"Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze" Louis-Ferdinand Céline (Bietti, a cura di Andrea Lombardi, prefazione di Stenio Solinas)
"Vi ho parlato di Céline come di un visionario. Mi chiedo se non abbia detta una scemata colossale. Il visionario è quello delle percezioni extrasensoriali, una pastorella mistica, un papa in punto di morte, il vicario inquieto al'idea di trovarsi presto faccia a faccia con Dio. Lui era tutt'altro. Non riceveva alcuna luce dall'alto, lui. Era lucido senza luce, senza aspettare la morte, senza temerla, spaventosamente lucido in questo mondo orrendo, come avesse avuto un sesto senso che gli facesse percepire, meglio di chiunque altro, quello che c'era sotto l'apparenza delle cose. Céline? La lucidità del nostro orrore." (pag. 67, Pierre Duverger)
Sono innamorato di Louis-Ferdinand Céline sin dalla prima adolescenza. Lo conobbi attraverso "Rigodon", l'ultimo suo romanzo uscito postumo, e capitolo finale di quella Trilogia del Nord che insieme a La Bella Rogna sono forsele sue opere che preferisco, senza nulla togliere al Viaggio al termine della notte e al resto delle sue opere, comprese quelle minori poco conosciute e lette (e questo libro mi ha fatto tornare la voglia di riaprire Guignol's Band. Non smetto mai di sfogliare e rileggere le sue opere e cerco sempre di acquistare o leggere le nuove traduzioni dei suoi romanzi o i saggi a lui dedicati.
"Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze" Louis-Ferdinand Céline (Bietti, a cura di Andrea Lombardi, prefazione di Stenio Solinas) è un libro imprescindibile per tutti gli amanti dello scrittore francese e contiene delle vere e proprie gemme imperdibili. E poi è sempre bellissimo leggere le interviste a Céline.
Lascio due estratti. Il primo è tratto da una intervista alla figlia Colette:
"Mi ricordo del suo ritorno da quel famoso paese nordico. Mio padre mi aveva convocato dal signor e dalla signora Marteau. Loro l'avevano accolto con bontà e generosità nella loro magiorne a Neuilly. Ero talmente commossa nell'andare a questo appuntamento che non ricordo né il giorno nè l'ora. Mi sembra, essendo arrivata puntuale, di aver aspettato molto a lungo, con il cuore che mi batteva. Notai che i muri dello scalone erano ricoperti da grandi affreschi dipinti da Gen Paul, rappresentanti degli episodi del Voyage. Erano giganteschi, i personaggi erano a grandezza naturale. Le proporzioni dell'insieme erano quelle di un castello... Infine, proprio in cima, vidi un vegliardo irriconoscibile scendere sfiorando gli affreschi, molto lentamente, piangendo a dirotto. Eccolo da me, si gettà tra le mie braccia, e allora lo riconobbi. Era così leggero, così vecchio... Non parlammo. Le nostre lacrime che cadevano, qualche parola incoerente, ed era tutto... avevamo detto tutto..." (pag. 47)
mentre l'altro è una pagina del diario di Lucien Rebatet a proposito del funerale di Céline:
"Siamo appena tornati dal funerale di Céline. È morto sabato, verso le sei di sera, d'una congestione cerebrale. Sin dalla mattina, si sentiva sempre più malmesso, aveva i nervi a fior di pelle. Si era steso un istante, dicendo a Lucett: "Sto per morire". Al che Lucette gli rispose con la sua aria serena: "Lo dici sempre". "No, questa volta sento proprio che sto per morire". Poco dopo perse conoscenza: in venti minuti, fu tutto finito. Non sono venuto a conoscenza della sua morte che ieri sera, grazie a una telefonata di Robert Poulet. Lucette teneva assolutamente che la notizia rimanesse il più possibile segreta, che le orde di giornalisti non fossero allertate. E ha fatto bene. Non eravamo, quel mattino, che una trentina di amici (per la cronaca, Roger Nimier, Marcel Aymé, Robert Poulet, Claude Gallimard e io). Questo funerale semiclandestino è una straordinaria pagina céliniana. Il feretro era stato posato nella sua camera da letto, a lato del bagno grande, aperto. Si vedevano il lavabo, gli asciugamani e, dall'altra parte, gli stracci di Louis-Ferdinand, le sue cinque o sei canadesi sdrucite, appese le une sulle altre a un attaccapanni. Lucette avrebbe voluto una messa (Céline se ne fregava, avrebbe optato per la fossa comune), ma il curato i Bas-Meudon si era rifiutato. Aveva rifiutato persino d'inviare una religiosa per l'ultima vestizione. Siamo andati direttamente al cimitero di Vieux-Meudon. Proprio in quell'istante si è messa a cadere una pioggerella sottile, come fosse un'illustrazione di Morte a credito. Fu veramente stupefacente: appena usciti dal cimitero, il sole riapparve sulla banlieu eteroclita. Era perfettamente nell'ordine delle cose che il più grande scrittore francese del tempo fosse seppellito così, clandestinamente, da un pugno di amici, più miseramente di una lavascale." (pp. 109-110)
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