"Lo strano caso di Henri Girard" di Philippe Jaenada (Sellerio, traduzione di Angelo Molica Franco) + referendum giustizia e eutanasia

 


 

 Era da qualche mese che avevo in cantiere di leggere "Lo strano caso di Henri Girard" di Philippe Jaenada (Sellerio, traduzione di Angelo Molica Franco) perché mi interessava molto la figura di quest'uomo complicato/strabordante/furbo/meschino/vendicatore della madre accusato nel 1941 di aver ucciso padre, zia e cameriera per poi essere assolto, contro ogni aspettativa, due anni dopo. Un uomo capace di vivere una vita che sembra uscita da un romanzo ottocentesco: nel 1947 fugge in Sud America dove svolgerà ogni tipo di lavoro per poi tornare in Francia e diventare scrittore di successo, difensore degli indifendibili e degli algerini che lottavano per liberarsi dal giogo del colonialismo, con 4 matrimoni sul groppone, figli e figlie e un sacco di altre storie che scoprirete solo leggendo il libro. Ma questo libro diq ausi 650 pagine mi ha convinto a metà: se mi sono sentito travolto da tutte le parti relative all'Henri Girard/Georges Arnaud uomo fuori dagli schemi, mi sono invece annoiato molto quando Jaenada fa sentire la sua "voce" (che mi ha anche particolarmente irritato) e si addentra nel processo cercando di far luce su quella tragica vicenda, suggerendo l'innocenza del protagonista e scagionandolo dall'ipotesi di averla fatta franca solo perché difeso da un bravissimo avvocato. Libro insomma che mi ha convinto a metà.

Di sicuro mi è venuta una gran voglia di leggere il suo "Il salario della paura", del 1950, da cui fu tratto un film di Clouzot (scaricato da Arnaud che riteneva che il regista avesse completamente travisato e ammorbidito il suo romanzo) che nel 1951 vinse il Grand Prix a Cannes:


e il romanzo di Louis Calaferte che a Parigi fu compagno di bagordi di Girard e speriamo che qualcuno lo traduca presto:

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Sabato sono andato a Lecco a firmare per i 6 referendum sulla giustizia promosso da noi del Partito Radicale e dalla Lega e quello sull'eutanasia legale promosso dall'Associazione Luca Coscioni e Radicali Italiani

Erano mesi che non tornavo a Lecco, in centro, e l'ho trovata piena di gente, di turisti, di gente di tutti i tipi. Lecco è la mia città, la città piu' bella del mondo e la amero' per sempre anche se non ci potro' mai vivere. Ci ho perso il cuore, affetti, amicizie. Ho voluto firmare questi referendum sulla giustizia proprio a Lecco e al banchetto della Lega per chiudere un percorso. L'ho fatto con grande fatica e qualche patema ma è filato tutto liscio. Ho parlato, discusso anche animatamente coi militanti leghisti e con l'ex sindaca di Lecco che è stata molto gentile nei miei confronti. 

Fino a qualche anno fa ero uno di quelli che gli vandalizzava le sedi e andava a contestarli e magari anche a lanciargli i sassi. 

Trovando la forza per firmare questi referendum mi sono ripreso la città e ho preso anche coscienza che i semi lasciati tanto tempo fa dai Radicali, da Pannella, da Laura Arconti, da Sergio D'Elia e tanti tanti altri sono sbocciati e che la non violenza fa ormai parte della mia pratica quotidiana.

E lo scrivo senza nemmeno accorgermi che è accaduto proprio in questo modo, forse perché mi è venuto normale e mentre parlavo con loro non ho provato rabbia e nemmeno voglia di chiudere la bocca. Ho cercato di ascoltare, provocare, ribattere, discutere, riflettere.

Al banchetto dell'eutanasia ho respirato ovviamente piu' vicinanza ma anche tristezza per tutte le beghe, frizioni, rotture, incomprensioni nella nostra galassia radicale. Robe che si trascinano da anni e che non sembrano avere mai fine. Ed è un vero peccato. 

Al banchetto per i referendum sulla giustizia ho visto molte donne, dai trenta a in sessanta, mentre a quello dell'eutanasia tanti giovani, anche solo interessati a discutere e a informarsi.

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E che bello questo album cazzo.


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