"Le stelle vicine" di Massimo Gezzi (Bollati Boringhieri)
"Qual è stato il momento preciso in cui la prima cellula è impazzita? Forse di notte, mentre dormivo. Un lampo negli occhi, un sogno sbagliato, che ne so. Oppure mentre guidavo e cercavo di mettere a fuoco la strada nel buio. Avrò sentito qualcosa? Un dolore, un malessere lieve? O niente, silenzio assoluto, omertà di tutti i tessuti e tutti gli arti? Quale parte ha cominciato ad andare a male, e perché?” (pag. 73, dal racconto “La prima cellula”)
Sono dodici i racconti che compongono la raccolta “Le stelle vicine” di Massimo Gezzi (BollatiBoringhieri) e, salvo due che non mi sono proprio piaciuti (“L'ultimo saluto di Cattivik” e “L'angelo”), li ho letti tutti con grande piacere e mi hanno un po' risollevato l'umore dopo giornate di nuove letture non proprio soddisfacenti e un sacco di preoccupazioni che mi stanno togliendo il sonno. Sono squarci di luce della durata perfetta (se devo muovere una critica la muovo sui finali, bellissimi e ben congegnati, ma anche ripetitivi nel loro essere immancabilmente sorprendent ) e pieni di poesia, sfumature, eleganza stilistica, precisione, attenzione e sensibilità che illuminano vite di provincia, incontri di perdenti, malati, sconfitti, uomini e donne alla deriva che hanno perso tutto, ragazzi immortalati nell'ebbrezza della giovinezza, minuti in cui tutto cambia e non si può più tornare al punto di partenza.
C'è il baretto di provincia
de “Il Cinghiale” dove si ritrovano tutti i ragazzi a giocare a
biliardo, flipper, carte, bere, sognare, litigare, sgommare con la
moto poco prima di ribaltarsi e salutare il mondo e c'è l'infermiera
di “Sine materia” che fra le corsie di un ospedale raccoglie piccole storie di
tradimenti, dolore, malattia e poi c'è il bus pieno di studenti che
vanno a scuola de “Il controllore” con quei bulli che abbiamo
tutti conosciuto e che affascinano le ragazzine e la tragedia che è
pronta a scoppiare perché a furia di provocare, cercare lo scontro
si finisce per affondare e non poter più tornare indietro, c'è il
campetto di calcio de “Il rettangolo” dove scambiare quattro
calci al pallone, prendersi per il culo per ciò che è accaduto
durante le ore di lezione e bere una bella birra ghiacciata subito
dopo aver pensato di aver visto la morte in faccia e c'é il bambino
innamorato dei pesci e del mare de “Il salto del pesce spada” che
non ha il coraggio di raccontare alla propria classe l'avventura che ha vissuto coi
parenti durante una battuta di pesca e preferisce inventare di sana
pianta un incontro improbabile per non mettersi in ridicolo e c'è
quell'uomo che ha perso tutto e vuole dare fuoco alla propria
attività fallita de “Le stelle vicine” ma fallisce miseramente
nel suo piano di distruzione quando comincia a riflettere sul rapporto irrisolto col
padre e troviamo anche il professore de “Le prime cellule” malato
di tumore che non ne può propio più di insegnare a un branco di
deficienti che lo prendono per il culo tutto il giorno e non si
accorge nemmeno che non è il solo a essere circondato dall'abbraccio
della morte e c'è l'uomo che in “Niente” è il responsabile di
omicidio colposo per aver ucciso una donna in un incidente d'auto e
che odia la vittima per avergli rovinato la vita e aver distrutto sua
moglie o l'epilettico de “Il malcaduto” che si aggira fra le
strade del paese tenendo il conto di tutti gli incontri e delle
abitudini delle persone sempre in attesa della prossima crisi che lo
farà cadere nel bianco dell'asfalto e poi c'è il racconto che più
mi è piaciuto: “La figlia del circo” perché anche io persi la
testa per una giovane rom che ogni volta che passava dalle nostre
parti finiva nella mia stessa classe. Per tanti anni ho mentito
dicendo che per me fosse solo un'amica ma io ero follemente
innamorato di lei e ricordo ancora la volta che mi carezzò la
guancia e mi disse “Grazie Andrea, ti vorrò sempre tanto bene” e
ogni volta che ripenso a lei mi riempio d'amore e lacrime.
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