NESSUNO TOCCHI CAINO - LA VITA OLTRE IL FINE PENA MAI, AMBROGIO CRESPI ILLUMINA UN MONDO DOVE REGNA IL BUIO
NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
Anno 21 - n. 8 - 20-02-2021
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA VITA OLTRE IL FINE PENA MAI, AMBROGIO CRESPI ILLUMINA UN MONDO DOVE REGNA IL BUIO
2. NEWS FLASH: “CASO PIÙ RARO TRA I RARI”, PER LA PRIMA VOLTA UNA DONNA VERSO LA FORCA IN INDIA
3. NEWS FLASH: MYANMAR: LA GIUNTA MILITARE GRAZIA PIÙ DI 23.000 PRIGIONIERI
4. NEWS FLASH: SOMALILAND: CONDANNA A MORTE CONFERMATA PER CITTADINO NORVEGESE
5. NEWS FLASH: ALGERIA: JIHADISTA CONDANNATO A MORTE PER L’OMICIDIO DI UN FRANCESE
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
"LA VITA OLTRE IL FINE PENA MAI, AMBROGIO CRESPI ILLUMINA UN MONDO DOVE REGNA IL BUIO" di Sergio D’Elia su Il Riformista del 19 febbraio 2021
Ambrogio Crespi non è solo un regista di film che osserva e dirige
dall’alto lo svolgersi di una storia, è innanzitutto un uomo che pensa,
sente e agisce in comunione con la vita del protagonista della storia. È
un cantastorie incantato dalla storia che canta. Si muove e si commuove
sulla scena. Mentre gira e rigira, la vita che racconta scorre e
risuona nella sua. Il suo pensiero va, il suo cuore batte, la sua opera
si compie in armonia con lo spirito, il corpo e il vissuto dei
protagonisti dei suoi film. Non sono mai i potenti ma le vittime dei
poteri del nostro tempo e della nostra società: i ricattati e gli
avvelenati dai poteri criminali, i servitori dello stato di diritto
vittime degli stati di emergenza, i malati e gli emarginati della
società, i detenuti e i detenenti, entrambi vittime e testimoni della
pena fino alla morte e della morte per pena.
L’ho visto emozionarsi fino alle lacrime cinque anni fa, durante le
riprese di Spes contra spem-Liberi dentro, il film che ha messo a nudo i
detenuti di Opera, li ha resi visibili, ne ha scoperto l’anima, li ha
fatti concretamente sperare contro ogni speranza. L’umanità dolente del
carcere lascia il segno in chiunque. Lo ha lasciato anche in Ambrogio
che quel film non voleva fare, un po’ per pudore, quello di violare la
vita dei condannati a vita, un po’ per timore, quello di accostarsi alla
banalità del male che avevano arrecato. Ma come sempre accade,
l’umanità emerge sempre, anche nell’essere più disumano e si prende cura
di chi se ne cura. Cosa ha fatto Ambrogio? Ha – gandhianamente – preso
un raggio di sole e lo ha proiettato là dove regna la notte. “Spes
contra spem”, è stato questo: il trionfo nonviolento della luce sul
buio. Così è accaduto che dai detenuti di Opera, artefici del proprio
cambiamento, sia partito il “viaggio della speranza” ch
e ha raggiunto Strasburgo e i giudici supremi europei, creatori del
diritto umano alla speranza. La via della nonviolenza e del Diritto ha
poi portato a Roma, innanzi ai massimi magistrati italiani della Corte
Costituzionale, che hanno aperto una breccia nel muro di cinta del “fine
pena mai”.
È stato l’effetto anche dell’opera miracolosa di Ambrogio Crespi, Spes
contra spem-Liberi dentro. Un’opera che un Ministro della Giustizia,
Andrea Orlando, non ha esitato a definire un “manifesto della lotta alla
mafia”. È paradossale e, umanamente oltre che giuridicamente,
inaccettabile che l’autore di questo capolavoro artistico, politico e
civile sia oggi sotto processo per associazione di stampo mafioso, e
rischi una condanna definitiva a sei anni di carcere. Quando in tutta la
sua vita ha invece testimoniato a viso aperto, incarnato valori,
sentimenti e opere di nonviolenza, di incrollabile speranza e continua
conversione del male in bene, dell’odio in amore, di persone detenute in
persone autenticamente libere.
Di questo film, insieme a Nessuno tocchi Caino e al fratello Luigi,
Ambrogio Crespi ha iniziato in questi giorni, a cinque anni di distanza
dal primo, le riprese del suo seguito: Spes contra spem-La colpa e il
perdono. Dopo il “senso di colpa” e la consapevolezza del danno
arrecato, il “senso della colpa”, l’immersione in una nuova vita alla
luce della coscienza. Dopo aver distrutto, nella loro prima vita, la
vita del prossimo e la loro stessa vita, i detenuti di Opera rinascono a
una seconda vita e, come Caino, diventano costruttori di città.
