NESSUNO TOCCHI CAINO - LA SIERRA LEONE ABOLISCE LA PENA DI MORTE

 NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 21 - n. 30 - 31-07-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LA SIERRA LEONE ABOLISCE LA PENA DI MORTE
2.  NEWS FLASH: FRANCESCA AL FIANCO DEL PADRE IMPEGNATO IN UN PERCORSO DI GIUSTIZIA RIPARATIVA
3.  NEWS FLASH: PER DUE DIPENDENTI INDAGATI HANNO SCIOLTO L’INTERO COMUNE
4.  NEWS FLASH: ‘LIBERTA’ E DIRITTI IN IRAN’, MA L’UNIONE EUROPEA SI SFILA
5.  NEWS FLASH: COREA DEL NORD: FUNZIONARI COINVOLTI IN OMICIDI, TORTURE E POSSIBILE GENOCIDIO CONTRO CRISTIANI
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


"LA SIERRA LEONE ABOLISCE LA PENA DI MORTE" di Sergio D’Elia

Il 23 luglio la Sierra Leone è diventata l’ultimo stato africano ad abolire la pena di morte dopo che i parlamentari hanno votato all’unanimità per cancellare l’ultimo retaggio dell’era coloniale.
Lo Stato dell’Africa occidentale è diventato il 23° del continente a porre fine alla pena capitale, che è in gran parte un’eredità dei codici legali coloniali. Ad aprile, era stato il Malawi a stabilire che la pena di morte era incostituzionale, mentre il Ciad l’aveva abolita nel 2020. Nel 2019, la Corte Africana per i diritti umani aveva stabilito che l’imposizione obbligatoria della pena di morte da parte della Tanzania era “palesemente ingiusta”.
Dalla terra dei leoni segnata da una lunga e sanguinosa guerra civile, che verso la fine del secolo scorso ha provocato decine di migliaia di morti, è giunta l’ennesima lezione di civiltà.
La Corte speciale delle Nazioni Unite, istituita per giudicare crimini di guerra e contro l’umanità, si è rivelata una Corte esemplare, un potente strumento per la riconciliazione e la prevenzione di futuri conflitti. Lo statuto della corte internazionale che bandiva la pena di morte per fatti di estrema gravità come terrorismo, deportazione, schiavitù sessuale, omicidi, torture e stupri di massa, è stato il preludio alla riforma interna che ha finalmente cancellato la pena capitale che poteva essere prevista anche per un solo omicidio, la rapina aggravata, l’ammutinamento e il tradimento.
“Ho mantenuto l’impegno assunto dal governo di abolire definitivamente la pena di morte in Sierra Leone”, ha detto il Presidente Julius Maada Bio. “Ringrazio i cittadini, i membri del Parlamento, i partner per lo sviluppo e i gruppi per i diritti che sono stati fermamente al nostro fianco per fare la storia.”
Anche Nessuno tocchi Caino ha dato il suo contributo a questo esito felice del processo abolizionista. Nel 2012 ha conferito il premio “Abolizionista dell’Anno” al Presidente Ernest Bai Koroma. Da quando era entrato in carica nel 2007, non vi sono state più esecuzioni in Sierra Leone e, nel 2011, aveva commutato in ergastolo tutte le condanne dei detenuti nel braccio della morte. Nel gennaio 2014, con il governo della Sierra Leone, Nessuno tocchi