"Giorni terribili" di A.M. Homes (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini)

 

Qui,” dice Sarah. “Io resto proprio qui.” E indica la pioggia che non accenna a smettere. “Guarda un po' là fuori. Non ci posso andare, là fuori.” Tira verso di sé l'enorme ciotola di mousse al cioccolato. La gente non può fare a meno di fissarla.” (pag. 104)

A. M. Homes è un'autrice che mi accompagna ormai da due decenni. Ho letto tutti i suoi libri tradotti in italiano. "La fine di Alice", "Jack", "La sicurezza degli oggetti" e "Cose che bisognerebbe sapere" li consiglio spesso. Leggere i suoi racconti é come bere un bicchiere di birra ghiacciata dopo che ho pulito le sale del cinema ridotte peggio di una porcilaia. Chiudere un suo libro è come stare stesi nudi su un letto con affianco la donna che amo e che ho appena scopato che dorme con lo sperma che le cola lentamente dalla fica.

Dei dodici racconti che compongono “Giorni terribili” (Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini) dico subito che uno non mi è proprio piaciuto (“Tua madre era un pesce”) mentre tutti gli altri mi hanno rapito e ho fotocopiato alcune pagine per tenerle sempre con me. La scrittrice statunitense ha un dono unico nel restituire i piccoli grandi drammi e miserie che si nascondono dentro ogni casa, le pulsioni di ogni genere (cazzo come scrive lei di sesso...) che crescono nelle nostre menti/membra/cuori e che cerchiamo di nascondere per non essere considerati malatidimente/perversi/pericolosi, la stupidità e ripetitività delle vite che conduciamo fatte di relazioni vuote che diventano gabbie da cui non riusciamo più a evadere, l'orrore pronto a mangiarci vivi, la fragilità dei nostri corpi che deperiscono e che offendiamo e distruggiamo e ristrutturiamo sin da quando nasciamo. 

Sono racconti splendidi e dai dialoghi perfetti (quello in “Tutto a posto tranne la pioggia” è incredibile) che spaziano dall'artificiere impegnato in Afghanistan che entra in una chat riservata agli amanti degli uccelli (“La Grande fiera degli uccelli da gabbia”) a quello con la famiglia che vive isolata fra occhiali da sole/piscine/portate da 10 calorie l'una (“Hello Everybody”) o all'altro che racconta dell'incontro fra l'Inviato di Guerra e la Scrittrice Trasgressiva che si incontrato in un convegno dedicato al Genocidio (“Giorni terribili”, un racconto magistrale e che mi ha fatto stare bene anche perché detesto tutti i festival/simposi/convegni/presentazioni letterarie e nessuno mi ci trascinerà mai) o il primo con l'attesa/incontro fra due fratelli che non si amano e preferirebbero non incontrarsi mai più (“Domenica con fratello” che mi ha ricordato, facendomi stare malissimo, tutte le mie riunioni familiari e le telefonate con mia sorella). Racconti che vivono di sfumature quasi impercettibili, di tempi perfetti, di squarci glaciali e pieni di un calore che ti fanno venire voglia di buttarti sotto a una doccia fredda, di schiaffi e carezze, di un bisogno d'amore che ti gonfia gli occhi di lacrime, di angosce e abissi che solo i grandi scrittori riescono a esplorare e raccontare con perfezione.

Vi lascio il finale del racconto “Se n'é andata”:

In casa fa sempre più caldo e c'è puzza di urina e di feci. Cheryl apre le porte finestre. Fuori uccelli, cani che abbaino, bambini che giocano in una qualche piscina, una donna che parla in lontananza. Nel frattempo, lampeggiano le luci rosse e verdi e le macchine continuano a respirare per mamma e papà. Le sacche delle flebo continuano a gocciare. E i suoi genitori, Sylvia e Ben, sono come prima, le loro vesciche si svuotano nei contenitori di plastica in fondo ai letti. Cheryl continua a pensare che dovrebbe fare qualcosa, ma non c'è niente che possa fare. Un'ora dopo, quando le batterie di riserva cominciano a esaurirsi, Cheryl apre il suo libro preferito di quando era bambina e, sulla poltrona reclinabile tra i suoi genitori, comincia a leggere ad alta voce. Quando ha finito, prende la mano destra di suo padre e la sinistra di sua madre e le tira a sé, se le mette sul petto, sopra il cuore. Prega, aspetta.” (pag. 243, 244) 

 


 

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