Testimoni e artefici di una grande opera di conversione, interiore e
culturale, da un sistema di giustizia che punisce e separa a un sistema
di giustizia che riconcilia e ripara. Con il seguito di “Spes contra
spem”, il “viaggio della speranza” continua e corre ora verso una nuova
frontiera, quella invocata da Aldo Moro: «non un diritto penale
migliore, ma qualcosa di meglio del diritto penale».
In questo altro viaggio, Ambrogio si è commosso di nuovo, alcuni giorni
fa, alle prime riprese de La colpa e il perdono. Quando ha sentito le
parole e le emozioni di Gherardo Colombo, il giudice che si è dimesso
dalla magistratura, dopo trentatré anni di servizio, perché l’idea di
mandare in galera una persona lo tormentava, perché ha cominciato a
pensare che il carcere non fosse più compatibile con il suo senso della
giustizia, perché ha sentito tutta l’ingiustizia della prigione.
Ambrogio si è commosso ancora, il giorno dopo, quando ha ripreso il
volto sereno e il sorriso di Giovanna Di Rosa, Presidente del Tribunale
di Sorveglianza di Milano, i suoi pensieri a favore di una giustizia
gentile, temperata dalla grazia, che tuteli i diritti delle persone
detenute e sappia cogliere la diversità dell’uomo della pena rispetto a
quello del delitto.
Afferma un principio eracliteo Giovanna Di Rosa: niente resta sempre
uguale, tutto scorre. «La flessibilità della pena è una cosa
meravigliosa: permette a un fatto brutto qual è un reato, che causa
dolore, di essere sanato sotto forma di riconciliazione». È questa,
secondo lei, la missione di un magistrato di sorveglianza: valutare il
cambiamento sempre possibile nella natura dell’uomo; avere fiducia nel
cambiamento e nel valore dell’uomo, valore che non va mai perso per
nessuna delle persone che esistono sulla terra.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
“CASO PIÙ RARO TRA I RARI”, PER LA PRIMA VOLTA UNA DONNA VERSO LA FORCA IN INDIA
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 19 febbraio 2021
Shabnam aveva una relazione con Salim e voleva sposarlo, ma sulla via
della sua storia d’amore v’era un ostacolo insormontabile: la dura
opposizione da parte della sua famiglia. Gli abitanti del piccolo
villaggio di Bawankhedi, adiacente alla città di Hasanpur, nel distretto
di Amroha, ricordano ancora il raccapricciante episodio avvenuto la
notte tra il 14 e il 15 aprile 2008, quando un’intera famiglia è stata
spazzata via a colpi di ascia. Prima di ucciderli con l’aiuto del suo
amante, Shabman aveva fatto bere ai suoi familiari latte mescolato con
sedativi. Non ha risparmiato nessuno.
Ha ucciso suo padre Shaukat, la madre Hashmi, i fratelli Anees e Rashid,
la cognata Anjum e sua sorella Rabia. Shabnam aveva ucciso anche il suo
piccolo nipote, Arsh, strangolandolo a morte. Il caso è stato trattato
nel tribunale di Amroha per due anni e tre mesi. Dopo di che, il 15
luglio 2010, in soli 29 secondi, un giudice ha stabilito che Shabnam e
Salim dovevano essere impiccati fino alla morte. La sentenza di 160
pagine è stata appellata davanti all’Alta corte di Allahabad che ha
subito confermato la condanna. In India, le condanne a morte devono
essere ratificate anche dalla Corte Suprema, la quale nella storica
sentenza “Bachan Singh contro lo Stato del Punjab” del 9 maggio 1980 ha
sostenuto che la pena capitale può essere applicata solo se il caso
rientra tra quelli “più rari tra i rari”.
La strage di un’intera famiglia a colpi di accetta non è un fatto che
accade tutti i giorni in India. Così, nel 2015, anche la più alta corte
indiana ha stabilito che la pena doveva essere quella dell’impiccagione.
Dopo questo, Shabnam e Salim hanno tentato l’ultima risorsa, una
petizione di misericordia al Presidente, ma la loro richiesta è stata
respinta. Shabnam è attualmente dietro le sbarre a Bareilly, mentre
Salim è detenuto nella prigione di Agra. Se tutto procederà come
stabilito dai giudici, Shabnam sarà giustiziata nell’unica camera della
morte indiana destinata alle esecuzioni di donne. La stanza della morte
per sole donne del Paese si trova nella prigione di Mathura, vicino a
Jawahar Bagh, nello Stato dell’Uttar Pradesh, ma è quasi sconosciuta a
tutti perché nessuno è stato impiccato lì fino a oggi. È stata costruita
all’interno delle mura della prigione durante il dominio britannico nel
1870 e l’unica menzione a questa stanza della forca può essere trovata nel UP Jail Manual, 1956, che stabilisce regole elaborate
per l’esecuzione di donne detenute nel braccio della morte.
