NESSUNO TOCCHI CAINO - PER LA VITA E LA LIBERTÀ DI CHUC E CONG. PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN VIETNAM

Anche se la maratona per Ambrogio c'è già stata segnalo questo articolo di Francesco Storace uscito su Il Tempo "Maratona per Ambrogio Crespi"

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Nessuno Tocchi Caino News

Anno 21 - n. 14 - 03-04-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : PER LA VITA E LA LIBERTÀ DI CHUC E CONG. PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN VIETNAM
2.  NEWS FLASH: PASQUALE CONDELLO: AMMALATO, CATTIVO E COLPEVOLE PER SEMPRE
3.  NEWS FLASH: USA: RICHIESTA DI ATTENZIONE PER GERALD MARSHALL
4.  NEWS FLASH: ‘NO ALLA REPUBBLICA ISLAMICA’: L'OPPOSIZIONE IRANIANA CERCA DI UNIRSI IN UNA CAMPAGNA CONTRO IL REGIME
5.  NEWS FLASH: BANGLADESH: 14 ISLAMISTI CONDANNATI A MORTE PER IL TENTATO OMICIDIO DEL PRIMO MINISTRO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


"PER LA VITA E LA LIBERTÀ DI CHUC E CONG. PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN VIETNAM" di Elisabetta Zamparutti

Lo scorso 9 marzo, una Corte di Appello di Hanoi ha confermato le condanne di sei attivisti, comprese quelle a morte di Le Dinh Chuc e Le Dinh Cong, in relazione agli scontri avvenuti tra la polizia e gli abitanti del villaggio di Dong Tam. Nel gennaio del 2020, circa 3.000 poliziotti avevano fatto irruzione all’alba in questo paesino a una quarantina di chilometri a sud della capitale per porre fine alla resistenza che i contadini opponevano all’esproprio dei loro terreni. Nello scontro avevano perso la vita tre poliziotti e l’anziano del villaggio, Le Dinh Kinh, colpito dalle forze dell’ordine.
Kinh non aveva mai parlato con odio del governo o del Partito Comunista, di cui è stato anche funzionario. Aveva però promesso che gli abitanti del villaggio avrebbero “combattuto fino alla fine” per la terra che consideravano loro.
Il caso ha scosso il Paese, e il Governo, attraverso i media di stato, si è affrettato a dipingere questo uomo come un rivoltoso e un terrorista. Stessa sorte è toccata agli abitanti del villaggio. I poliziotti morti invece sono stati elevati a martiri. Le notizie degli scontri diffuse sui social media sono state inondate da commenti filo-governativi, mentre il Governo ha chiesto che video, articoli e commenti che criticavano l'operazione di polizia venissero rimossi.
Kinh aveva 84 anni ed era il papà Chuc e Cong, i due condannati a morte. Nella Repubblica Socialista del Vietnam la terra appartiene allo Stato, però i terreni vengono dati in concessione a contadini e privati. La sottrazione dei terreni, vuoi per fini militari, come nel caso di Dong Tam, dove si vuole costruire un aeroporto, vuoi per fini industriali, è fonte di speculazioni edilizie milionarie nel Paese che conosce una fase di forte espansione economica dopo l’apertura del mercato verso l’esterno. A guadagnarci però sono autorità e grandi imprese. A perderci sono i contadini. In migliaia oramai affrontano controversie sulla terra in tutto il Vietnam, alcuni ridotti senza un tetto o a vivere in condizioni miserabili, passando le giornate a bussare alle porte di enti governativi, con documenti comprovanti titoli sulla terra nella loro disponibilità, sperando che il loro caso venga considerato. Altri faticano ad andare avanti con un compenso che, a metro quadrato, è appena
 sufficiente per comprare una ciotola di spaghetti. C’è anche chi si è tolto la vita per questo.
Le Dinh Chuc e Le Dinh Cong hanno perso la terra, hanno perso il padre e ora rischiano di perdere anche la vita tramite iniezione letale, il modo più “dolce” e “civile” di esecuzione che nel 2011 ha sostituito il plotone di esecuzione.
Chuc e Cong non hanno però perso l’amore per la verità e per la giustizia. Il 26 marzo, Nguyen Thi Duyen, nuora di Cong e nipote di Chuc, ha fatto loro visita nella centrale di detenzione del distretto di polizia n. 2 di Hanoi. Con lei c’era anche la mamma dei due condannati a morte, Du Thi Thanh, che avendo dimenticato il documento di identità non è stata fatta entrare subito ma solo dopo che le visite con gli altri familiari erano terminate e solo per incontrare uno dei due figli.
I due fratelli condannati a morte hanno raccontato che gli agenti penitenziari li hanno esortati più volte a rivolgere una richiesta di amnistia al Presidente Nguyễn Phú Trọng. Hanno però declinato l’invito. “Lo zio Chuc ha detto che la nostra famiglia non deve piangere né addolorarsi perché lui e mio suocero affermeranno la loro innocenza fino alla fine,” ha riferito la giovane donna dopo il colloquio. “Nessuno della famiglia, come nessuno degli abitanti di Dong Tam ha ucciso qualcuno”, ha detto invece Cong ritenendo che la richiesta di amnistia equivarrebbe a un’ammissione di responsabilità. “Se avessi effettivamente ucciso qualcuno, sarei stato ossessionato dai sensi di colpa quando mi hanno tenuto in isolamento in prigione, mentre non sono stato affatto turbato da questo tipo di sentimenti.”
Chong e Chuc restano così in carcere. Da innocenti, si tengono la loro condanna e cercano di dargli un senso. Lo dobbiamo trovare e forse dare anche noi a questa incredibile vicenda. Il benessere in Vietnam non può consistere nella crescita del PIL e nell’esproprio dei terreni ai poveri. La civiltà del Paese non si misura dal passaggio dal plotone di esecuzione all’iniezione letale. Il Governo italiano, l’Unione Europea, il mondo libero che ha a cuore la proprietà privata e ha abolito la pena di morte alzi la voce per la vita e la libertà di Chuc e Cong. Per il rispetto dei diritti umani in Vietnam.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

