NESSUNO TOCCHI CAINO - IRAN: MORTA DUE VOLTE, DI CREPACUORE E DI PENA DI MORTE
NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
Anno 21 - n. 9 - 27-02-2021
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : IRAN: MORTA DUE VOLTE, DI CREPACUORE E DI PENA DI MORTE
2. NEWS FLASH: IN QUESTO PAESE CHI SBAGLIA, INDIPENDENTEMENTE DAL PERCORSO CHE POI HA INTRAPRESO, RIMANE SEMPRE COLPEVOLE
3. NEWS FLASH: USA: 11 NUOVI NOMI AGGIUNTI ALLA ‘INNOCENCE LIST’
4. NEWS FLASH: ONU: BACHELET PLAUDE ALL’IMPEGNO DI BIDEN SULLA PENA CAPITALE
5. NEWS FLASH: INDIA: L’ALTA CORTE DI BOMBAY ANNULLA UNA CONDANNA A MORTE
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
IRAN: MORTA DUE VOLTE, DI CREPACUORE E DI PENA DI MORTE
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 26 febbraio 2021
All’alba di mercoledì 17 febbraio, nel carcere di Rajaei Shahr a Karaj,
città che dista una ventina di chilometri da Teheran, è accaduto qualche
cosa di inimmaginabile. Una donna, Zahra Esmaili, ha avuto un attacco
di cuore dopo aver assistito all’impiccagione di un gruppo di uomini.
C’è chi parla di sei, altre fonti riferiscono di 8, altre ancora di 16.
Fatto sta che uno dopo l’altro sono stati giustiziati mentre lei
aspettava il suo turno per salire sul patibolo. Il suo cuore non ha
retto. E’ crollata. Il verdetto è stato però eseguito lo stesso. Il capo
della donna è stato infilato nel cappio ed il suo corpo, ormai morto,
fatto penzolare dalla corda.
Secondo l’avvocato Omid Moradi infatti il certificato ufficiale attesta
come causa del decesso l’arresto cardiaco. Ad aggiungere ulteriore
ribrezzo c’è un altro dettaglio raccontato sempre dall’avvocato. Quello
per cui Fatemeh Asal-Mahi, la madre della vittima, avrebbe preso
personalmente a calci lo sgabello da sotto i suoi piedi in modo da poter
vedere il cadavere di sua nuora pendere dalla forca, anche se per pochi
secondi. L’avvocato ha anche raccontato che Zahra Esmaili, aveva 42
anni e due figli ed era stata condannata a morte per l’omicidio del
marito, Alireza Zaman, un alto funzionario del Ministero
dell’Intelligence.
In realtà l’omicidio lo avrebbe confessato per salvare la figlia
adolescente. Sarebbe stata lei infatti a sparare al padre che picchiava e
maltrattava regolarmente sia la moglie che i figli. Portava a casa
donne sotto i loro occhi. Aveva persino minacciato di uccidere la moglie
e aveva tentato di violentare la figlia.
Dall’inferno di casa, Zahra Esmaili, si era così ritrovata nell’inferno
del carcere. Perché la sua pena l’ha scontata nel famigerato istituto
penitenziario femminile di Qarchak dove sono stipate assieme circa 2000
donne che siano detenute per ragioni politiche o per reati d’altra
natura, che siano condannate definitive o in attesa di giudizio, che
siano giovani o anziane.
I letti non bastano per tutte e le detenute sono costrette a dormire per
terra. Ci sono descrizioni di celle di 9 metri quadri con 11 detenute.
Acquitrini e paludi circondano questo carcere infestato così da ratti e
insetti.
Per ogni 100 detenute ci sono 10 toilette ma di queste ne funzionano
tre, ben che vada quattro. Secondo alcuni rapporti, le detenute
subiscono ogni forma di tortura, compreso lo stupro. Chi si lamenta o
protesta per le condizioni inumane e degradanti viene spedito
all’isolamento.
Le condizioni sono tali che la minaccia di trasferimento a Qarchak è
usata spesso come mezzo di pressione nei confronti delle detenute
politiche secondo Iran - Human Rights Monitor. Insomma, una realtà che
molti di noi riterrebbero plausibile solo in un film dell’orrore.
Il 15 febbraio, Zahra Esmaili era stata trasferita da questo
penitenziario nella sezione di isolamento a Rajaei Shahr, insieme ad
altri dieci condannati a morte.
