"Crocevia" di Mario Vargas Llosa (Einaudi, traduzione di Federica Niola)

 

Ha ragione Andrea Bianchetti nel suo contributo per la Rsi ad affermare che la trama di “Crocevia” di Mario Vargas Llosa (Einaudi,traduzione di Federica Niola) è un po' stanca e, aggiungo io, gli snodi sono decisamente prevedibili ma, sempre concordando col suo giudizio, questo romanzo dello scrittore peruviano è uno splendido, realistico e cupo affresco non solo del mondo peruviano e della dittatura di Fujimori ma anche e soprattutto della nostra quotidianità, del nostro sistema politico, della nostra informazione, dello stato comatoso della democrazia nel Ventunesimo Secolo.

Ogni opera di Vargas Llosa è un inno alla libertà individuale e questo romanzo si costruisce come atto d'accusa rivolto al Potere disposto a ogni genere di atrocità pur di perpetuarsi all'infinito, al mondo del giornalismo spazzatura ormai ritenuto rivoluzionario e divenuto servizio pubblico seguito da milioni di cittadini consumatori, al moralismo d'accatto di un popolo spione e moralista eternamente alla ricerca di un nuovo salvatore e padrone, a un certo politica corrotta, schiava e prodotto degli umori di quei mass media che cavalcano e costruiscono l'indignazione popolare, all'ipocrisia dei ceti borghesi che vivono in paradisi artificiali dove tutto è lecito e anche le tragedie vengono dimenticate in fretta.

“Crocevia” prende alla gola ed è cattivo, molesto, feroce e anche difficile da digerire perché anche coloro che si vestono da presunti salvatori perpetuano alla fine quegli stessi riti seviziatori e da gogna quotidiana tipici di una dittatura contro cui si erano scagliati. La scoperta del sesso e dell'amore (forse solo una parentesi fra mille occupazioni) di due amiche ricchissime si trasforma nel rituale di un liberazione sessuale inserita fra un viaggio a Miami e la ripetizione, in una cornicie di finzione narrativa costruita su allusioni e ricatti, di un'orgia clandestina. La fine della dittatura non significa sempre ritorno alla libertà se gli anticorpi non sono stati assorbiti, compresi e ogni giorno messi in discussione.

Narrazione che si fa elogio sommesso ma rumoroso di quegli esseri umani che non ricercano il consenso, la ricchezza, i posti al sole, i contratti, le garanzie, che non si accodano alle tribune forcaiole ma che riflettono ogni giorno sui propri errori e che custodiscono, come un tesoro inestimabile, il respiro liberatorio e controverso della letteratura, della poesia, della filosofia, della politica.

Un romanzo ovviamente che potrebbe risultare fatalmente indigesto, in chiave italica, a tutti i seguaci del movimento cinque stelle (anche se ormai il verbo grillino è stato interiozzato da gran parte della sinistra) e a quegli estimatori di un certo tipo di giornalismo (anticasta, giacobino, forcaiolo, gossiparo, poliziesco) che va per la maggiore e corresponsabile dell'orrore di questi ultimi anni.

Per quanto mi riguarda sempre un grande grazie a Vargas Llosa per la sua coraggiosa battaglia per la libertà. 

 

(No Unholy Mountain)

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