Secondo diversi recenti resoconti dei media, l’amministrazione del
carcere di Mathura ha avviato i preparativi per impiccare la donna.
Anche se la data di esecuzione non è ancora stata fissata, il
sovrintendente capo della prigione ha già ordinato la corda usata per i
condannati a morte. Shabnam sarà impiccata non appena verrà emesso
l’ordine di esecuzione. Al 31 dicembre 2020, c’erano 404 prigionieri nel
braccio della morte in tutta l’India, con l’Uttar Pradesh che aveva il
numero più alto, 59, di questi prigionieri. Le esecuzioni non sono molto
frequenti, anche per il limite del “caso più raro tra i rari” fissato
dalla Corte Suprema. Le ultime sono state effettuate nel marzo 2020,
dopo cinque anni di una moratoria di fatto, quando quattro uomini sono
stati giustiziati nella prigione di Tihar a Nuova Delhi per aver
stuprato e ucciso una giovane donna nel dicembre 2012.
Se nulla di miracoloso accadrà, Shabnam sarà la prima donna a essere
impiccata dopo l’indipendenza dell’India nel 1947. La data di esecuzione
non è ancora stata definita, quindi c’è ancora un po’ di tempo per
tentare di salvarla ed evitare che un altro paese democratico che ancora
non ha abolito la pena capitale segua il triste esempio dell’America di
Trump che il 13 gennaio scorso, per la prima volta dopo 67 anni, ha
fatto giustiziare una donna, Lisa Montgomery, detenuta nel braccio della
morte federale.
Il delitto di Shabnam, come quello di Lisa, rientra sicuramente tra
quelli “più rari tra i rari”. Ma la sua esecuzione, come quella di Lisa,
sarebbe un “caso più unico che raro”, una storia fuori dal tempo e
fuori dal mondo, un fatto grave che una democrazia non può commettere.
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MYANMAR: LA GIUNTA MILITARE GRAZIA PIÙ DI 23.000 PRIGIONIERI
Il nuovo Consiglio di Amministrazione Statale a guida militare del
Myanmar il 12 febbraio 2021 ha annunciato di aver concesso la grazia a
oltre 23.000 prigionieri, sia locali che stranieri, mentre le proteste
nel Paese contro il colpo di stato proseguono per il settimo giorno
consecutivo.
Il presidente del Consiglio, comandante in capo dei Servizi di Difesa,
generale Min Aung Hlaing, ha concesso la grazia ai detenuti - 23.314
locali, 55 stranieri - che hanno ricevuto condanne per qualsiasi reato
prima del 31 gennaio 2021, ha riferito la Xinhua.
La decisione è arrivata in occasione della 74a Giornata dell'Unione, che
ricorda la storica Conferenza di Panglong tenutasi nello stato di Shan,
durante la quale, il 12 febbraio 1947, fu firmato l'accordo di
Panglong. Il Myanmar riacquistò l'indipendenza il 4 gennaio 1948.
Il decreto ha ridotto le condanne a morte all'ergastolo senza
possibilità di rilascio, l'ergastolo senza possibilità di rilascio a 40
anni, con l’esclusione di coloro che hanno ricevuto la commutazione
della pena di morte in ergastolo con precedenti provvedimenti di
amnistia.
La pena per i prigionieri che sono stati condannati all'ergastolo con
precedenti provvedimenti di amnistia sarà ridotta a 50 anni, la condanna
a oltre 40 anni di reclusione sarà ridotta a 40 anni mentre la condanna
a 40 anni o meno sarà ridotta di un quarto, ha detto il Consiglio.
La decisione – hanno aggiunto i militari - mira a trasformare i
prigionieri in cittadini rispettabili, a compiacere l’opinione pubblica e
a creare basi umanitarie e compassionevoli mentre si stabilisce un
nuovo stato democratico con pace, sviluppo e disciplina.
Il generale Min Aung Hlaing ha detto che la concessione della grazia fa
parte di uno sforzo per costruire un "Paese democratico con disciplina".
I rilasci di massa di prigionieri sono comuni durante le festività nazionali in Myanmar, ha ricordato la CNN. Questo è tuttavia il primo provvedimento del genere adottato
dall’attuale governo dei militari sotto Min Aung Hlaing, che ha preso il
potere con un colpo di stato il 1° febbraio, estromettendo l'ex leader
de facto Aung San Suu Kyi.
I militari hanno arrestato Suu Kyi, l'ex presidente U Win Myint e altri
importanti membri della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD).