La consuetudine iraniana vuole che gli ultimi giorni di un condannato a
morte siano trascorsi in isolamento. Zahra Esmaili aveva così trascorso
le sue ultime ore a Rajaei Shahr, chiamato anche Gohardasht, una galera
altrettanto infausta se penso che qui sono avvenute gran parte delle
esecuzioni di massa del 1988 quando oltre 30.000 prigioni politici
appartenenti ai mojaheddin del popolo iraniano sono stati giustiziati
nel giro di pochi giorni dal regime dei Mullah.
Lo stesso regime che pochi giorni fa ha impiccato Zahra Esmaili
nonostante fosse già morta, portando a 114 il numero di donne
giustiziate sotto la Presidenza Rouhani, cioè dall’estate del 2013. E’
una cifra impressionante. Come impressionante è il fatto che in Iran la
discriminazione di genere assuma forme parossistiche: nei procedimenti
legali, la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo e
la versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una
vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Se uccide una
donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a
morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella
dell’assassino la metà del suo “prezzo del sangue”. E poi, l’età minima
per la responsabilità penale è di poco meno di nove anni per le donne,
di poco meno di 15 anni per gli uomini. Lo stupro coniugale e la
violenza domestica non sono considerati reati penali.
Tutto questo deve indurci ad impegnarci per liberare l’Iran da un regime
misogino e sanguinario. A non dare la nostra condizione di vita, per
quello che di buono ha, per scontata. A riconsiderare le priorità nelle
relazioni bilaterali e multilaterali con l’Iran, ponendo al primo punto,
sempre e comunque, il rispetto dei diritti umani.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
IN QUESTO PAESE CHI SBAGLIA, INDIPENDENTEMENTE DAL PERCORSO CHE POI HA INTRAPRESO, RIMANE SEMPRE COLPEVOLE
di Rosario Giugliano
Vi racconto la mia storia. L’inizio è triste, per colpa mia. Il seguito è
lieto, per merito mio. Il finale è di nuovo triste, ma non per colpa
mia. Sono nato a Poggiomarino, Napoli, nel 1961, in una modesta famiglia
di lavoratori che, nonostante le difficoltà economiche dell’epoca, non
hanno mai fatto mancare nulla né a me né ai miei fratelli, tre maschi e
due femmine.
Fin da piccolissimo il più “vivace” dei figli ero io e col passare degli
anni questa mia vivacità mi ha creato non pochi problemi. Sono stato
arrestato la prima volta a 14 anni. Il carcere minorile invece che
attenuare la mia vivacità l’ha accentuata. Nei due anni successivi ho
commesso parecchi altri reati, sicché, nel 1977, all’età di 16 anni,
sono stato arrestato di nuovo. Alla fine ho cumulato una condanna a 20
anni. Ho passato i primi due anni nelle carceri minorili e avevo una
vera e propria allergia alle regole.
Raggiunta la maggiore età, sono stato trasferito a Poggioreale, quando
regnava Cutolo. Allora si viveva in un clima di ostilità, c’erano le
rivolte e le contrapposizioni anche fra detenuti. Ho ripreso a
girovagare per le carceri e nell’84 arrivai all’isola di Pianosa, dove
ci restai per cinque anni, finché un Magistrato di Sorveglianza,
Margara, persona perbene, ha compreso la vita disastrata che avevo
vissuto e mi ha dato un’opportunità che non valorizzai. Al primo
permesso, non rientrai più in carcere. Dopo aver causato molte vittime,
la latitanza finì una mattina di aprile del 1991. Iniziai subito una
riflessione su quello che era stato il mio vissuto o il non vissuto. Ero
consapevole che i miei giorni li avrei finiti in un carcere. Questo non
mi spaventava, sapevo di cosa ero responsabile e mi assunsi le mie
responsabilità. Mi fu tolto l’ergastolo e mi venne comminata una
condanna a trenta anni. Ma ho continuato a girare le carceri di mezza
Italia, sono stato anche al 41 bis dove ci sono rimasto per 13 anni. Proprio nelle catacombe
del 41 bis, nonostante le angherie di quel regime, la mia riflessione e
la voglia di cambiare si rafforzarono sempre di più. Una “luce” si era
accesa nel mio animo. Essendo di estrazione cattolica mi piace pensare
che dall’alto “qualcuno” abbia voluto prendermi per mano e accompagnarmi
in una nuova vita.