PASQUALE CONDELLO: AMMALATO, CATTIVO E COLPEVOLE PER SEMPRE
Antonella Ricciardi

Un mese fa ho raccolto un’accorata testimonianza di Maria Morabito, il suo appello a favore del diritto alla salute di suo marito, il presunto boss della ‘ndrangheta Pasquale Condello, detenuto al 41 bis. Entrato in carcere nel febbraio del 2008, Condello più volte si è definito vittima di abusi. Non sempre è chiaro quanto ciò sia reale e quanto sia frutto di patologie psichiatriche subentrategli in prigione e che la prigione, oltretutto gravata dalle misure estreme del 41 bis, non aiuta assolutamente ad attenuare.
“Quando vi è entrato godeva di ottima salute,” dice Maria. È stato per nove anni nel carcere di Parma, dove ha iniziato a sentire scosse elettromagnetiche, qualunque cosa toccasse. Si trovava nell’area riservata del 41bis di Parma. Il 41 più duro.” Un giorno del 2012, lo trovarono in cella incosciente e lo trasferirono immediatamente nell’ospedale di Parma. Una volta rimesso dall’ospedale, iniziò a non mangiare e non bere, perché diceva che gli mettevano cose nel mangiare e pure nell’acqua che lo facevano stare molto male. “Era dimagrito tantissimo, era irriconoscibile”, hanno detto la moglie e i figli dopo avergli fatto visita.
Poi è stato trasferito in un centro psichiatrico del carcere di Livorno. È rimasto lì più di un mese, si era ripreso, ma poi è tornato a Parma e ha ricominciato a lamentarsi per le scosse. Non faceva la doccia né si lavava i denti, perché con l’acqua – diceva – soffriva di più. Quattro anni fa è stato trasferito nel carcere di Novara. “Speravamo che le cose sarebbero migliorate… ma abbiamo avuto una dolorosa sorpresa: mio marito diceva cose senza senso, sentiva voci fuori dalla sua stanza, delirava”. Uno psichiatra di Reggio inviato dalla famiglia lo ha visitato per quattro ore, gli ha fatto pure dei test e ha confermato che aveva deliri, era un malato psichiatrico e aveva bisogno di cura. “Quando andiamo a fare il colloquio, lo troviamo con una fascia in testa perché dice che ha dolori”, racconta la moglie. “Non so come hanno fatto in tutti questi anni a trattare così mio marito. Nessuna tortura di nessun genere deve essere fatta a qualunque uomo, chiunq
 ue egli sia e qualunque cosa abbia fatto.”
Sullo sfondo di questo caso, ci sono le vicende passate che avevano coinvolto da una parte la cosca Imerti-Condello-Fontana, dall’altra il potente clan dei De Stefano. Nelle parole di Maria Morabito, ho colto anche un appello contro la violenza delle faide. “Quella è stata una guerra cruenta piena di vittime innocenti. In ogni guerra di cui si parla non ci saranno mai dei vincitori: siamo tutti vinti; ancora oggi ci sono madri, mogli, figli, che piangono i loro morti.” Attualmente, Pasquale Condello, condannato all’ergastolo, pur non essendosi sentito di percorrere la strada del pentito giudiziario, non vuole avere più – dice la moglie – contatti con il crimine.
Alcuni giorni fa, Carmelo Musumeci, un tempo ergastolano senza scampo, ora volontario, dopo la sospensione del suo ergastolo, in una comunità in cui aiuta i disabili, sulla vicenda di Pasquale Condello ha scritto un suo illuminante commento.
“L’ho detto e scritto tante volte che è difficile scrollarsi il carcere di dosso e spesso mi capita di leggere notizie che vengono dal mondo carcerario che non mi aiutano proprio. In questi giorni ho letto un’intervista della giornalista Antonella Ricciardi alla moglie, Maria Morabito, dell’ergastolano Pasquale Condello, sottoposto al regime di tortura del 41 bis, che da anni soffre di patologie psichiatriche. Questa intervista mi ha fatto riflettere sul fatto evidente che in carcere tanti ergastolani, vecchi e malati, stanno morendo e quelli entrati giovani stanno invecchiando. Alcune persone pensano che questo sia un deterrente, o un modo per sconfiggere la criminalità organizzata. Personalmente non lo credo, diciamo piuttosto che penso che accada il contrario, perché una società vendicativa nell’applicare la giustizia non potrà che produrre criminali ancora più cattivi. Penso che sia sbagliato cedere parte della nostra umanità per vivere in una società più sicur
 a. Credo anche che non si debba mai rispondere al crimine con una giustizia vendicativa, che porta dritta all’arretramento culturale. E in tutti i casi, se è solo una questione di sicurezza e non di vendetta sociale, credo sia più sicura per la collettività la pena di morte che il regime di tortura del 41-bis. A lungo andare, penso che il regime di tortura del 41-bis e la pena dell’ergastolo abbiano rafforzato la cultura mafiosa, perché hanno generato odio, rancore e devianza anche nei familiari e amici dei detenuti.
La pena, lo dice la nostra Costituzione, dovrebbe essere rieducativa, ma è difficile cambiare quando sei murato vivo in una cella e non puoi più toccare le persone che ami, neppure per quell’unica ora al mese di colloquio che ti spetta.
Con il passare degli anni, i tuoi stessi familiari cominciano a vedere lo Stato e le istituzioni come nemici da odiare e c’è il rischio che i tuoi stessi figli diventino mafiosi in futuro. Spesso durante le mie testimonianze mi fanno questa domanda: “Ma se qualcuno facesse del male ai tuoi figli che pena daresti?” D’istinto rispondo spesso che li condannerei a diventare buoni, per fargli uscire il senso di colpa per il male che hanno fatto. E poi in maniera provocatoria aggiungo che sarebbe meglio la pena di morte, non la tortura del regime del 41-bis e neppure la pena di morte al rallentatore dell’ergastolo. Forse non riuscirei a perdonare chi facesse del male ai miei figli, ma neppure riuscirei a torturarli nel regime di tortura del 41-bis o a murandoli vivi per il resto dei loro giorni.”


