"Per una nuova Costituente. Liberare i territori. Rivitalizzare le comunità" di Carlo Lottieri (Liberilibri)

 

 

Affrancare le realtà periferiche e rovesciare la piramide istituzionale comporterebbe una moltiplicazione dei poteri e delle responsabilità. In fondo, si tratta di provare – una buona volta – a prendere sul serio le tesi liberali classiche. Come disse Lord Acton, il valore politico più alto è la libertà. Lo storico cattolico non credeva affatto che la libertà fosse da anteporre a ogni cosa, ma riteneva che all'interno della sfera pubblica fosse compito di ognuno porre la libertà altrui al di sopra di tutto. Se la libertà è l'obiettivo principe che i liberali intendono perseguire, essi sanno anche che la strategia più efficace consiste nell'affermare la concorrenza a scapito del monopolio, nel mettere il pluralismo al posto dell'uniformità. In fondo, questa è la stessa lezione che ci viene dalla Svizzera: un Paese che è più piccolo della Lombardia, ma che include ben ventisei cantoni e semicantoni, ognuno dotato di un'ampia autonomia fiscale e legislativa. Basti dire che ogni quindici anni gli elettori svizzeri sono chiamati a confermare la delega che permette al governo di incassare entrate proprie con una tassazione diretta e una indiretta. Questo significa che se nel 2033 la maggioranza dei cittadini o dei cantoni non rinnovasse tale delega, il governo federale dovrebbe ripensare interamente il proprio ruolo.” (pp. 39-40)

“Per una nuova Costituente –Liberare i territori Rivitalizzare le comunità” di Carlo Lottieri(Liberilibri) è stata ieri una splendida lettura prima di partecipare alla riunione coi TM del cinema per capire come fare a riaprire settimana prossima. Una lettura ricca di spunti e liberatoria forse perché sono innamorato e un fautore della prospettiva federalista o perché ho sempre preferito Carlo Cattaneo a Mazzini, forse perché sono un estimatore (ben consapevole dei suoi limiti, storture, problemi) del modello federale della Svizzera (dove tra l'altro Lottieri insegna) e degli Stati Uniti, forse perché sono rimasto quel libertario di sempre allergico al centralismo, alle intrusioni statali, a un certo apparato statatale e alle collettivizzazioni che stabiliscono come, quando e dove devi vivere, lavorare, pensare.

Un saggio agile, con passaggi sui quali dissento (una certa malinconia di mondi passati, un messianismo di fondo, una mancanza di riflessioni su gli Stati Uniti d'Europa, una fiducia eccessiva sul libero mercato) che riflette (analizzando anche le probabili conseguenze della crisi causate dal Covid), contrastandole, sulle gabbie dell'attuale sistema statale economico e assistenzialistico, rigido fino alla parodia, che offre soluzioni (indigeste ai più) per affrontare il problema del Meridione e che interroga, con passione, il lettore sui limiti imposti, dalla democrazia, su consultazioni considerate scomode, come la secessione o i temi fiscali.

Un saggio che potrà apparire quasi folle nelle sue prospettive se consideriamo l'attuale panorama politico italiano e non solo ma che mi auguro possa almeno stimolare qualche piccola riflessione personale, qualche rinuncia ad assecondare questo ordine delle cose, senza per questo concordare con le tesi di Lottieri.

Di sicuro mi dispiace che qualcuno a sinistra abbia salutato con favore l'alleanza PD-Cinque Stelle, che consideri Conte uno statista e molto altro.

Questi argini "democratici" contro questo o quell'altro nemico sono diventate ormai delle vere e proprie sbarre di prigione che impediscono qualsiasi trasformazione, soffocando il pensiero e la libertà.

Vi lascio la parte finale:

Da decenni lo Stato “fa il bene” (elargisce servizi di ogni tipo di forma gratuita) riscuotendo un grande consenso perché nessuno si chiede quanti altri posti di lavoro vengono distrutti quando le risorse dei contribuenti sono utilizzate per salvare un'azienda che sta per fallire. Siamo tutti dominati dal modello della manna che scende dal cielo. Ora, però, siamo già entrati in un mondo diverso. Non soltanto la gestione dell'epidemia ci ha avvilito e soggiogato, ma ha fatto sì che l'economia italiana iniziasse a conoscere una fase terribile, dato che già prima del virus dovevamo fare i conti con una disoccupazione altissima (specie al Sud) e con un debito pubblico record. Il sistema produttivo non cresce da anni e per questa ragione le famiglie devono costantemente confrontarsi con una serie di difficoltà. Non a caso tanti nostri giovani hanno lasciato la penisola e hanno cercato nel Regno Unito, in Germania o in Svizzera quelle opportunità che non riuscivano a trovare da noi. Se questo non bastasse, il lockdown ha colpito duramente tante aziende, anche piccolissime, e una gran parte di loro non riuscirà a riprendersi.

