Nessuno tocchi Caino - ACCANIMENTO DEI KENNEDY CONTRO IL KILLER DI BOB: 53 ANNI DI CARCERE SONO POCHI…

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

 Anno 21 - n. 32 - 04-09-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : ACCANIMENTO DEI KENNEDY CONTRO IL KILLER DI BOB: 53 ANNI DI CARCERE SONO POCHI…
2.  NEWS FLASH: DAL CARCERE DI ROSSANO UNA STORIA A LIETO FINE
3.  NEWS FLASH: IRAQ: SEI DETENUTI IMPICCATI
4.  NEWS FLASH: MALAWI: CORTE SUPREMA FA DIETROFRONT SULLA PENA CAPITALE
5.  NEWS FLASH: SOMALIA: DONNA GIUSTIZIATA DAGLI AL-SHABAAB NELL’HIIRAAN
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


ACCANIMENTO DEI KENNEDY CONTRO IL KILLER DI BOB: 53 ANNI DI CARCERE SONO POCHI…
Valerio Fioravanti su Il Riformista del 3 settembre 2021

In Italia usiamo il termine “doppiopesismo” per definire quelle persone che un principio teorico lo applicano in senso favorevole per gli amici e sfavorevole per i nemici.
Le recenti cronache statunitensi ci confermano che questa forma di pensiero, il “double standard”, è più diffusa di quanto sembri. Potremmo dire che “capita nelle migliori famiglie”.
Sirhan Sirhan, l’uomo che nel 1968 aveva assassinato Bob Kennedy, ha avuto un primo parere favorevole alla libertà condizionale. I media italiani hanno tutti semplificato, sostenendo che la “libertà sulla parola” gli era stata concessa. In realtà l’uomo, arrestato a 24 anni, ora che ha 77 anni, dopo un’udienza in videoconferenza, ha ottenuto “solo” un parere di “ammissibilità”.
Questo è il termine che useremmo in Italia, e sta a significare che in suo favore si sono pronunciati i due membri di una commissione “specializzata in ergastolani” che ha l’incarico di stabilire, tenendo una cosiddetta “Lifer Hearing”, se un detenuto ha i requisiti necessari perché il suo caso venga discusso.
Entro 90 giorni Sirhan affronterà il Board of Parole. Se anche il secondo esame sarà positivo, la “raccomandazione di clemenza” verrà inviata al Governatore, il quale entro 30 giorni potrà accettarla, modificarla, oppure respingerla.
“Clemenza” è il termine generico che negli Stati Uniti comprende qualsiasi forma di riduzione della pena.
La “clemenza” viene “raccomandata” da quello che in Italia chiameremmo “tribunale di sorveglianza”, ma poi sta all’autorità politica, che negli Usa ha esplicitamente il controllo sulla magistratura, confermarla.
Sirhan, Palestinese nato a Gerusalemme, di nazionalità giordana, cristiano, nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1968, a Los Angeles, sparò a Bob Kennedy.
Kennedy Junior, bianco, importante esponente del Partito Democratico, cattolico, fratello minore di JFK assassinato a Dallas nel 1963, padre di 13 figli, aveva 42 anni. Morì in ospedale 24 ore dopo.
Venne condannato a morte nell’aprile 1969.
Nel 1972, dopo che la legge capitale della California era stata dichiarata incostituzionale, e prima che una modifica legislativa la rendesse nuovamente “costituzionale”, Sirhan ebbe la pena commutata in ergastolo.
Secondo le leggi in vigore all’epoca, un ergastolano può chiedere “clemenza” dopo aver scontato 25 anni.
Sirhan ha presentato la richiesta 15 volte, ed è sempre stata respinta. Quest’anno, anche grazie a una innovativa presa di posizione del procuratore distrettuale della Contea di Los Angeles, George Gascon, la sua richiesta ha superato il 1° esame.
Gascon, Democratico, fervente ammiratore dei Kennedy, che in passato è stato anche vicecapo della polizia di Los Angeles, la città dove Sirhan ha ucciso Kennedy, ritiene che il compito del pubblico accusatore termini con il processo, e che la Procura non debba interferire con chi è chiamato a valutare l’eventuale percorso rieducativo di un condannato. Per questo motivo, a differenza degli scorsi anni, la Pubblica Accusa non si è opposta alla richiesta di condizionale di Sirhan.
Se non si è opposta la Procura, a favore di Sirhan si sono espressi 2 degli 8 figli viventi della vittima, Robert e Douglas Kennedy, e anche Paul Schrade, un sindacalista amico di Kennedy che venne ferito gravemente, seppure involontariamente, da Sirhan.
Nei giorni scorsi, dopo che la stampa aveva diffuso la notizia dell’esito positivo della prima udienza di Sirhan, gli altri 6 figli (Joseph, Courtney, Kerry, Christopher, Maxwell e Rory Kennedy) hanno espresso il loro disappunto, invitando il governatore della California, Gavin Newsom, a non ratificare il provvedimento. Cattolici e progressisti quanto si vuole, ma per Sirhan nessuna pietà.
Che è poi la stessa cosa che è successa nell’agosto 2020 a Mark David Chapman, il giovane che, immedesimatosi nel “Giovane Holden” di Salinger, nel 1980 aveva sparato a John Lennon. La cui canzone più famosa, Imagine, viene ancora oggi considerata “Un inno alla fratellanza, all’amore universale, alla pace”. E la seconda canzone più famosa, “Give Peace a Chance”, cantata assieme a Yoko Ono, è considerato l’inno mondiale del pacifismo, e invita, appunto, a dare una chance alla pace. Bisogna dare una chance alla pace, ma a Chapman no, dice la signora Ono, che pure, artista molto “liberal”, vive dei diritti d’autore di quelle due canzoni. Come dire, predicare la pace va bene, purché il concetto rimanga astratto. Perché se poi si passa alle persone in carne e ossa, allora la vendetta è molto meglio.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

