poche settimane quella della esecuzione di altri due prigionieri politici, Mehdi Hassani e Behrouz Ehsani, appartenenti allo stesso movimento. Notizie di morte che si susseguono in un Iran che quest’anno ha già superato le 950 esecuzioni secondo il monitoraggio di Nessuno tocchi Caino. Amnesty International ha scritto: “Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani sono stati giustiziati arbitrariamente nel mezzo della terribile crisi delle esecuzioni in Iran. Sono stati giustiziati in segreto, senza che né loro né le loro famiglie venissero informati, dopo un processo gravemente iniquo tenuto da un tribunale rivoluzionario. È stato loro negato l’accesso agli avvocati per quasi due anni, prima di un processo durato solo cinque minuti e durante il quale non è stato loro permesso di parlare in propria difesa. Confessioni forzate, estorte tramite percosse, prolungato isolamento e minacce di ulteriori danni a loro e alle loro famiglie, sono state utilizzate come prove per condannarli”. Da medico dico che non si tratta di un atto isolato di repressione ma del ritorno di una febbre letale. I media statali iraniani hanno iniziato a elogiare e rivendicare apertamente il massacro del 1988, segnalando l’intenzione del regime di ripetere quanto compiuto in passato quando l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, emise una fatwa che ordinava l’esecuzione di tutti i prigionieri politici che non avessero, di fronte a speciali “commissioni della morte”, rinnegato le loro convinzioni. Parliamo di crimini contro l’umanità e genocidio, come più volte considerato dall’ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, il professore Javaid Rehman. Il quotidiano statale Kayhan, il cui direttore è nominato dalla Guida Suprema Ali Khamenei, ha recentemente difeso quelle uccisioni del 1988 definendole un atto “decisivo” e “coraggioso”, invocando sostanzialmente la stessa risolutezza contro i prigionieri politici di oggi. Stiamo dunque assistendo alla metodica preparazione di un altro massacro sancito dallo Stato. Annovero tra questi preparativi anche l’annuncio delle autorità di Teheran di trasformare la sezione 41 del cimitero di Behesht-e-Zahra in un parcheggio. La sezione 41 del cimitero di Behesht-e-Zahra è luogo di sepoltura di migliaia di militanti dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK), giustiziati durante i primi anni della rivoluzione e lì sepolti in segreto, spesso in fosse comuni. Un annuncio, presentato come forma di sviluppo urbano, che mira in realtà a trasformare quel cimitero di martiri in un cimitero della conoscenza e della verità. Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), di cui il MEK è membro, la cui piattaforma politica per un Iran libero, laico e democratico è sostenuta dalla maggioranza del Parlamento italiano, ha esortato le Nazioni Unite e gli organismi internazionali a intervenire immediatamente e ha chiesto un’indagine internazionale indipendente su quelle decine di migliaia di esecuzioni. E mentre il regime cerca di mettere a tacere il suo popolo, di annientare chi osa dar corpo e voce a ogni benché minima opposizione, la voce della diaspora iraniana non resta in silenzio. Infatti il 6 settembre decine di migliaia di iraniani si riuniranno a Bruxelles per chiedere alla comunità internazionale di fermare le esecuzioni in Iran invocando un cambio di regime che avvenga senza intraprendere la via violenta delle armi né quella altrettanto insopportabile della politica di accondiscendenza con il regime dei Mullah, ma attraverso il riconoscimento polit ico della Resistenza iraniana quale movimento di opposizione e liberazione dell’Iran. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH PIÙ CHE PENE ALTERNATIVE OCCORRE CREARE ALTERNATIVE AL SISTEMA PENALE, CHE È ORA CHE VADA IN PENSIONE Diego Mazzola La Storia ci conferma che la Legalità non è il Diritto e che è dovere della politica fare in modo che la Legalità garantisca il rispetto del Diritto, quello degli animali e quello delle persone. C’è un aspetto della questione che sconvolge gli osservatori del settore Giustizia. Sto parlando della frenesia e della logica del processo e della conseguente smania di punire. Non ci vuole un genio per comprendere quanto sia inutile, violento e controproducente imbastire un processo per “giudicare”, ad esempio, il comportamento di quella povera donna, tra l’altro studentessa universitaria, che in gran segreto dal proprio fidanzato e dalla famiglia sia riuscita a portare a termine ben due gravidanze e che abbia soppresso la vita di quelle sue due creature, disperatamente sepolte in un terreno vicino a casa. Punire in maniera esemplare un atto del genere, può contribuire a fare “deterrenza”, ovvero a scongiurare che altre giovani donne seguano il suo esempio? Francamente non credo siano in molti a crederlo. Ciò in cui “si crede” è solo d’intenzione di punirla, con il carcere naturalmente, con l’ergastolo per la maggiore, con la pena di morte secondo pochi (per fortuna). Anche nel caso del delitto di Garlasco, per il quale il fidanzato della vittima ha già trascorso 18 anni in galera pur avendo sempre urlato la propria innocenza, non è proprio il caso di parlare di deterrenza, bensì di un desiderio di vendetta socialmente e giudiziariamente cresciuto come una “mala pianta”, nonostante sia stato assolto nei primi due livelli di giudizio. La deterrenza è, dunque, quella circostanza per cui “magicamente” si crede che l’informazione possa impedire che altri compiano simili “reati”. Perché eventi del genere vengono considerati “reati” perché si aprano le porte delle galere. Oggi sappiamo che lo Stato, proibendo determinati comportamenti umani, classificati come reati, per mezzo della minaccia di una specifica sanzione afflittiva, ovvero la pena, si comporta come il contadino che chiude la stalla dopo che i buoi sono scappati, pensando di tutelare, mentendo a sé stesso, i valori fondanti di un popolo. È stato chiarito che, anche s e alcuni reati sono generalmente uguali nei diversi Stati del mondo, le pene possono essere diverse, come pure molti reati sono diversi da Stato a Stato, nel senso sia che si attribuisce una diversa gravità ai medesimi comportamenti asociali sia che ogni Stato punisce certi comportamenti ma non altri, il tutto secondo l’evoluzione del diritto e delle società nel mondo. Non solo: ora sappiamo che per trent’anni l’articolo 4 bis (icona dell’emergenza mafiosa) è stato applicato creando regimi speciali differenziati, processuali penali e penali penitenziari, e perciò violando la Costituzione. Questo genere di considerazioni rientra tra quelle che portano a constatare “Il declino del Diritto Penale”, così come suggerito dal professor Klaus Luderssen in un suo scritto di non facile lettura, e faticosamente tradotto dall’impagabile professor Luciano Eusebi. Credo, al contrario, che l’estremo rumore con cui l’informazione si occupa di quelle cose, tra cui i casi di femminicidio che occupano tanto spesso e pesantemente gli spazi di cronaca nera dei nostri telegiornali, siano vissuti da molti non come “dovuta informazione”, ma come una possibile via d’uscita da situazioni, disdicevoli nei rapporti umani, ma che possono contribuire al mancato controllo del sé. Il luogo nel quale trattenere le persone che hanno pensato di spezzare il legame con la società civile, ma che “mostri” non sono (lo riconosce la stessa psichiatria moderna), dev’essere totalmente ripensato affinché sia rispettato il diritto al riconoscimento del senso della dignità personale, sempre indispensabile al respiro di coscienza che alberga in ognuno di noi. Dopo attente analisi non può sfuggire che nessuno è da considerarsi responsabile dei processi mentali che ci determinano all’azione, ma nulla e nessuno ci può impedire di studiarli e conoscerli per fare una giusta prevenzione: cosa di cui non può occuparsi il Diritto Penale. Chi vive l’ideale di andare oltre il Sistema Penale e la barbarie del carcere, lo fa per aver compreso con Thomas Mathiesen che “la prigionizzazione è l’opposto stesso della riabilitazione, ed è l’ostacolo maggiore sulla strada