Caino ha organizzato una Conferenza regionale per l’abolizione della pena di morte. Lo scopo era sostenere il processo abolizionista in corso nel Paese e favorire l’impegno politico degli Stati africani per rafforzare la risoluzione ONU per una moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Una moratoria interna sull’uso della pena di morte era in corso di fatto dal 1998, dopo che la Sierra Leone ha giustiziato 24 soldati per il loro presunto coinvolgimento in un tentativo di colpo di stato l’anno prima. Ma, da allora, i tribunali non hanno mai smesso di comminare la pena capitale. Nel 2020 le condanne a morte sono state 39, quasi il doppio di quelle dell’anno prima, e alla fine dell’anno erano 94 le persone ancora rinchiuse nel braccio della morte.
Per Rhiannon Davis, direttrice del gruppo per i diritti delle donne AdvocAid, “è un enorme passo avanti per questo diritto umano fondamentale in Sierra Leone”. Anche se questo governo e i governi precedenti avevano scelto di smettere le esecuzioni dei condannati a morte, un prossimo governo avrebbe potuto cambiare idea.
Oltre all’abolizione, la Sierra Leone ha scelto di sostituire la pena di morte con un sistema che consenta ai giudici ampia discrezionalità nel tipo di pena da comminare. Insieme ad AdvocAid e alla professoressa Carolyn Hoyle, direttrice dell’Unità di ricerca sulla pena di morte dell’Università di Oxford, il Death Penalty Project ha guidato un processo di collaborazione tra attori internazionali e locali che lottano per l’abolizione, offrendo consigli di esperti su come il Paese potrebbe creare un sistema di giustizia penale che garantisca la possibilità per i giudici di considerare le circostanze individuali di ciascun caso e di pronunciare sentenze umane e flessibili. Umaru Napoleon Koroma, viceministro della giustizia, che è stato in prima linea nella battaglia per l’abolizione, ha già affermato che “la conversione della condanna a morte in ergastolo con la possibilità di risocializzazione è la strada da percorrere”.
La tendenza ad abolire la pena di morte e la pena fino alla morte è ormai inarrestabile in Africa, sempre più impegnata in una grande opera di restituzione ai suoi “legittimi” proprietari di tutte le armi penali e dei bagagli penitenziari trasferiti nel continente durante l’era coloniale. L’esempio della Sierra Leone, dopo quello del Ruanda, segna un altro passaggio storico in un continente dove la vicenda millenaria di Caino e Abele, del fratello che uccide il fratello, ha conosciuto alla fine del secolo scorso numerosi casi di tragica attualità. In Sierra Leone inizia un viaggio della speranza dalla violenza alla guarigione, una storia di Caino e Abele di segno diverso. Di conversione dalla guerra civile alla riconciliazione civile, da un sistema di giustizia che punisce e separa a una giustizia che unisce e ripara.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

