"La casa sul lago" di David James Poissant (NNE, traduzione di Gioia Guerzoni)

 

(la copertina del mio libro rovinata per colpa di un adesivo)
 
 

Diane chiude gli occhi. Per i prossimi otto chilometri fingerà di dormire. Quegli uomini con le loro emozioni forti, le silenziose prese di potere. Certi giorni, immagina una vita senza uomini, solo lei e sua figlia su una coperta in un campo di papaveri e campanule e il cielo blu. Anche i fiori in quel fiore sono stati privati degli stami. Diana e sua figlia. Ma poi chi l'ha detto che non sarà un maschio?” (pag. 103)

Mentre leggevo lo splendido romanzo “La casa sul lago” di David James Poissant (NNE, traduzione di GioiaGuerzoni) del quale avevo già apprezzato i racconti de “Ilparadiso degli animali (NNE, traduzione di Gioia Guerzoni) pensavo a cos'è rimasto della mia famiglia: mio padre che vive dal giorno del matrimonio nell'appartamento di 80 metri quadri, mia sorella che sta a Taranto, io che sto a Lugano. Non ci sono nipoti. Il resto della famiglia è disperso. Non abbiamo grandi contatti e nemmeno troppi cugini. Pensavo a quella casa dove sono cresciuto e che quando mio padre morirà o si trasferirà altrove verrà affittata a qualcun altro. Dovremmo liberarci dell'arredamento e trovare una soluzione a tutti quei libri, documenti, ricordi, reperti e non avete idea di quanti siano i libri e i fumetti e dischi che ci sono in quella casa. Mio padre non ci lascerà un soldo. Niente eredità. Se non il suo sangue, il suo DNA, i suoi insegnamenti e una valanga di ricordi non sempre positivi. Quando ne parlo in tanti restano stupiti. Non ci credono. Eppure è così e a me va bene così. Ma ci pensavo perché in questo romanzo c'è una famiglia che si riunisce per un'ultima volta nella casa mobile su un lago del North Carolina dove da sempre era solita riunirsi in estate. Un luogo carico di ricordi, di avventure, di segreti e che sarà venduto perché i due genitori, Lisa e Richard, prossimi alla pensione hanno deciso di trascorrere gli ultimi anni della propria vita in Florida. 

Insieme a loro arrivano anche i due figli: Michael (spiantato trentenne commesso di Foot Loker e alcolizzato perso) con la moglie Diane (insegnante di educazione artistica incintra che, al contrario del marito, non vuole abortire a costo di divorziare) e Thad (poeta che non pubblica poesie, senza un soldo e grande fumatore di erba) col compagno Jack (giovanissimo e affermato pittore anche se da mesi ha smesso di dipingere, sfuggito a una famiglia ultracristiana e devoto allo scambismo e al sesso sfrenato).

La narrazione si condensa in tre giorni segnati da una tragedia: l'annegamento nel lago di un bambino che Michael, completamente ubriaco, non riesce a salvare. Tre giorni drammatici di rottura e rinascita con i sei protagonisti che dovranno fare i conti con i propri segreti e drammi privati, con le proprie dipendenze e una disperata voglia di riscatto fino a un epilogo forse un po' retorico ma straziante nel suo offrire una fragile speranza a tutta la famiglia.

L'autore è straordinario nel costruire un'atmosfera carica di dolore con personaggi che è impossibile non sentire vicini soprattutto nei loro lati più sgradevoli, nelle loro manchevolezze, nei loro errori e orrori e che si svelano attraverso perfetti dialoghi e momenti di rottura (bellissimi in particolare du episodi che riguardano Michael: uno in un bar dove finisce per essere picchiato e l'altro quando, a cena con la famiglia, rivela di aver votato a Trump sbattendo in faccia al resto dei presenti tutta la loro ipocrisia e lo schifo della sua vita), di rielaborazione del lutto e di scontri che fanno emergere tutte quelle parole che ci portiamo dietro sin dall'infanzia. Ho apprezzato anche come i due fratelli siano sostanzialemente due falliti, due inetti, due esseri umani senza grandi qualità e che nove volte su dieci prendono le decisioni sbagliate. Due fratelli che si amano ma che non si sopportano, che sono diversi fra loro e che non sanno parlarsi se non sfogandosi. È un romanzo pieno di sofferenza, di alcool, di tentativi di suicidio, di un Dio silente e cattivo ma anche pieno di misericordia edi un grande amore materno che dura tutta la vita e che non si arrende mai, costi quel costi. Tutto qui. Se vi capita dateci una lettura. Ok, ci troverete forse un po' troppo John Cheever e anche forse un po' troppe spiegazioni ma è un romanzo di una sensibilità estrema, carnale, vero. E se, come me, amate alla follia i laghi allora dovete proprio leggerlo.

Non c'è nessun bar dove dovrebbe esserci il bar. Quello che un tempo era un bar adesso è un negozio di antiquariato. Fuori, un tizio legge il giornale su una pancbina. “Henry si è trasferito ad Asheville” dice l'uomo senza alzare lo sguardo, e Michael accelera il passo. Dopo due isolati e due volte, Michael si trova sotto un tendone verde con la scritta WINTER WINE BAR in lettere rosse. Non ha voglia di vino, ma dovrà farselo andare bene. Un paio di bicchieri, forse tre. Non più di una bottiglia. Abbastanza perché le mani smettano di tremare, ma non tanto da impedirgli di guidare fino a casa.” (pag. 251)

 

(Bloom)

Commenti

  1. Il tema dei legami familiari è un grande tema. Di cosa altro vuoi parlare? Disse qualcuno che ora non ricordo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è il tema, per certi versi. Io non posso fare a meno di leggerne.

      Elimina
  2. Sai? Mia madre è ossessionata e ci ossessiona con la domanda: cosa farete di questa casa, e di tutto ciò che contiene, DOPO?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Scusa se te lo chiedo: è una casa della vostra famiglia? Per certi versi sono quasi fortunato, visto che la casa è in affitto e sia io che mia sorella viviamo in case in affitto. Quando mori' mia nonna si doveva vendere il suo piccolo appartamento e subito si fece rivedere dopo anni e anni mia zia con i suoi due figli e una figlia per chiedere soldi. Una roba disgustosa.

      Elimina
  3. Scusarti de che?
    Sì certo è la casa di famiglia, che i miei genitori hanno "riscattato" (si chiamava così ) a prezzo di grandi sacrifici. Anche per questo sarà difficile decidere cosa farne. Le mie radici sono ancora lì, sotto il ciliegio amato da mio padre e odiato da mia madre, che dopo la sua morte lo fece tagliare. Sotto l'ortensia davanti alla soglia di casa, sotto le creative installazioni di ferro di papà, il caminetto che non ha mai funzionato, un improbabile lavatoio di cemento, l'orto traboccante di pomodori.
    È statA una casa molto viva, dove si è sofferto molto ma anche molto amato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Invece ho avuto due genitori che non hanno mai voluto comprare casa. Se fosse stato per mia madre lei avrebbe cambiato casa ogni anno. Poi ci è stata fin troppo e le ha fatto male. E infatti appena poteva cercava subito di farsi portare in giro in macchina. Quando stavamo un mese al mare la piu' triste di tornare era sempre lei. Aveva sempre le lacrime. Non ha mai avuto questa roba del possedere qualcosa. Nemmeno mio padre in fin dei conti. E anche io e mia sorella.

      Elimina

Posta un commento

Post più popolari