del reinserimento nella società”. Ribadisco la necessità di non credere all’utopia delle pene alternative, bensì al dovere di creare alternative al processo penale, molto opportunamente mandandolo in pensione. NESSUNO TOCCHI CAINO A VENEZIA 2025 Ospitato nei giardini dell’Hotel Ausonia Hungaria, il 2 settembre è stato inaugurato il primo Corner sui Diritti Umani e la Giustizia Riparativa. L’iniziativa, collaterale alla 82a Mostra del cinema di Venezia, è stata intitolata “La Barriera dei Diritti Umani”, ed è focalizzata su un caso politico in Tanzania, e sui diritti delle donne “lontane”. In Tanzania un leader politico, democratico e non-violento, è nel braccio della morte con l’accusa di “tradimento” per aver accusato di corruzione il partito unico al potere da 60 anni. Nessuno tocchi Caino conduce la Campagna di Advocacy per Tundu Lissu, figura chiave dell’opposizione democratica in Tanzania, sopravvissuto a vari attentati politici, e simbolo della resistenza nonviolenta per la legalità e i diritti civili in Africa. "Figlie di un Dio Silente" vuole ricordare il coraggio delle donne prigioniere di violenza fisica, psicologica e sociale nelle zone di conflitto e sotto regimi totalitari nelle loro lotte per l’autodeterminazione e per il diritto all’infanzia e alla dignità. I due focus internazionali, dedicati al diritto alla libertà personale, portano l’attenzione su quei temi di umanità e partecipazione di chi è sempre più spesso ignorato e lasciato nella disperazione di una vita che non è più vita. Nessuno Tocchi Caino è da decenni un punto di riferimento internazionale nella lotta per l’abolizione della pena di morte e nella promozione di pratiche riparative per la ricomposizione delle comunità ferite. “La Barriera dei Diritti Umani” è stato organizzato da Sean Brocca e Ivan Friselle di “All in Venice”, da Annalucia Russo, della proprietà dell’“Ausonia Hungaria Hotel”, dall’artista Fabrizio Frongia, e dai membri del Board di “Nessuno tocchi Caino – Spes contra Spem” Francesca Mambro, Patrizia Patrizi, Arianna Fioravanti, Porzia Addabbo ed Enrico Marignani. Il Corner sarà aperto fino al 4 settembre sera. Contatto: Porzia Addabbo 3476845216 porziaaddabbo@gmail.com (Nessuno tocchi Caino, 04/09/2025) AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE DI TUNDU LISSU IN TANZANIA Il team di supporto a Tundu Lissu ci comunica i più recenti avvenimenti legati al processo contro l’avvocato e parlamentare Lissu, accusato di “tradimento” per aver parlato di “corruzione di membri del governo” nel corso della campagna elettorale per le elezioni generali del paese, che si terranno ad ottobre. Come è noto, Nessuno tocchi Caino sta seguendo con attenzione le vicissitudini di Lissu, che è ormai da 5 mesi in un braccio della morte, ma ancora non si sa nulla rispetto a fatti specifici che possano essergli addebitati, e un eventuale processo continua ad essere rinviato. La Tanzania è governata da un unico partito sin dalla sua indipendenza nel 1961. Il partito al potere, oggi noto come Chama Cha Mapinduzi (CCM, il Partito Rivoluzionario) domina tutti gli aspetti della vita tanzaniana e raramente tollera dissensi. Il Partito Rivoluzionario originariamente aveva una forte impronta marxista, ma dopo oltre 60 anni di potere incontrastato, e come molti altri partiti ex-comunisti, non ha più nulla di marxista se non la propensione a voler essere “partito unico”. Lissu è invece il leader di Chadema (“Partito della Democrazia e dello Sviluppo”, di orientamento liberal-democratico), che nelle scorse elezioni (2020) ha ottenuto il 13% dei voti, diventando praticamente l’unico partito dell’opposizione ad aver superato lo 0,5%. A ottobre di quest’anno si voterà di nuovo in Tanzania, e 5 mesi fa Lissu è stato arrestato, sostenendo che le misure anticorruzione che lui aveva inserito nella piattaforma elettorale del suo partito avrebbero fatto il gioco di non meglio precisate “potenze straniere”. Lissu però non ha ammesso nessuna colpa, e per effetto di questo comportamento la presidente in carica, Samia Suluhu Hassan, ha