"L'ingranaggio del potere" di Lorenzo Castellani (Liberilibri Editrice)

 

I competenti al potere di oggi stabiliscono i criteri d'accesso al potere per i competenti di domani. L'economista Raghuram Rajan ha parlato in questo senso di una “meritrocrazia ereditaria”, che popola i vertici della gerarchia sociale. Per queste élite tecnocratica, la vita politica deve essere concentrata nelle mani degli esperti. Da qui, come passo successivo della propria legittimazione, le proposte di maggiore devoluzione di funzioni e poteri alle istituzioni non maggioritarie e alle reti dei tecnici. Di conseguenza, nelle nostre società odierne, la gerarchia del potere viene sempre più finemente ordinata in base ai livelli di prestigio dell'istruzione e ai diversi titoli universitari. La tecnocrazia diviene così l'effetto paradossale di un'aspirazione egualitaria, delle pari opportunità che finiscono per creare una diseguaglianza basata sul merito. Più una società è egualitaria, più l'ideale meritocratico sarà presente e più la diseguaglianza generata sarà forte.” (pp. 196-197)

Sono molto contento che il presidente Mattarella abbia conferito a Draghi il mandato esplorativo per formare un nuovo governo e auspico una convergenza il più ampia possibile e con esponenti di alto profilo (non mi dispiacerebbe ad esempio che nell'esecutivo figurassero figure come Enrico Giovannini, Marta Cartabia o Sabino Cassese) in grado di traghettare l'Italia fuori dalla crisi sanitaria e sociale, gestire al meglio i soldi del Recovery e attuare le necessarie riforme. 

Tutto giusto anche se poi l'arrivo di un ennesimo governo "tecnico/politico" è la chiara dimostrazione del fallimento totale della politica e dei partiti. 

Proprio ieri ho letto un saggio che aspettavo da tempo: “L'ingranaggio del potere” di Lorenzo Castellani (Liberilibri) che analizza, storicamente e filosoficamente come il principio di competenza e l'assolutismo dei tecnici abbiano ormai eroso i fondamenti del liberalismo politico, ingessato il sistema, sacrificato la politica e il conflitto sull'altare della tecnica, dei Migliori. Un saggio molto bello, di facile lettura e che consiglio a tutti perché svela come (l'analisi parte dall'Antica Grecia) la tecnocrazia si stia sempre più sostituendo alla democrazia, alla rappresentanza, ai partiti, ai parlamenti, al dibattito pubblico.

La tecnocrazia neutralizza ogni conflitto politico, ideologico, culturale; riduce le differenti posizioni in campo; costringe in uno spazio più ridotto la discussione; organizza la gerarchia sociale in base al livello di conoscenza specialistica. Il tecnocrate disciplina la società sradicando quante più opportunità di scelta possibili. La sua missione è la riduzione della società a un unico criterio di gestione.” (pag. 56)

Il finale mi ha anche particolarmente commosso perché gli Stati Uniti d'Europa che sogno sono quelli fondati su un federalismo robusto, sulla decentralizzazione virtuosa e responsabile, sulle comunità (metropoli, città, cittadine, cantoni...) che collaborano, cooperano e si stimolano a vicenda.

Vi lascio un piccolo passaggio con una citazione di Thomas Jefferson che parla di decentralizzazione/federalismo:

Scriveva quel gran saggio di Thomas Jefferson: “È dividendo e suddividendo la grande repubblica nazionale in queste repubbliche minori fino alla ripartizione più minuta, finché si giunga all'amministrazione da parte di ciascun individuo della propria fattoria; è attribuendo ad ognuno la direzione di ciò che può tenere d'occhio personalmente, che tutto verrà fatto per il meglio. Che cosa è stato a distruggere la libertà e i diritti dell'uomo in ogni governo esistita sotto il sole? L'estendere e il concentrare tutti i poteri e le funzioni in un solo corpo, non importa che si tratti degli autocrati di Russia o di Francia, o dei patrizi del senato veneziano.” (pag. 222)

e il finale che è un vero inno alla politica e ai valori del liberalismo:

 
Infatti se la storia, da un lato, è la rappresentazione della marcia della ragione verso la vittoria, dall'altra è la rappresentazione della rivolta dell'ignoranza e della scelleratezza contro la supremazia della ragione. E senza questa rivolta non ci sarebbe affatto la storia. Al fine di eliminare dalla sfera politica non la politica di potenza – che va oltre la capacità di qualsiasi filosofia o sistema politico – ma la distruttività della politica di potenza, sono necessarie facoltà razionali, diverse e superiori alla razionalità scientifica.
Gli esperti di oggi, d'altra parte, hanno la tendenza a pensare che il mondo sia pieno di “problemi” a cui essi devono trovare delle soluzioni. Ma il mondo non è pieno di problemi; il mondo è pieno di altre persone. E questo non è un problema, ma una condizione. La politica esiste proprio perché il mondo è pieno di altre persone. Queste hanno idee, modi di vita e preferenze diverse e, alla fine, non esiste una “soluzione” alla loro esistenza. Tutto quello che si può fare è pensare una forma di convivenza civile con gli altri, e questa è la missione fondamentale della politica. 
Qualsiasi tentativo di neutralizzare del tutto il conflitto, anche con i mezzi tecnici più avanzati, è infatti destinato a scontrarsi con il sottosuolo della politica, con le pulsioni e l'irrazionalità, con i limiti conoscitivi dell'individuo, e con la pluralità di interessi, passioni, ragionamenti che scuotono a vari livelli il vivere associato degli esseri umani. La politica resta infatti un processo di discussione, e la discussione richiede, nel senso greco del termine, una certa dialettica. La politica ha bisogno di uomini che agiscono liberamente, ma gli uomini non possono agire liberamente senza la politica. La missione originaria e originale della politica è un metodo per governare le società divise senza violenza. E tutte le società sono divise e disomogenee al loro interno, anche se alcuni pensano che il problema sia proprio questo. Ancora oggi, noi non possiamo fare altro che onorare la “mera politica” per risolvere i conflitti della comunità e per coltivare la responsabilità dei governanti e dei governati, diffidando e temendo coloro che pretendono di essere in grado di fare di meglio in altro modo. Poiché dietro ogni tentativo di annullare la politica come processo di discussione si nasconde un pericolo dispotico.” (pp. 223-224)
 

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