"L'estate dei fantasmi" di Lawrence Osborne (Adelphi, traduzione di Mariagrazia Gini) + Hood

 


Eh sì, cos'altro dovrei scrivere se non che anno dopo anno Lawrence Osborne è uno scrittore che mi è entrato sottopelle? Potrei chiuderla qui e invitarvi solo a leggerlo. 

Ci sono scrittori in circolazione che godono di grande credito, visibilità, attenzione e altri mari come Osborne che magari, seppur ben recensiti, passano in secondo piano e li si dimentica in fretta, li si considera autori minori. Peccato. Forse accade perché le loro opere non sono mai accomondanti o le loro storie non rispondono alle aspettative medie dei lettori o forse perché sembrano un po' troppo démodé o forse perché ti costringono con grande semplicità a metterti a nudo, a scavare nella tue contraddizioni, nei tuoi luoghi d'ombra, nelle tue esplosioni di violenza e meschinità, nei tuoi incubi e voglia di scomparire. O forse perché questi scrittori e scrittrici non sono dei "personaggi".

“L'estate dei fantasmi” é del 2017 (Adelphi, traduzione di Mariagrazia Gini) mi si è appiccicato addosso sin dalle prime pagine anche perché è ambientato quasi completamente (sono presenti anche l'Italia e New York) su un'isola greca e io adoro la Grecia e non vedo l'ora di tornarci. 

La trama non ve la racconto perché non me ne frega nulla di raccontarvi la trama (su questo blog non trovate recensioni dettagliate, quelle le potete trovare altrove) ma posso solo dirvi che questo romanzo custodisce pagine di rara bellezza: come quelle dedicate a Naomi, una delle due ragazze protagoniste del romanzo o forse la protagonista assoluta che ammanta tutto e tutti. Inglese, ricchissima, avvocatessa appena licenziata e donna manipolatrice, ferita, affascinante, calcolatrice, perduta, conturbante, fantasma, sola. Un personaggio che qualcuno troverà odioso e che invece io ho trovato semplicemente affascinante e imperdibile e della quale mi sono innamorato.

Osborne, come nel resto delle sue opere, è anche straordinario nella descrizione delle ambientazioni, che siano città, isole greche, l'Estremo Oriente. È come se mentre lo stai leggendo la tua stanza si trasformasse in una spiaggia assolata, in una discoteca, in una stanza da letto, in un traghetto, in un albergo, in un bar, in una sala da gioco, in una fumeria d'oppio. In questo romanzo, conoscendo un po' la Grecia, mi sono sentito immediamente riportato in quei luoghi che mi sono rimasti nel cuore, soprattutto quando riesce ad alternare la bellezza incontaminata dei paesaggi e delle cittadine e la massa di rovine, capanni abbandonati, sporcizia che si trovano appena dietro l'angolo. 

Ma soprattutto Osborne riesce a scrivere di ombre, fantasmi, oscurità come in pochi sanno fare.

E io lo amo soprattutto per questo perché anche io vivo di doppiezza, di ombre, di incubi ricorrenti, di volti che penso di riconoscere nella folla e dietro di me.

O forse perché più volte qualcuno ha pensato di vedermi in posti dove non sono mai stato.

O qualcuno ha pensato che io fossi morto e qualcun altro ha anche sperato che fossi morto.

E qualcuno non ha capito come avesse potuto trovarmi in quel posto.

Come ci fossi arrivato.

Una bottiglia di Ouzo o di Restina.

Le olive, una fetta di pane.

La moussaka preparata da una donna che si sedette a mangiare con noi.

Il vento.

Rodi.

Creta.

Salonicco.

I ricordi. 

Io e la mia compagna che camminiamo sulla spiaggia di Triopetra.


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E a proposito di album semisconosciuti ma straordinari, mentre sto scrivendo tengo di sottofondo questo disco incredibile.


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