emesso un ordine esecutivo che vieta all’intero suo partito di candidarsi alle elezioni. Molti osservatori ritengono che le accuse contro Lissu siano completamente fittizie, e servano solo a tenerlo lontano dalla contesa elettorale. Un funzionario che ha parlato chiedendo l’anonimato ha fatto capire che Lissu, una volta passate le elezioni, verrà in qualche modo liberato. Rimane il fatto che ad oggi è ancora in isolamento in un braccio della morte, e almeno formalmente quella è la condanna che pende sul suo capo. Come NtC aveva notato a giugno, il governo italiano ha inserito la Tanzania nella lista delle nazioni coinvolte nel cosiddetto “Piano Mattei”, ma non risulta che stia facendo nessuna pressione a favore di Lissu. NtC, assieme a All in Venice e con la sponsorizzazione di Ausonia-Hungaria Venice, sta portando le vicissitudini di Lissu, e più in generale il tema dei diritti umani, tra gli eventi collaterali al Festival del Cinema di Venezia. Questo è il testo dell’aggiornamento inviatoci il 3 settembre da DUA (Democracy Union of Africa) e dai curatori della campagna #FreeTunduLissu! “In una situazione profondamente allarmante e in netto contrasto con i principi di equo processo e giusto procedimento, l'Alta Corte della Tanzania ha accolto la richiesta della procura di nascondere i testimoni civili nel processo per tradimento contro Tundu Lissu. I testimoni non saranno resi noti al pubblico e nemmeno allo stesso Tundu Lissu. Non è possibile condannare a morte qualcuno sulla base di testimoni sconosciuti. La corte ha anche vietato la trasmissione in diretta del processo per tradimento contro Tundu Lissu. Le udienze per il rinvio a giudizio si sono concluse il 17 agosto, ma l'Alta Corte della Tanzania ha impiegato tutto questo tempo per assegnare un giudice e fissare la data della prima udienza. Tattiche dilatorie! Si è dovuto attendere fino al 2 settembre perché un giudice fosse assegnato al processo presso l'Alta Corte, e la prima udienza è stata fissata all'8 settembre. Questo processo ha attirato l'attenzione nazionale e internazionale. Bloccare la copertura in diretta, come è stato fatto durante il processo preliminare, è un tentativo da parte dello Stato di nascondere la verità. Non possono in alcun modo dimostrare la loro accusa di tradimento e temono l'imbarazzo causato da Tundu Lissu, avvocato esperto che si difenderà da solo. L'occultamento dei testimoni e il blackout mediatico significano che la giustizia per Tundu Lissu sarà amministrata in maniera opaca, e non sarà verificabile. Qualsiasi giustizia amministrata nell'oscurità è ingiustizia!” AFGHANISTAN: 13 PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO PER DROGA E ADULTERIO I Talebani hanno frustato in pubblico a Kabul 13 persone, tra cui una donna, in questi ultimi giorni, ha annunciato la Corte Suprema del gruppo il 2 settembre 2025. I 13 – ha precisato la Corte - erano stati riconosciuti colpevoli di adulterio e reati legati alla droga. Secondo la Corte, 12 persone sono state frustate pubblicamente il 1° settembre per la vendita e il traffico di pasticche di stupefacenti, bevande alcoliche, metanfetamine e hashish. Ciascuna ha ricevuto tra le 10 e le 39 frustate e pene detentive che vanno dai sette mesi ai due anni. In un caso distinto, il 31 agosto una donna accusata di adulterio è stata frustata pubblicamente 39 volte. È stata inoltre condannata a due anni di carcere dal tribunale di primo grado, sentenza successivamente confermata dalla Corte Suprema. Le fustigazioni pubbliche e altre punizioni corporali sono diventate sempre più comuni in Afghanistan dal ritorno al potere dei Talebani nel 2021. Secondo la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), tra aprile e giugno di quest'anno sono state registrate almeno 234 fustigazioni pubbliche, tra cui 48 donne e persino un minorenne. Solo a giugno, più di 80 persone sono state frustate pubblicamente in diverse province. (Fonte: Kabul Now, 02/09/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |
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