"Intanto anche dicembre è passato" di Fulvio Abbate (Baldini+Castoldi)

 

Siccome andavo terribilmente male in aritmetica, oltre a non essere capace di disegnare il cubo, si decise a un certo punto di mandarmi a ripetizioni. Il mio maestro di scuola, ma già chiamarlo così è per lui un regalo immeritato, mi riteneva un cretino, tanto da siglare un regalo immeritato, mi riteva un cretino, tanto da siglare un giudizio inappellabile nel libreto delle valutazioni: “Lo scolaro Abbate Fulvio mostra intelligenza limitata e, quel che è peggio, appare dotato di scarsa volontà allo studio, per giunta non presenta alcuna attitudine, pratica però l'igiene”. Una pietra tombale sul mio futuro ormai improbabile di pensatore.” (pag. 37)

“Intanto anche dicembreè passato” di Fulvio Abbate (Baldini+Castoldi) è un rocambolesco romanzo di formazione adolescenziale, l'autobiografia immaginaria di Abbate ragazzina, uno scrigno fittissimo di riferimenti e invenzioni letteraria. Un romanzo dentro cui troverete una famiglia indimenticabile con un padre silenzioso e una madre che racconta frottole per amore, lo zio Hitler (forse veramente quell'imbianchino), l'estate del 1961, lo scomparso Ettore Majorana ridotto a insegnante di ripetizione per il piccolo Fulvio scarso in matematica e che sta cercando di costruire un razzo V2/V3 da lanciare su quella Parigi/Francia che è un cuore pulsante di queste pagine insieme a Palermo, Chabrol, Truffaut, i soldatini (appena riesco credo che andrò a comprare qualche soldatino garibaldino), la spiaggia di Mondello, i compagni di Baal. Soldati a cavallo e La Conquista del West (due film che hanno segnato anche la mia d'infanzia), il soldato Franz Reinhardt, El-Alamein, il Fascismo, il fez, Napoleon Bonaparte, Marcel Proust, l'Armir e Il sergente nella neve, Tintin (se non avete mai letto Tintin non sapete cosa vi perdete!), Camus, Viaggio in Italia, Così parlò Zarathstra, Trotski, una divisa confederata da indossare a Carnevale e molto altro che scoprirete se avrete la voglia di aprire questo libro. 

Un puzzle narrativo raccontato con eleganza e tenerezza che irretisce e che si fa elogio suadente e mai banale della giovinezza, della letteratura, dell'amore di una madre, della potenza liberatrice del sesso, della libertà che non accetta recinzioni di alcun tipo e soprattutto si rivela un affresco memorabile e sofisticato dell'infanzia, quella stagione irripetibile e indimenticabile da non fare mai appassire, conservando dentro di noi quello spirito bambino che in tanti, dalla scuola alla famiglia, ci dicono di dimenticare e correggere per diventare adulti responsabili, studenti diligenti, perfetti cittadini.

La spiaggia ora apparteneva per intero a Lucilla e a Hitler, non abbiamo neppure voluto insistere con la curiosità, era il loro amore, soltanto loro, era la loro vacanza; d'altronde, cosa vuoi che possa sapere un bambino di sei anni, tanti anni ne avevo allora, di un signore arrivato misteriosamente a Palermo dalle fiamme della guerra che aveva abbattuto più di un continente e portarto al massacro milioni di persone, talvolta perfino incolpevoli – Franz Reinhardt, il ragazzino-faccino da birillo, su tutti – e poi gli ebrei sterminati, gli slavi destinati alla condizione di manodopera schiavizzata, i detenuti politici, poco importa se comunisti o semplici oppositori antifascisti; tutte cose che avrei appreso una volta adulto; tutta colpa di un signore, zio Hitler, che sembrava fosse stato sparato fino in Sicilia da un bazooka ad altissima precisione, anzi, dal modello tedesco di quel genere di arma anticarro, il Panzerfaust 100. Un semplice tubo di metallo sulla cui sommità resta avvitata una granata, il Panzerfaust, che in tedesco significa “pugno del carroarmato”: un'arma personale monouso funzionante sulla base del principio della contromassa. Non un lanciarazzi bensì un piccolo cannone senza rinculo. Il grosso dell'esplosivo era collocato nel tubo e la bomba, una volta uscita, spiegava quattro alette per stabilizzare la traiettoria. Il Panzerfaust si dimostrò un'arma estremamente letale per ogni carro colpito, dato che il suo sistema di perforamento produceva un getto incadescente in grado di perforare la corazza di ogni tipo di carro. Nel nostro caso, il Panzerfaust corse a perforare i muri di una casa in via Cesare Abba, la nostra, a Palermo, depositando il suo proiettile incandescente fin davanti al letto di mio nonno e mia nonna, proprio sotto il lampadario di alabastro e corde: Hitler, nostro zio.” (pp. 66-67) 

 


(In Love With A View)

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