"FRANCESCA AL FIANCO DEL PADRE IMPEGNATO IN UN PERCORSO DI GIUSTIZIA RIPARATIVA"  di Antonella Ricciardi

“Io ero disposta a sposarmi lì a Padova, con pochissimi parenti, soprattutto quelli stretti: mi è stato negato, mi hanno chiesto se volevo sposarmi in carcere: nella cappella del carcere. Mio padre non ha voluto assolutamente: è sempre un carcere, un posto squallido”. Sono alcune delle dolenti dichiarazioni di Francesca Romeo, figlia di Tommaso Romeo, calabrese, da 28 anni al carcere ostativo, cui era stato negato il permesso anche solo per assistere alle nozze della figlia. Suo padre non aveva voluto: soprattutto per lei, per non farla sentire a disagio. Tommaso Romeo era già mortificato, perché il regime di alta sicurezza gli impedisce di lavorare; una situazione che non è una sua colpa, perché il lavoro in carcere è un beneficio: lui ne è escluso, nonostante aiuterebbe se stesso, offrendo anche un contributo costruttivo alla società. Eppure, Tommaso Romeo, un tempo coinvolto nella cosca D’Agostino-Belcastro-Romeo e in un tentativo di staccarsi dal predominio di un cugino della famiglia D’Agostino, che spadroneggiava in diversi luoghi della Calabria, culminata in una escalation di violenze, è da tantissimi anni impegnato in un percorso di giustizia riparativa. Un percorso che confuta l’idea che si possa essere, automaticamente, “cattivi per sempre”, per il solo motivo di non avere collaborato con la giustizia: posizione spesso dovuta, in realtà, alla motivazione di non volere esporre familiari al rischio di rappresaglie, oltre al non voler mettere un altro al proprio posto... La ricerca di giustizia non solo distributiva, ma anche riparativa, ha visto Francesca aiutare e motivare in modo speciale il padre: una sua lettera era stata letta da Papa Francesco lo scorso anno: il Papa stesso aveva più volte preso posizione contro la pena fino alla morte, nella sua vicinanza agli ultimi, e per spezzare la catena del male. Nella sua vicinanza al papà, che ha aiutato a vivere ogni giorno, Francesca è divenuta amica di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato eroe del 1992: un magistrato del quale è molto bello ricordare anche una frase molto ispirata, per cui una scintilla divina fosse presente anche in coloro che un tempo avessero commesso dei delitti. Tommaso Romeo da anni ha ripreso gli studi, incontra familiari delle vittime e ragazzi nelle scuole, ed è attivo anche nell’associazione e nell’omonimo giornale “Ristretti Orizzonti”, supervisionato dalla volontaria Ornella Favero, attiva anche nell’associazione “Granello di senape”. Le speranze di Francesca Romeo sono riposte anche in diverse sentenze della Corte Costituzionale, la più alta giurisdizione d’Italia, che a più riprese ha definito incostituzionale il carcere automaticamente ostativo: nell’aprile 2021 si è pronunciata anche a favore della liberazione condizionale degli ergastolani ostativi. Del resto, non è neppure logico cristallizzare del tutto un passato superato, in persone cambiate mentalmente fisicamente: le loro stesse ce llule sono morte e nate innumerevoli volte: sono persone nuove, messe come in stato di morte da vive... Nella testimonianza che ho raccolto, emerge che un altro aspetto che può nutrire la speranza era stata la revoca del 41 bis a Tommaso Romeo: esperienza che fu, comunque, tra le più alienanti. “Lì fanno proprio la fame”, ricorda Francesca, che rievoca le limitazioni alimentari gratuite, in quanto forme di tormento quotidiano, e ricordando che perfino l’acqua era poca, per spezzare la volontà. Non erano rare le perquisizioni a manetta: denudati, a volte parecchie volte al giorno, nel caso di certi detenuti, forse per fare impazzire... Forme di tirannia su corpo e mente, che Francesca spera intensamente siano del tutto alle spalle: ora che il padre ha trovato un ambiente molto più umano nel carcere di Padova, che favorisce la crescita etica della sua coscienza, l’auspicio più pieno è che il padre potrà esser messo gradualmente alla prova fuori dal carcere. “Sono orgogliosa di lui in quanto padre [...], però non l’ho mai giustificato, io. [...] Posso mettere la mano sul fuoco che non sbaglierà: non sbaglierà, perchè sa cosa vuol dire aver sbagliato”. [...] “Lui pubblicamente si è dissociato da comportamenti illegali.” [...] “Uno Stato che abbia paura di un uomo così, non si dimostra uno Stato forte”.


"ER DUE DIPENDENTI INDAGATI HANNO SCIOLTO L’INTERO COMUNE"  di Antonio Coniglio su Il Riformista del 23 luglio 2021

