"Il buio tra le montagne" di Silvio Huonder (Armando Dadò Editore, prefazione di Fabio Pusterla, a cura di Gabriella de'Grandi)

 


Il gendarme Karl Rauch si era offerto volontario per questi sopralluoghi. All'inizio di novembre arrivò il gelo, e il problema dell'odore parve risolto. Ma prima di di Natale cominciò il disgelo e una sera, davanti agli occhi del gendarme, quanto era rimasto del corpo cadde a terra. L'uomo alto e vigoroso attraversò subito la strada e scese verso il patibolo, dove si mise a calpestare i resti del condannato e disperse a calci in ogni direzione le parti che si staccavano le une dalle altre. Il teschio fece il volo più lungo e infine rotolò giù per la collina, poi scomparve sotto i cespugli che fiancheggiavano le mure della città. Il gendarme continuò a calciar via le ossa, finché intono al patibolo non se ne videro più. Procedeva con zelo e pazienza, ma con una espressione stoica, come se ne farlo non provasse nulla. A quello che era rimasto ci avrebbero pensato i ratti e le volpi. Poi scese dalla collina in città e riferì al suo superiore che il cadavere era scomparso dalla forca, e che di certo nessuno poteva raccontare come fosse accaduto. Per lui la questione era chiusa.” (pag. 18)

In alcuni momenti leggendo “Il buio tra le montagne”, il romanzo di Silvio Huonder (Armando Dadò Editore, prefazione di Fabio Pusterla, a cura di Gabriella de'Grandi) mi è salito il magone ritrovando il Canton Grigioni, la città Coira, il San Bernardino, la Viamala, il Passo dello Spluga che sono stati tutti luoghi amati e percorsi da mia madre. Percorse il Passo dello Spluga in macchina insieme a mio padre anche mentre era ammalata. Mi accompagnarono a Lugano e poi proseguirono in un viaggio che la mise a dura prova ma quando mia madre prendeva una decisione non c'era nulla che la potesse far tornare sui suoi passi. A costo di schiantarsi, di perdere la vita, di rimanere senza soldi, di dormire in macchina aspettando i soccorsi. 

“Il buio tra le montagne” è un agile giallo, ispirato a fatti realmente accaduti storico ambientato nel 1821 in un Canton Grigioni saccheggiato dalle truppe napoleonniche, disfatto, dilaniato, in balia di una giustizia sommaria e inefficace, abusi di ogni genere e all'alba di un mondo nuovo. Il delitto da risolvere è quello di un mugnaio e delle sue due serve (incinte), tutti e tre fatti a pezzi inspiegabilmente e se la storia in sè non mi è parsa particolarmente interessante mi hanno convinto invece, senza particolari entusiasmi, l'accuratissima ricostruzione storica (mai pesante e invadente) e la struttura corale del romanzo che alterna (ma non c'è nulla di particolarmente nuovo), grazie alla scelta dell'autore di concentrare le varie fasi della storia in capitoli molto brevi, situazioni e personaggi: il giudice istruttore Barone von mont (scosso da incubi terribili e intenzionato a modernizzare le tecniche di indagine) che si trova a indagare su questo efferato triplice delitto, i due gendarmi per caso (Hostetter e Rauch, due ex mercenari che sembrano usciti da un film dei fratelli Coen che di ritorno dall'Olanda, scavalcando le mura di Coira finiscono in carcere) che dopo un breve inseguimento fra montagne, gole, passi a 2000 metri ritroverano il presunto colpevole (uno di quei tanti che non sanno come fare a sopravvivere fra lavori mal pagati, deboli, alcool e furti) e tutta una galassia di landamani, viandanti, popolani, donne che non si fidano del mondo in cui stanno vivendo e quello che sta arrivando pieno di fregature, dei ricchi che dispongono di ogni cosa, delle leggi incomprensibili e che vogliono solo mangiare, essere lasciati in pace e magari divertirsi con bel po' di giustizia sommaria. Ma senza che un solo di questi personaggi riesca a vivere fuori dalla pagina, a farsi carne, orrore, dolore, sofferenza, sogni o che la Natura faccia sentire tutta la sua forza selvaggia che se ne frega delle piccole e miserabili cose umane.

Un romanzo godibile e leggibile in un pomeriggio ma non certo memorabile e in alcuni passaggi anche decisamente evanescenti e naif.

Peccato perché il materiale a disposizione era veramente incadescente.

 


 

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