Nel 2008 sono stato declassificato e trasferito a Opera dove c’era uno
spirito e un approccio diverso, c’era modo di farsi conoscere come
persona. Ho partecipato a diversi progetti trattamentali, tra cui quello
di giustizia riparativa, progetto che umanamente mi ha dato tantissimo.
Iniziai a usufruire di benefici, prima i permessi, poi la semilibertà
che per me significò riprendere a vivere. Con la mia compagna iniziammo a
comporre quei tasselli di “normalità” che ci portarono prima a
intraprendere una nostra piccola attività e poi, nel 2015, a coronare il
sogno della nostra esistenza, la nascita di Alberto, creatura che ha
travolto, in senso positivo e gioioso, la nostra vita.
Purtroppo, nel dicembre del 2015, per una infrazione al piano
trattamentale, tutto fu messo di nuovo in discussione, mi fu revocata la
semilibertà, e iniziai a vedere la mia compagna e il mio piccolino una
volta al mese. Mi sono dovuto ricalare di nuovo nella quotidianità del
carcere che sono riuscito a sopportare grazie a Nessuno tocchi Caino che
si è inventato i “laboratori del cambiamento” e quel capolavoro di
Ambrogio Crespi che è stato il docufilm “Spes contra Spem”. Ora, da un
anno sono un uomo libero con il solo vincolo della sorveglianza
speciale.
In conclusione, perché ho fatto questo scritto? Semplicemente per dire
che in questo Paese, se sei stato un colpevole, e io lo sono stato, se
sei stato giustamente condannato, se hai scontato la pena fino
all’ultimo giorno, questo non basta. Nonostante la Costituzione, per la
giustizia italiana io rimarrò, finché sarò in vita, un colpevole. Lo
dico perché alcuni giorni fa, il 17 febbraio, dopo una vita di sacrifici
e alcuni mesi di grande sofferenza, è venuta a mancare mia madre, una
donna di altri tempi e cultura, che ha sacrificato la sua vita
dedicandola a mio Padre e a noi figli, tra cui Carmine, affetto sin
dalla nascita da una gravissima malattia per cui non ha mai parlato,
camminato, capito praticamente nulla. Fortunatamente, tranne me, gli
altri figli non le hanno mai dato dispiaceri, tutti hanno intrapreso una
vita regolare affermandosi nei loro mestieri, mai nessuno di loro ha
trasgredito le regole del vivere civile, mai un appunto, men che meno
una denuncia o una multa. La pecora nera della famiglia sono stato solo io.
Morta mamma, essendo io sottoposto ad una misura di sicurezza, ho fatto
istanza al Tribunale di Napoli per poter stare qualche ora a casa,
assieme ai miei fratelli, da mamma e poi partecipare in chiesa ai suoi
funerali. Il Tribunale mi ha concesso il permesso di partecipare
all’intera funzione, ma poche ore prima che iniziasse il rito,
funzionari della Questura hanno comunicato ai miei familiari un
provvedimento del Questore di Napoli, Alessandro Giuliano, che
sospendeva il funerale: “essendo la mamma del pluripregiudicato
Giugliano Rosario, per motivi di ordine pubblico non si poteva fare il
rito funebre”. Ho subito comunicato alle autorità che avrei rinunciato a
partecipare ai funerali purché mia mamma, una donna molto cattolica,
potesse passare per la chiesa. Non c’è stato nulla da fare, il questore
aveva deciso e nulla avrebbe fatto cambiare la decisione. Fosse stato il
mio funerale, avrei capito e per quando mi riguarda, quando arriverà il
mio momento, possono anche farmi un fosso da qualche parte e finirla li. Ma mia mamma, poverina!
Pur non avendo mai infranto nessuna legge di questo Paese e mai resasi
responsabile di alcun reato, tranne la colpa di avermi messo al mondo, è
stata trattata come una delinquente. La morale è che in questo Paese
chi sbaglia, indipendentemente dal percorso che poi ha intrapreso,
rimane sempre colpevole. Comunque, a parte l’amarezza, il mio percorso
me lo tengo stretto, perché ritengo oggi di essere una persona migliore.