Raccontano i libelli di storia popolare che Trecastagni, borgo di poco più di diecimila abitanti alle pendici del vulcano Etna, si chiami così perché Alfio, Cirino e Filadelfo, i tre patroni del paese, abbiano soggiornato lì prima del martirio. Tres Casti Agni: quei santi erano “tre casti agnelli”. Può capitare pure che la “castità” di un ridente territorio, anche se consacrata finanche nelle storie dei santi, venga sacrificata sull’altare del sospetto di mafia e possa diventare talvolta il “martirio civile” di una intera comunità. Avviene sovente in Sicilia e la vittima sacrificale di una delle storie di straordinaria ingiustizia, che riguardano lo scioglimento discrezionale dei comuni del mezzogiorno per mafia, è stato proprio il paese dei “tre casti agnelli”: Trecastagni.
Quel fazzoletto di terra è diventato esso stesso un agnello sacrificale. Sacrificata è stata la giunta di quel comune e il suo sindaco Giovanni Barbagallo, riconosciuto da tutti come politico onesto e rigoroso. Dalle parti del vulcano, la Prefettura catanese, notificò infatti l’8 maggio 2018, alle ore 14:30, un decreto di scioglimento. Proprio alla vigilia di una delle feste religiose più partecipate della Sicilia: il 10 maggio. La festa in onore di Alfio, Filadelfo, Cirino, aveva resistito pure alle bombe delle due guerre mondiale: si è arresa dinnanzi alla furia implacabile della nostra legislazione antimafia.
Gli intendenti prefettizi dichiararono che gli amministratori dovessero andare a casa sulla base dello stigma peggiore: possibili rapporti con la mafia. Ciò, non perché vi fosse neanche la più lontana congettura che un pezzo del ceto politico avesse rapporti con la criminalità, ma per un’inchiesta che aveva colpito, a proposito di mafia, due dipendenti comunali. Cosa c’azzecchino due dipendenti con un sindaco, una giunta, un consiglio comunale, nel tempo della separazione tra indirizzo e gestione, è inspiegabile! Eppure quegli amministratori sono stati infangati, un intero territorio sporcato, ancorché il Tribunale (ordinanza n. 4011/2019) e la Corte d’Appello di Catania (n. 2722/2020) abbiamo ex post chiaramente dichiarato che a carico del sindaco “non emergono collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”. C’è di più: i dipendenti inquisiti sono stati condannati il 15 luglio 2021 dalla Prima Sezione Penale del Tribunale di Catania, escludendo però l’aggravante del metodo mafioso.
È legittimo chiedersi: chi risarcirà mai gli abitanti di Trecastagni del danno di immagine patito; quel sindaco e quella giunta, ingiustamente espropriati dal ruolo che ricoprivano? Oggi occorre una riflessione vera intorno all’art. 143 del D.L. 267/2000 che non prevede il diritto alla prova, su una disciplina dello scioglimento dei comuni che non ammette contraddittorio, diritto alla difesa, parità di trattamento tra le parti. Siamo al di fuori dalle colonne d’Ercole del giusto processo. Si può davvero pensare che un funzionario prefettizio, chiunque esso sia, un prefetto, un ministro dell’interno possano inaudita altera parte annullare il corso democratico di una comunità? È ancora tollerabile la resistenza del Consiglio di Stato che continua a sostenere la natura preventiva e non sanzionatoria della disciplina, laddove la prevenzione è invero il viatico per evitare il confronto con le conquiste dello stato di diritto? Per quale ragione peraltro questi provvedimenti draconiani riguardano sempre e comunque solo comuni medio piccoli – ove nella maggior parte dei casi gli amministratori sono inermi e slegati da vere logiche di potere – mentre le grandi città appaiono protette da un’egida di intangibilità?
Prevenire, scrive spesso Sergio D’Elia, a volte è peggio che punire. Prevenzione ed emergenza sono diventati pezzi dell’armamentario marziale del diritto dell’hostis, del nemico degli ultimi trent’anni di illegalesimo legale. Si legittima l’intervento di un prefetto sulla base di un’emergenza perenne, di un pericolo costante, del ripudio di fatto delle conquiste dell’illuminismo giuridico, della nostra civiltà. La verità è presto detta: lo scioglimento di Trecastagni è avvenuto in modo medioevale e ciò capiterà spesso sin quando il Parlamento non avrà il coraggio di interrompere una “continua corsa agli armamenti”, sminare il campo dalla discrezionalità e dall’arbitrio. Si potrebbe obiettare: a chi interessa di un piccolo comune di diecimila anime? Eppure la vicenda di Trecastagni non può essere condannata all’oblio come se nulla fosse accaduto. Sciascia forse redivivo gli avrebbe dedicato finanche un pamphlet. È vero: sono storie di provincia. Di quella provincia nella quale ci si alza la mattina per lavorare e ci si accontenta di poco. Di un caffè al bar la domenica mattina, della processione di un santo
patrono. Sciascianamente “non v’è nulla di più provinciale dell’accusa di provincialismo”. Trecastagni come metafora nazionale? Proprio così. Se non si interviene presto su quei codici, su quelle pandette, il diritto morirà ogni giorno.
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/lincredibile-storia-del-comune-di-trecastagni-sciolto-per-due-dipendenti-indagati-237303/

‘LIBERTA’ E DIRITTI IN IRAN’, MA L’UNIONE EUROPEA SI SFILA" di Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 23 luglio 2021

