"Afghanistan Picture Show ovvero, come ho salvato il mondo" di William T. Vollmann (Alet/Minimum Fax, traduzione di Massimo Birattari) e sul mio blog io Andrea Consonni ripropongo le vignette di Charlie Hebdo per omaggiare e ringraziare il professor Samuel Paty
Quanto mi piacerebbe che tanti aspiranti giornalisti d'assalto, fantomatici scrittori di reportage stipendiati da giornali spazzatura, turisti travestiti da viaggiatori alla Chaplin che ti inondano di foto, selfie, ricordi dei loro viaggi leggessero “Afghanistan Picture Show (ovvero come ho il salvato ilmodo)” di William T. Vollmann nella mia splendida edizione dellapurtroppo ormai defunta Alet, con la traduzione di Massimo Birattari perché è un romanzo che narra di un fallimento ai limiti della parodia, della confusione di fronte a un mondo lontano e inconoscibile, di una voglia disperata di provare a salvare il mondo, dei propri limiti fisici/mentali/culturali. Un romanzo/reportage scritto da un Occidentale, da un uomo figlio degli Stati Uniti, di uno che diventerà negli anni uno dei più grandi scrittori contemporanei ma che ha un rispetto al limite dell'autodistruzione del mondo che incontra: l'Afghanistan dell'invasione, delle stragi russe e il Pakistan con il suo guazzabuglio di fazioni, cospiratori, profughi, povertà. E, particolare di non poco conto, fa un male cane pensare che ancora oggi quel paese è in preda a guerra, stragi, esplosioni e che un'eventuale pace non farà che consegnare quel paese a un branco di fondamentalisti inguardabili/inascoltabili/indefendibili.
Questo è un'opera chè mettersi a nudo desolante, provocatorio, sfuggente, profondamente intellettuale ma anche teneramente collegato alle sfumature, ai volti mangiati dalla povertà e dalla disilussione, agli incontri, ai treni stipati di corpi, alla diarrea, ai campi profughi, alle mosche, al cibo immangiabile, all'ospitalità, ai morti.
Leggerlo per stare zitti.
Leggerlo per farci un'esame di coscienza e chiederci se davvero abbiamo qualcosa da dire, scrivere, fotografare quando andiamo in mondi esotici, partiamo per salvare il mondo. Perché questo è davvero un'opera sul fallimento e sul miracolo degli incontri e delle prove di un'esistenza vissuta sul filo del pericolo. Sul non essere pronto ma volerci provare. Sulla disillusione e sulla ricerca costante di un senso, di un limite, di un confine da oltrepassare. Sul finire per essere ridicolo e intanto aver indagato il mondo, le proprie condizioni, i propri limiti fisici derivati da una vita figlia dell'opulenza e che ti impediscono di diventare un combattente sulle montagne ma che ti porteranno a diventare quello straordinario scrittore che mi tiene compagnia ormai da un sacco di anni coi suoi romanzi,con il suo stile densissimo, i suoi personaggi, le sue storie, gli umili e disperati di tutto il mondo e che non smette mai di commuovermi, schiaffeggiarmi, di farmi sognare, di farmi vivere e respirare.
Forse in Afghanistan non ha salvato il mondo ma con i suoi romanzi William Trevor Vollmann un po' il mio mondo l'ha salvato dall'orrore.
Tommaso Pincio scriveva così:
“C'era una volta un giovane che voleva essere più di ciò che era in realtà. Il giovane si sentiva a tal punto infelice che un giorno acquistò due macchine fotografiche, tre obiettivi, quaranta rullini e si mise in marcia sulle colline del Pakistan deciso a valicare le montagne. Voleva andare in Afghanistan, e ci voleva andare non perché quel paese era l'Afghanistan, ma perché quel paese era stato invaso dai russi. Lo scopo del giovane era stato invaso dai russi. Lo scopo del giovane era essere buono, contribuire al salvataggio del mondo ponendo rimedio a miserie esotiche. Sotto un cielo azzurro polvere, egli fotografò le pallottole che sibilavano vicino alle orecchie e la gente che viveva nei campi profughi, disegnò mappe e pistole, raccolse dati e stese un memoriale della sua esperienza di aspirante benefattore. Ma non riuscì né a salvare il mondo né a diventare buono. Divenne invece una strana specie di Rimbaud californiano, un uomo che ha passato decine di stagioni all'inferno, dormendo tra i ghiacci dell'estremo nord, amoreggiando con le prostitute dell'estremo oriente, esplorando i luoghi meno raccomandabili del pianeta, accostando reietti di ogni tipo e raccontando tutto ciò con una prosa che dà le vertigini, una prosa tenera e animalesca al contempo, immediata nonostante i mille arabeschi. In sostanza è diventato uno scrittore, uno che avrebbe voluto salvare il mondo e alla fine è restato a guardarlo. Ma se è vero quel che sosteneva George Orwell, ovvero che dietro ogni grande libro si nasconde un fallimento, è difficile immaginare libro più luminoso e straziante di Afghanistan Picture Show. Non fosse altro perché racconta l'inizio, il primo degli straordinari fallimenti di William Trevor Vollmann.”
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Voglio rendere omaggio a Samuel Paty insegnante di
storia e geografia presso un istituto scolastico a
Conflans-Sainte-Honorine (nel dipartimento degli Yvelines, regione
dell'Île-de-France) decapitato per aver voluto parlare di libertà.
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