Non so se lo Stato, questo Stato senza grazia e senza pietà, può dire
lo stesso di sé.
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USA: 11 NUOVI NOMI AGGIUNTI ALLA ‘INNOCENCE LIST’
Il Death Penalty Information Center aggiunge 11 nuovi nomi alla
“Innocence List”, lista dei prosciolti dopo essere stati condannati a
morte. Con i nuovi casi, la “Innocence List” del DPIC elenca 185 persone
che, dal 1° gennaio 1973 ad oggi, hanno avuto la tenacia, ma anche la
fortuna, di riuscire ad essere prosciolti e scarcerati dopo aver
ricevuto una condanna a morte.
I dati ora mostrano che per ogni 8,3 persone che sono state messe a
morte negli Stati Uniti dalla ripresa delle esecuzioni nel 1977, una
persona che era stata ingiustamente condannata e condannata a morte è
stata prosciolta. Condanne capitali illecite si sono verificate
praticamente in ogni parte del paese, con proscioglimenti (che vengono
definiti “esoneri”) documentati in 29 stati e 118 contee diverse.
"La paura peggiore di tutti riguardo alla pena capitale è che persone
innocenti vengano ingiustamente condannate e giustiziate", ha affermato
Robert Dunham, Direttore del DPIC. “Ma più impariamo su ciò che accade
realmente in questi casi, peggiore diventa il problema. Finché il
sistema legale coinvolge gli esseri umani, è garantito che commettano
errori. Ma la maggior parte delle persone innocenti che vengono
ingiustamente condannate e mandate nel braccio della morte non ci
arrivano per errore. I dati di questi 185 esoneri mostrano che molto più
frequentemente, e in particolare con le persone di colore, i
prigionieri del braccio della morte innocenti sono stati condannati a
causa di una combinazione di cattiva condotta della polizia o
dell'accusa e vari tipi di testimonianza palesemente false, o anche solo
sbagliate".
L'analisi dei 185 casi rivela modelli inquietanti di cattiva condotta
della polizia e dell'accusa, e pregiudizi razziali. Quasi il 70% degli
esoneri riguardava comportamenti scorretti da parte di polizia, pubblici
ministeri o altri funzionari governativi. L'80% delle condanne capitali
illecite comportava una combinazione di cattiva condotta e
falsa/sbagliata testimonianza. In media, i casi generati da
comportamenti scorretti hanno richiesto più tempo per raggiungere
l'esonero.
La cattiva condotta è stata implicata in tutti gli otto esoneri che
hanno richiesto più di 30 anni e nell'88% degli esoneri che hanno
richiesto 21-30 anni. La cattiva condotta si è verificata più spesso nei
casi che coinvolgevano detenuti neri (78,8%) rispetto ai bianchi
(58,2%). Gli esonerati neri hanno trascorso una media di 4,3 anni in più
aspettando l'esonero rispetto ai bianchi.
Ovviamente il più alto numero di esoneri si è verificato in quelle
contee che fanno un uso molto maggiore della media della pena capitale.
Mentre in 91 contee si è riscontrato un esonero, i restanti 94 esoneri
sono stati registrati in 27 contee. La Contea di Cook (al cui interno
c’è Chicago), in Illinois, ha avuto 15 esonerati dal braccio della morte
dal 1973, più del doppio del numero di qualsiasi altra contea degli
Stati Uniti. È seguita dalla Cuyahoga County (Cleveland), Ohio; e la
contea di Philadelphia, Pennsylvania, con sei esoneri ciascuna. La
Contea di Maricopa (Phoenix), Arizona; e la contea di Oklahoma (Oklahoma
City), Oklahoma, ne hanno cinque ciascuna. Da sole queste cinque contee
rappresentano 37 esoneri dal braccio della morte, un quinto del totale
della nazione. E oltre il 95 per cento delle condanne capitali ingiuste e
delle condanne a morte in queste contee comportava una combinazione di
cattiva condotta della polizia o del pubblico ministero e / o spergiuro
di testimoni o false accuse.
28 proscioglimenti sono stati ottenuti grazie a test del Dna, test che o
non erano disponibili all’epoca del primo processo, oppure erano stati
negati dalla Corte.