USA: RICHIESTA DI ATTENZIONE PER GERALD MARSHALL

Riceviamo una richiesta di “visibilità”, che naturalmente accogliamo.
“Gerald Marshall, un mio amico di penna condannato a morte nel Texas, secondo molte ricostruzioni è stato vittima di un verdetto ingiusto. Del suo caso si stanno occupando diverse organizzazioni e lui sta premendo molto affinché io renda nota la sua vicenda presso associazioni, organi di stampa e televisioni in modo tale da sensibilizzare l'opinione pubblica italiana sul suo caso.
In questo modo, lui spera anche di poter trovare finanziamenti per pagare avvocati in grado di riaprire il suo caso, nonché per il sostentamento suo e di suo figlio (che al momento vive con dei familiari in condizioni precarie).
Molti elementi relativi alla sua vicenda sono riportati in questo sito: https://justiceforgerald.org/ (dov'è presente anche la versione integrale di un documentario dedicato a Gerald)
In alternativa, io e alcuni amici abbiamo anche creato questo video: https://www.youtube.com/watch?v=qCz5o3D4J0k
Sperando possiate dare visibilità a questa triste storia, porgo cordiali saluti e auguro a tutti voi buon lavoro!
Alfonso Santamaria”

Nessuno tocchi Caino sa poco di Gerald Marshall. Il 12 novembre 2004 aveva pubblicato una scarna notizia tradotta dal quotidiano texano Houston Cronicle: “Gerald Marshall, 22 anni, nero, è stato condannato a morte per l’omicidio di Christopher Martin Dean, 38 anni, cassiere, mentalmente disabile, di un ristorante. Il fatto è avvenuto nel corso di una rapina il 18 maggio 2003".
Da allora il suo caso non era ricomparso in evidenza sui media che NtC consulta per aggiornare la propria banca dati.
Su Amazon è disponibile un libro (in inglese) sulla sua storia.
I video dei suoi amici, sia quello in inglese che quello in italiano, riassumono efficacemente i principali difetti del sistema capitale statunitense.
(Fonti: NtC, 31/03/2021)