Il Primo Ministro della Slovenia, Janez Janša, ha rivolto un appello per la democrazia in Iran, intervenendo alla Convention annuale del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana di metà luglio. “Gli iraniani meritano democrazia, libertà e diritti umani e devono essere sostenuti con fermezza dalla comunità internazionale”. Ha poi aggiunto che “il regime iraniano deve rispondere delle violazioni dei diritti umani”, in riferimento al massacro di oltre 30.000 oppositori politici avvenuto nel 1988, a opera di una Commissione, detta della morte, di cui faceva attivamente parte l’attuale Presidente iraniano Ebrahim Raisi, come raccontato dalle pagine di questo giornale il 28 maggio scorso. Janez Janša ha parlato da Primo Ministro in carica di un Paese che, tra l’altro, dai primi di luglio ha assunto la Presidenza di turno dell’Unione Europea. C’è dunque da andarne fieri. Eppure, a causa di questo suo pensiero è in corso una forte tensione tra Unione Europea e Ira
 n. Il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano ha condannato le dichiarazioni di Janša definendole “inaccettabili, contro le norme e lo spirito diplomatico”. Lo stesso Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha subito chiamato il Rappresentante della politica estera europea Jospeh Borrell per sapere se quanto detto da Janša rappresenta la posizione dell’Unione europea. “Certo che no”, ha rassicurato Borrell specificando che non ha nulla da dire in merito alle opinioni del Premier sloveno.
Conosciamo l’accondiscendenza dell’Europa nei confronti del regime iraniano, ma di fronte alla presa di distanza da questa tanto naturale quanto necessaria presa di posizione a tutela dei diritti umani e della democrazia in Iran qualche domanda a Borrell va fatta. Lo spagnolo Alejo Vidal-Quadras, ex Vice Presidente del Parlamento Europeo e il nostro Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, ex Ministro degli Esteri, a nome di In Search of Justice (ISJ) gli hanno scritto per sapere su cosa si trova in disaccordo con Janša e se non ritenga anche lui che il popolo iraniano meriti democrazia, libertà e diritti umani e che gli iraniani meritino un sostegno da parte della comunità internazionale, così come l’accertamento delle responsabilità dei massacri compiuti nel 1988 come tali riconosciuti da organismi delle Nazioni Unite. Un chiarimento Vidal-Quadras e Terzi lo hanno chiesto anche per quanto riguarda il tenore della conversazione telefonica con il Ministro iraniano Zarif. Ha forse fatto pressione affinché condannasse le parole del Premier sloveno?
A cosa porta l’accondiscendenza nei confronti di regimi opprimenti e oppressori come l’Iran lo abbiamo visto anche di recente, quando un diplomatico iraniano ha ordito un attentato dinamitardo proprio durante la Convention del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, tenutasi a Parigi nel 2018. Sulla condanna di questo agente e dei suoi complici da parte di un tribunale belga non ho sentito una parola di Borrell. Mentre in Iran continuano le esecuzioni capitali e la repressione di ogni forma di dissenso, oggi sotto l’egida dell’attuale Presidente Ebrahim Raisi, definito dagli stessi esponenti del regime come un “campione della forca”.
La Convention del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI), con la sua componente fondamentale, l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (MEK), è stata un successo con decine di interventi da parte di ex Primi Ministri, Ministri degli Esteri, parlamentari e personalità del mondo libero e democratico che hanno chiesto l’accertamento delle responsabilità per crimini contro l’umanità da parte del regime e del suo Presidente appena nominato, Ebrahim Raisi. Alle reazioni di tipo politico e diplomatico si aggiungeranno i tentativi di discredito del CNRI e del MEK con riviste, siti e social media a opera di agenti del Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza iraniano (MOIS). L’esempio più recente di agente reclutato per la disinformazione è Hadi Sani-Khani, un ex agente del MOIS residente in Albania. In una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite nel febbraio 2021, ha svelato una nuova e scioccante campagna di demonizzazione, spion
 aggio e terrorismo contro il MEK e ha affermato di essere pronto a testimoniare e dimostrare le sue rivelazioni con documenti e ampie prove davanti a qualsiasi tribunale o autorità imparziale.
Anziché dunque essere accondiscendenti con questo regime e continuare a cercare la riapertura del negoziato sul nucleare, Borrell e l’UE dovrebbero unirsi a coloro che chiedono la messa in stato d’accusa di Raisi per crimini contro l’umanità e il nostro stesso Governo dovrebbe esprimersi in tal senso.
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/liberta-e-diritti-in-iran-ma-lunione-europea-si-sfila-237298/