Kirk Bloodsworth, direttore esecutivo di Witness to Innocence e il primo
sopravvissuto al braccio della morte a essere esonerato dal DNA, del
nuovo rapporto ha detto: "Con un numero così elevato di errori scoperti,
non c'è più bisogno di chiederselo, possiamo anche essere sicuri che
persone innocenti sono state giustiziate".
Gli undici nuovi casi, inseriti nella Innocence List con i numeri da 175 a 185, sono:
175. Anthony Carey (North Carolina), Nero, condannato nel 1973 e prosciolto nel 1974;
176. Howard Jackson Stack (Georgia), Bianco, condannato nel 1973 e prosciolto nel 1975;
177. John Thomas Alford (North Carolina), Nero, condannato nel 1975 e prosciolto nel 1976;
178. Gary Radi (Montana), Bianco, condannato nel 1975 e prosciolto nel 1978;
179. Thomas Pearson (Ohio), Nero, condannato nel 1976 e prosciolto nel 1980;
180. Charles Lee Bufford (Alabama), Nero, condannato nel 1978 e prosciolto nel 1981;
181. Justin Cruz (Texas), Ispanico, condannato nel 1984 e prosciolto nel 1985;
182. Claude Wilkerson (Texas), Bianco, condannato nel 1979 e prosciolto nel 1987;
183. Charles Tolliver (Ohio), Nero, condannato nel 1986 e prosciolto nel 1988;
184. Bonnie Erwin (Texas), Nero, condannato nel 1985 e prosciolto nel 1989;
185. Andre Minnitt (Arizona), Nero, condannato nel 1993 e prosciolto nel 2002.
In occasione di questo articolo il DPIC aggiorna le varie statistiche
della Innocence List, come la prevalenza di detenuti di colore (99) sui
bianchi (67), la divisione per stati e contee (in Florida 30 esoneri, in
Illinois 21, in Texas 16, 12 in North Carolina, 11 in Louisiana e Ohio,
10 in Arizona Oklahoma e Pennsylvania, e giù a seguire, motivi delle
condanne poi annullate, e un breve resoconto di ogni singolo caso.
DPIC inoltre riassume in una tabella gli “errori” riscontrati nei casi:
Comportamenti scorretti di polizia/procuratori in 128 casi (69,2%)
False confessioni (estorte) in 30 casi (16,2%)
Prove forensi sbagliate o falsificate in 59 casi (31,9%)
Inadeguata assistenza legale in 47 casi (25,4%)
Prove insufficienti in 17 casi (9,2%)
Identificazione errata da parte di testimoni in 37 casi (20%)
Spergiuro o falsa testimonianza in 125 casi (67,6%)
Esoneri ottenuti grazie al DNA in 28 casi (15,1%)
(Fonti: DPIC, 18/02/2021)
ONU: BACHELET PLAUDE ALL’IMPEGNO DI BIDEN SULLA PENA CAPITALE
La responsabile per i diritti umani delle Nazioni Unite il 23 febbraio
2021 ha accolto con favore l'impegno del presidente degli Stati Uniti
Joe Biden di lavorare per l'abolizione della pena di morte negli Stati
Uniti.
Biden, un Democratico, ha promesso agli elettori l'anno scorso che
avrebbe cercato di porre fine alla pena di morte federale, ed è entrato
in carica il mese scorso come primo presidente abolizionista del Paese.
"Accolgo con favore la promessa della nuova amministrazione degli Stati
Uniti di lavorare per porre fine alla pena di morte, sia a livello
federale che statale", ha affermato Michelle Bachelet, Alto Commissario
delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
La punizione a livello federale è stata ripresa da Donald Trump lo
scorso anno dopo una pausa di 17 anni causata in parte dalla crescente
difficoltà di procurarsi farmaci per le iniezioni letali.
Merrick Garland, il candidato di Biden per la carica di procuratore
generale degli Stati Uniti, il 22 febbraio ha detto al Congresso che il
suo sostegno alla pena di morte si è esaurito perché colpisce in modo
sproporzionato i neri e altre comunità di colore e perché sono troppi
gli errori giudiziari.
“La deterrenza è spesso un argomento di coloro che si oppongono alla sua
abolizione. Tuttavia, non ci sono prove che scoraggi il crimine in modo
più efficace di qualsiasi altra punizione", ha detto Bachelet durante
un dibattito del Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite.