"DAL CARCERE DI ROSSANO UNA STORIA A LIETO FINE"  di Sabrina Renna

Questa è una storia a lieto fine. Un miracolo nel sistema carcerario italiano. Gaspare Trigona, trentasette anni, dodici dei quali trascorsi in carcere, non si è sottratto alle proprie responsabilità, a tal punto da diventare, crescendo, un manifesto vivente dell’eccezione che conferma la regola. La “regola” è che il carcere non funziona rispetto al fine suo proprio della rieducazione. L’eccezione è che il carcerato può “rieducare” sé stesso nonostante tutto, ed essere anche un esempio magistrale per altri. I giovani che sono, oggi, i suoi diretti interlocutori. Nei loro confronti, il monito è incessante: “divertitevi, ma senza sballo”. La sua non è retorica a basso costo, per liquidare con una risata i tempi passati, ma un bilancio onesto del suo vissuto.
Nel decennio dell’alba del nuovo millennio, Gaspare era il punto di riferimento delle discoteche della Sicilia ionica. Dalle sue mani sono passati tutti i flussi di cocaina ed ecstasy che contaminavano, purtroppo, le serate da ballo e non solo. Una gioventù, la sua, bruciata da un percorso di devianza intrapreso per gioco e nella fretta di diventare grandi in un’età dove si aveva, ancora, il diritto di rimanere piccoli. Fino a che la via effimera della droga e un potere alimentato a ritmo di musica e pasticche impattano l’arresto, le sbarre, il carcere “fuori e dentro”.
In galera, Gaspare non simula comportamenti e prove di buona condotta, non fa mai credere che i propri errori non siano stati commessi. Cambia modo di essere, divora libri, cerca qualcosa di meglio del diritto penale come destino della sua vita. Trova un sincero cambiamento, senza furbizia, autentico. Sorge in lui la speranza come preludio per un confronto appassionato con il mondo delle istituzioni.
La storia di Gaspare consente di riflettere sugli strumenti di diritto e di fatto che lo Stato offre al detenuto per recuperarlo moralmente e socialmente. Con emozione, l’uomo usa il binocolo della memoria, ripercorre le esperienze vissute in carcere. Lo definisce un “luogo di perdizione” e di “umanità complessa”, dove paradossalmente “è più facile smarrirsi completamente che essere accompagnato in un’azione costante di rieducazione”.
Tante sono le inaccettabili ingiustizie commesse da un sistema che costringe alle cose più impensabili: “le docce fredde, i colloqui senza contatto con i familiari, le perquisizioni con flessioni post-colloquio, le simulazioni di buona condotta fino ad arrivare a doversi reinventare giornalmente per sopravvivere in una dimensione di sovraffollamento e privazione dei diritti essenziali e inviolabili”. Oltre la dimensione ontologica Gaspare rivive “la distruzione psicologica dettata dalla poca attenzione che il mondo esterno riserva ai detenuti, le istanze spesso rigettate, la semplice mancanza di aggiornamento della relazione di sintesi”: l’esercizio di un monopolio della forza delle istituzioni che vede il detenuto sconfitto in partenza.
In questa “esperienza di non ritorno”, Gaspare è riuscito però ad andare avanti, non perdendo la forza di tutelare i propri diritti e di costruire una nuova vita. Ciò che gli è stato negato nelle carceri di Catania, Palermo e Agrigento, lo ritrova nel carcere di Rossano, in Calabria, nel quale inizia gli studi in scienze politiche comprendendo che “se e quando lo Stato ti aiuta è più facile cambiare”.
Al rancore subentrano la voglia di riscatto, il contatto con la famiglia, devastata dalla esperienza del proprio figlio, così diversa da una lunga tradizione di correttezza e rispetto delle regole. Vive una profonda crisi, scoraggiato dal sistema, dagli operatori sociali e dagli educatori: “pochi in verità accompagnano i detenuti a costruire una occasione ulteriore di vita”.
La crudeltà del carcere gli appare un male necessario per comprendere gli errori e per tessere la bandiera del cambiamento. Decisivi gli incontri con il Partito radicale, con Nessuno tocchi Caino, che raccontano l’inutilità del sistema carcerario e delle molteplici forme di detenzione assunte con modi e tempi che distruggono il detenuto “allontanandolo da qualsiasi forma di democrazia”. Gaspare ci ha creduto e si è ricreduto: oggi è fuori, in affidamento ai servizi sociali. Lavora, prepara la tesi, ma rimane in carcere con la mente e il cuore che batte – pannellianamente – all’unisono con quello della comunità penitenziaria, dei detenuti e dei detenenti. Alla oppressione del sistema carcerario Gaspare oppone la sua lotta di liberazione, il successo di una giustizia che ripara che dal carcere di Rossano lo ha portato a diventare da fonte di disperazione testimone di speranza.