COREA DEL NORD: FUNZIONARI COINVOLTI IN OMICIDI, TORTURE E POSSIBILE GENOCIDIO CONTRO CRISTIANI
Funzionari della Corea del Nord hanno commesso omicidi, torture e atti che potrebbero costituire un genocidio contro alcuni gruppi di persone, inclusi i cristiani, ha rivelato un Rapporto pubblicato la scorsa settimana.
Le evidenze fornite indicano che il regime nordcoreano abbia ucciso residenti nel Paese, torturato prigionieri politici, sia coinvolto nel traffico sessuale e abbia praticato aborti forzati e infanticidi dal 2014 al 2021, ha scritto l’intergruppo parlamentare sulla Corea del Nord del Regno Unito in un documento di 91 pagine.
È stato inoltre scoperto che lo stupro, oltre alla moderna schiavitù, è in Corea del Nord all'ordine del giorno e che gran parte delle violazioni dei diritti umani si concentrano sui cristiani e su coloro la cui discendenza era per metà cinese.
La Corea del Nord prevede la pena di morte per omicidio premeditato, traffico di droga e terrorismo, sebbene le persone audite dalle autorità del Regno Unito abbiano affermato che le autorità governative praticano esecuzioni pubbliche per reati molto meno gravi.
Nel 2014, un fuoriuscito ha affermato di aver assistito all'uccisione pubblica di un uomo che diffondeva film sudcoreani a Hyesan, nella provincia di Ryanggang.
Altri hanno detto di aver assistito a un'esecuzione simile per la stessa accusa nel 2017.
Altri ex residenti nordcoreani hanno detto alle autorità del Regno Unito che "ci sono stati casi in cui la pena di morte è stata eseguita per aver posseduto una Bibbia, distribuito volantini di propaganda e praticato atti di superstizione".
In tutto, il Rapporto ha rilevato 1.479 casi di esecuzioni pubbliche dal 2000 al 2020, mentre 443 esecuzioni segrete, molte delle quali avvenute nei campi di prigionia, hanno avuto luogo nello stesso arco di tempo.
Il Rapporto ha rivelato che il regime pratica anche violenza e sfruttamento sessuale.
"Alcune donne che sono state detenute hanno riferito di aver subito o assistito a violenza sessuale, compreso lo stupro nelle strutture di detenzione e per gli interrogatori", afferma il Rapporto. "Gli intervistati hanno affermato che gli agenti della polizia, della polizia segreta e dell'ufficio del pubblico ministero, per la maggior parte incaricati di svolgere interrogatori, hanno toccato i loro volti e i loro corpi, compresi i loro seni e fianchi, attraverso i loro vestiti o mettendo le mani dentro i loro vestiti. Hanno detto che erano impotenti poiché il loro destino era nelle mani di questi uomini".
Le autorità britanniche hanno anche scoperto che le donne nordcoreane che cercano di fuggire dal Paese vengono portate via con falsi pretesti, incluso il lavoro, per essere invece trafficate a scopo sessuale in Cina. Gli esperti hanno ipotizzato che la situazione persista a causa della "mancanza intenzionale da parte del governo cinese di fornire possibilità legali per i fuggitivi nordcoreani affinché richiedano asilo".
"Le donne e le ragazze nordcoreane sono particolarmente vittime del traffico sessuale e del commercio del sesso", aggiunge il Rapporto.
"Le vittime vengono solitamente portate via dalla Corea del Nord con false offerte di lavoro, e successivamente vendute come spose o schiave sessuali in Cina e in altri paesi del sud-est asiatico. Le vittime vengono portate al confine e poi trasportate in case, bordelli o presso acquirenti".
(Fonti: Washington Examiner, 26/07/2021)

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