"Al contrario, gli studi suggeriscono che alcuni stati che hanno abolito
la pena di morte hanno visto il loro tasso di omicidi inalterato o
addirittura diminuire", ha detto.
La delegazione degli Usa, che ha lo status di osservatore, non è intervenuta al dibattito, che si tiene ogni due anni.
La "stragrande maggioranza" dei Paesi ha abolito la pena di morte per legge o non pratica le esecuzioni, ha detto Bachelet.
Iran e Arabia Saudita, tra i primi cinque Paesi per numero di esecuzioni
praticate, durante il dibattito hanno difeso la pena capitale per i
reati più gravi, in linea con la legge della sharia.
(Fonti: Reuters, 23/02/2021)
INDIA: L’ALTA CORTE DI BOMBAY ANNULLA UNA CONDANNA A MORTE
L'Alta Corte di Bombay, nello stato indiano di Maharashtra, il 25
febbraio 2021 ha assolto un uomo che era stato condannato a morte per lo
stupro e omicidio di una bambina, ordinando un'indagine sulla squadra
investigativa per aver smarrito un elemento fondamentale di prova: una
corda di nylon che sarebbe stata utilizzata per strangolare la vittima.
Concedendo il beneficio del dubbio all'uomo, i giudici Ravindra Ghuge e
Bhalchandra Debadwar dell’Alta Corte hanno sottolineato che i tribunali
devono essere attenti nell’emettere condanne a morte.
L'uomo, padre di una bambina di sei anni, era stato condannato a morte
per aver violentato una bambina di cinque anni per poi strangolarla con
una corda di nylon, gettando il corpo in un pozzo. Avrebbe messo il
cadavere in un sacco di iuta coprendo il corpo nudo della bambina con un
vestito (un “lungi”) di suo padre.
Secondo l'accusa, il padre della bambina era morto e sua madre si era risposata, per cui la bambina era seguita dai nonni.
La bambina scomparve un giorno che era sola in casa.
Dopo circa tre giorni dalla denuncia di scomparsa presentata dalla famiglia, il suo cadavere fu trovato nel pozzo del villaggio.
La squadra investigativa aveva sequestrato il vestito come anche la corda di nylon, che fu inviata per le analisi forensi.
Un cane da fiuto si era avvicinato alla casa dell'imputato dopo aver annusato il vestito.
Oltre a questo, l'accusa si è basata anche sulla "teoria dell'ultimo
visto", dal momento che il proprietario di un negozio di alimentari del
villaggio aveva affermato di aver visto l'imputato portare la vittima
verso casa sua.
Tuttavia, dopo aver esaminato il materiale, l’Alta Corte ha concluso che
la “teoria dell’ultimo visto” non fosse confermata da altre prove.
Anche sulla prova del cane da fiuto, i giudici hanno detto che non fosse
sufficiente in quanto non considerata una prova sostanziale.
I referti medici, hanno osservato i giudici, hanno concluso che la
bambina è stata violentata e uccisa. Ma i giudici hanno detto che le
altre prove registrate non permettono di collegare l’imputato al
crimine.
Infine, i giudici hanno notato che la corda di nylon sequestrata dalla
squadra investigativa era scomparsa e che il rapporto secondo cui la
stessa era stata tagliata dalla corda trovata nella casa dell'accusato
non era stato registrato.
Di conseguenza, i giudici hanno concesso il "beneficio del dubbio"
all'imputato e lo hanno prosciolto da tutte le accuse annullando la
condanna a morte.
I giudici hanno in conclusione espresso il proprio disappunto: "Non
abbiamo alcuna esitazione nell'osservare che siamo effettivamente
disturbati dal modo in cui l'accusa ha indagato sul crimine, raccolto
prove e condotto il processo in modo molto insensibile. È un peccato che
questo duro lavoro (da parte del pubblico ministero) sia stato accolto
con un ordine di assoluzione da parte delle nostre sfortunate mani solo
perché l'accusa non ha raccolto prove e non si è nemmeno adoperata per
ottenere i rapporti sul filo di nylon".
"Non abbiamo alcuna esitazione nel chiedere alla Direzione della Procura
del Maharashtra di avviare un'azione contro i responsabili della
perdita del filo di nylon e del mancato ottenimento del rapporto", hanno
detto i giudici.
(Fonti: free press journal, 25/02/2021)
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