Oltre al colpo di stato, successivo ai risultati controversi delle
elezioni parlamentari dell'8 novembre 2020, i militari hanno anche
dichiarato lo stato di emergenza per un anno e hanno attribuito il
potere al Comandante in capo.
Nonostante il divieto di raduni in Myanmar, il 12 febbraio sono
proseguite le proteste contro il colpo di stato nelle principali città,
tra cui Nay Pyi Taw, Mandalay e Yangon.
(Fonti: IANS, 12/02/2021)
SOMALILAND: CONDANNA A MORTE CONFERMATA PER CITTADINO NORVEGESE
La Corte d'Appello di Hargeisa, capitale del Somaliland, il 14 febbraio
2021 ha confermato la condanna a morte del cittadino norvegese Saad
Jirde Hayd, 54 anni.
Hayd potrebbe essere fucilato nei prossimi giorni, scrive il quotidiano Dagbladet.
Lo scorso novembre Hayd è stato condannato a morte perché avrebbe ucciso una persona spruzzandogli addosso una sostanza tossica.
Da parte sua, Hayd ha affermato di aver usato una bomboletta spray al peperoncino da auto-difesa, essendo stato aggredito.
Alle 5 di mattina del 14 febbraio, Saad Jirde Hayd è stato trascinato
fuori dalla sua cella e portato in tribunale nel centro di Hargeisa.
Lì, senza la presenza degli avvocati, la sua condanna a morte è stata confermata.
La Corte d'Appello aveva comunicato un orario sbagliato agli avvocati difensori, ha affermato l'avvocato Farid Bouras.
Secondo la legge islamica della sharia e la legge del Somaliland, il verdetto è definitivo, ha detto Bouras.
Il ministro degli Esteri norvegese Ine Eriksen Søreide ha dichiarato
all'agenzia di stampa NTB che la notizia è scoraggiante e che si
assicureranno che abbia l'opportunità di presentare un ricorso.
“La condanna a morte del cittadino norvegese è stata confermata.
Condanniamo tutti gli usi della pena di morte. Stiamo seguendo da vicino
il caso e continuiamo a lavorare sia attraverso i canali politici che
diplomatici ", ha detto Søreide.
Hayd è giunto in Norvegia come rifugiato nel 1995.
(Fonti: Norway Today, 14/02/2021)
ALGERIA: JIHADISTA CONDANNATO A MORTE PER L’OMICIDIO DI UN FRANCESE
Un tribunale algerino il 18 febbraio 2021 ha condannato a morte un
jihadista per il rapimento e la decapitazione dell'alpinista francese
Herve Gourdel, avvenuti sei anni fa, al termine di un processo durato un
giorno.
L'omicidio nel 2014 in Algeria di Gourdel fu rivendicato da un gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico.
Gourdel, 55 anni, fu rapito mentre esplorava il massiccio nel Parco
Nazionale di Djurdjura, un richiamo per gli escursionisti, ma anche a
lungo un santuario per i jihadisti.
Tre giorni dopo la sua scomparsa, uomini armati della formazione
islamista Jund al-Khilafa - in arabo i “Soldati del Califfato” -
pubblicarono un video del suo omicidio.
Il processo si è aperto il 18 febbraio con 14 imputati, otto dei quali
accusati di essere jihadisti responsabili del rapimento e dell'omicidio
di Gourdel.
Tuttavia, solo uno degli otto, Abdelmalek Hamzaoui, è in carcere. Gli
altri sette sono stati processati e condannati a morte in contumacia.
Il 18 febbraio, Hamzaoui è stato portato in tribunale in ambulanza su
una sedia a rotelle, accompagnato da un'équipe medica e sorvegliato
dalle forze speciali della polizia.
Su richiesta degli avvocati della difesa, l'apertura del processo è
stata ritardata di due settimane a causa delle sue cattive condizioni di
salute.
Interrogato dal giudice, Hamzaoui ha negato di aver preso parte al
rapimento e all'uccisione di Gourdel, sostenendo di essere stato
accusato solo per "chiudere il caso e compiacere i francesi".
Hamzaoui è stato riconosciuto colpevole e condannato a morte, sebbene
dal 1993 sia in vigore una moratoria sulle esecuzioni in Algeria.
Altri sei imputati, accusati di non aver informato tempestivamente le
autorità del rapimento di Gourdel, sono stati tutti assolti, secondo un
giornalista dell'AFP in tribunale.
Cinque erano compagni di arrampicata di Gourdel, che trascorsero 14 ore
in cattività insieme a lui prima di essere rilasciati. Quattro di loro
hanno formalmente identificato Hamzaoui in tribunale come uno dei
rapitori.
(Fonti: Afp, 18/02/2021)
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