‘NO ALLA REPUBBLICA ISLAMICA’: L'OPPOSIZIONE IRANIANA CERCA DI UNIRSI IN UNA CAMPAGNA CONTRO IL REGIME
 
Al-Arabia ha pubblicato la notizia di una campagna online lanciata da dissidenti iraniani che chiede la rimozione del regime a Teheran.
La campagna, denominata "no alla Repubblica islamica", è stata lanciata all'inizio di marzo da oltre 600 iraniani anti-regime dentro e fuori il paese, inclusi attivisti politici, artisti, atleti e accademici.
La campagna richiede la rimozione del regime clericale, che secondo gli attivisti è "il principale ostacolo al raggiungimento della libertà, della prosperità e della democrazia" in Iran.
È una richiesta pubblica e una lotta civile per chiedere l’appoggio della comunità internazionale all’idea di tenere un referendum pro o contro la Repubblica islamica.
Alcuni utenti dei social media in Iran hanno espresso sostegno alla campagna pubblicando foto con le parole “no alla Repubblica islamica” scritte su carta o sulle mani.
I sostenitori della campagna in Iran includono parenti di iraniani che sono stati uccisi dal regime.
In un video condiviso online, diverse madri i cui figli sono stati uccisi dalle forze di sicurezza si sono unite alla campagna e hanno anche annunciato il loro boicottaggio delle elezioni presidenziali iraniane a giugno.
L'opposizione iraniana tradizionalmente sollecita gli iraniani a boicottare le elezioni, sostenendo che non portano cambiamenti e servono solo a legittimare il regime. Questa convinzione è in parte dovuta al processo di selezione dei candidati da parte dell'Iran, in base al quale solo i candidati approvati dal regime possono proporsi alle elezioni.
Anche Manouchehr Bakhtiari, che è stato un aperto critico del regime all'interno dell'Iran da quando suo figlio Pouya è stato ucciso durante le proteste antigovernative nel novembre 2019, ha espresso il suo sostegno alla campagna in un video condiviso su Instagram, esortando tutti gli iraniani a unirsi alla campagna.
L'obiettivo principale della campagna - che difficilmente avrà un impatto immediato sul regime di Teheran - sembra essere quello di stabilire un terreno comune tra gli iraniani che si oppongono al regime clericale.
L'ex principe ereditario iraniano Reza Pahlavi, uno dei principali esponenti dell'opposizione, ha espresso il suo sostegno alla campagna, twittando: "Anch'io mi sono unito e sostengo la campagna # No2IR avviata da attivisti all'interno dell'Iran".
La campagna "trascende qualsiasi partito politico o affiliazione", ha scritto Pahlavi, aggiungendo che "possiamo trasformarlo in un movimento nazionale inclusivo".
Il 24 marzo, l'ultima regina dell'Iran, Farah Pahlavi, si è unita alla campagna twittando una sua foto con in mano un cartello che dice "no alla Repubblica islamica".
Famosi musicisti iraniani in esilio, tra cui Dariush Eghbali, Faramarz Aslani ed Ebi, sono tra le figure apolitiche che stanno sostenendo la campagna.
(Fonte: shabtabnews.com, 26/03/2021)


BANGLADESH: 14 ISLAMISTI CONDANNATI A MORTE PER IL TENTATO OMICIDIO DEL PRIMO MINISTRO

Un tribunale del Bangladesh il 23 marzo 2021 ha condannato a morte 14 militanti islamisti per aver tentato di uccidere il primo ministro Sheikh Hasina nel suo collegio elettorale sud-occidentale nel 2000.
"Il verdetto sarà eseguito da un plotone di esecuzione per dare l'esempio, a meno che la legge non lo impedisca", ha dichiarato il giudice Abu Zafar Md Kamruzzaman del Tribunale 1 per direttissima di Dhaka, alla presenza di nove imputati portati in tribunale dalla prigione.
In caso contrario, i condannati potrebbero essere impiccati, in linea con il metodo prevalente, previa approvazione da parte della Divisione dell'Alta Corte della Corte Suprema, sulla base della revisione obbligatoria delle condanne a morte prevista dalla legge del Bangladesh, ha detto il giudice.
Tutti i condannati sono attivisti del movimento fuorilegge Harkatul Jihad Bangladesh (HuJI-B).
I restanti cinque condannati sono stati processati in contumacia in quanto latitanti e sono stati difesi da avvocati nominati dallo Stato.
Il giudice ha ordinato che il verdetto venga eseguito dopo il loro arresto o consegna.
I militanti dell'HuJI-B il 21 luglio 2000 piazzarono una bomba da 76 kg vicino a un terreno nell'area di Kotalipara a Gopalganj, dove la Hasina avrebbe dovuto parlare in una manifestazione elettorale.
(Fonti: PTI, 23/03/2021)
 


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