Il vecchio mondo è finito, anche perché era moribondo già prima dell'arrivo del virus.A ben guardare, in ogni modo, il fallimento economico della Repubblica italiana è conseguente al venir meno dello spirito autentico del diritto, quale insieme di regole poste a tutela dei singoli e della società, e questo perché il potere ha occupato ogni spazio. In tal modo l'ordinamento ha smesso di essere un quadro di libertà, dove le norme sono lì per tutelare l'autonomia delle persone, mentre è diventato un docile strumento nelle mani di pochi. È quindi evidente che lo stesso crollo economico ha la propria radice più profonda in questa corruzione della vita civile.Per tale motivo il crollo della qualità della vita, che sarà doloroso e che va contrastato quanto più sia possibile, deve comunque essere anche l'occasione della rinascita.Perché questo avvenga è necessario che prenda corpo una proposta radicale, che costruisca istituzioni basate assai più logiche del consenso che su una legalità di matrice sovrana e autoritaria. Più che mai in precedenza, adesso c'è bisogno di avviare una fase costituente, che stavolta non si limiti a interpellare la cittadinanza per la scelta degli “ottimati” (i deputati dell'Assemblea chiamata a redigere una Costituzione), ma che veda la popolazione attivamente presente in ogni fase del processo. Se la Costituzione attuale non è mai stata votata dai cittadini, quanto uscirà dalla nuova Assemblea dovrà invece essere approvato o rigettato dal popolo.Per giunta, bisogna prendere atto della realtà e riconoscere che la Repubblica italiana si compone di nationes distinte, con culture e sensibilità non sempre conciliabili. Soprattutto, ogni comunità ha essa stessa il diritto di stabilire cosa intende (o non intende) condividere con le altre. Quella che viene definita federale, a ben guardare, è la logica del rispetto verso comunità che non possono essere dominate e hanno il pieno diritto di governarsi senza subire imposizioni né interferenze.All'origine dell'ordine attuale e della configurazione geografica italiana vi sono taluni fatti ben noti: le “guerre d'indipendenza” condotte dall'esercito sabaudo, la cessione del Veneto dall'Austria alla Francia e da quest'ultima al Regno d'Italia, la debellatio del potere temporale del papa, e infine, la Prima guerra mondiale. Quanti hanno voluto estende i domini italiani, lanciandosi pure in guerre coloniali fuori dell'Europa, hanno posto le premesse per l'attuale configurazione, ma questi avvenimenti storici non possono negare alle varie realtà che compongono la Repubblica il pieno diritto di prendere in mano il loro destino. La fase costituente che bisogna avviare deve vedere all'opera delegazioni di territori chiamate a prendere parte alle discussioni sulla nuova carta in nome e per conto delle loro comunità parziali. Il risultato finale, infatti, non deve in alcun modo sacrificare i diritti e gli interessi degli altri e, anche per questo motivo, il testo finale diventerà la nuova Costituzione soltanto dei territori che l'avranno votato e approvato. Se in qualche area del Paese il testo sarà rifiutato dalla maggioranza dei votanti, quella comunità dovrà darsi un assetto separato e una nuova propria Costituzione. In questo momento tanto difficile dobbiamo prendere atto che esiste ormai una distanza abissale tra le retoriche prevalenti (che evocano la libertà, il consenso, il contratto sociale) e un duro potere che si nutre di cinismo e non accetta di essere messo in discussione. Tutto ciò obbliga allora ad accantonare la prima Costituzione della Repubblica italiana unitaria così che si possa entrare in un mondo nuovo, nel quale finalmente si prendano sul serio le ambizioni e le volontà dei cittadini. Cosa uscirà da questa nuova Costituzione? Nessuno può dirlo, perché nessun processo costituente – per definizione – può essere predefinito nei suoi esiti. È molto probabile, a ogni modo, che esca una realtà italiana assai più localizzata, basata su istituzioni regionali e municipali, e di sicuro alcune comunità potranno finalmente realizzare la loro aspirazione (finora conculcata) a dare vita a un ordinamento indipendente. Nel passato erano i maoisti a evidenziare l'esigenza di far sbocciare cento fiori. Oggi quella formula deve essere fatta propria da chi vuole uscire da una Repubblica unitaria oppressiva che impedisce a ogni comunità e territorio, a ogni individuo e famiglia, di perseguire i propri obiettivi e coltivare i propri sogni.” (pp. 80-83) 
 

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