IRAQ: SEI DETENUTI IMPICCATI
Sei cittadini iracheni sono stati impiccati il 30 agosto 2021 in una prigione nel sud del Paese, ha riferito una fonte medica all'AFP, precisando che tre dei giustiziati erano stati riconosciuti colpevoli di terrorismo.
La fonte ha detto che le impiccagioni sono avvenute nella prigione di Nassiriya, dove sono detenuti i condannati a morte.
I tre che non sono stati giustiziati per "terrorismo" erano stati condannati in "casi penali".
Secondo un conteggio dell'AFP, almeno 14 persone riconosciute colpevoli di "terrorismo" sono state giustiziate in Iraq dall'inizio dell'anno, tutte nella prigione di Nassiriyah.
Questo mese, un uomo che avrebbe ucciso un alto funzionario iracheno in pieno giorno è stato condannato a morte, mentre nel Paese sono forti le critiche rivolte al governo per non essere riuscito a fermare un'ondata di omicidi.
A gennaio, un funzionario della presidenza irachena ha dichiarato all'AFP che più di 340 ordini di esecuzione "per atti terroristici o criminali" erano pronti per essere applicati.
(Fonti: Afp, 30/08/2021)


MALAWI: CORTE SUPREMA FA DIETROFRONT SULLA PENA CAPITALE
La Corte Suprema del Malawi il 20 agosto 2021 ha emesso una sentenza che ribalta una sua precedente decisione che aveva dichiarato incostituzionale la pena capitale.
Nella nuova pronuncia, sette dei nove giudici che facevano parte del primo collegio giudicante hanno preso le distanze dalla sentenza originaria, sostenendo che il giudice con il compito di esprimere il parere della maggioranza aveva invece scritto il proprio parere personale senza consultare nessuno degli altri otto colleghi.
Ad aprile, la sentenza originaria della Corte Suprema d'Appello nel caso “Charles Khoviwa v. La Repubblica” aveva ritenuto l'imposizione della pena di morte contraria al diritto alla vita garantito dalla Costituzione del Malawi e aveva inoltre ordinato una nuova sentenza per tutti i condannati a rischio di esecuzione. La nuova sentenza emessa ora da sette dei nove giudici come rettifica della sentenza originaria sembra indicare che la prima sentenza non fosse supportata dalla maggioranza del collegio e che sia stata un atto unilaterale del giudice Mwaungulu, che ora è in pensione. Uno dei giudici ha inoltre aggiunto che la sentenza originaria non era corretta, dato che la questione della costituzionalità della pena di morte non rientrava nel caso in esame.
È probabile che il ribaltamento della decisione della Corte porti a un ripristino in Malawi della pena di morte, attualmente prevista dal Codice Penale del Paese.
Il dietrofront della Corte è stato pesantemente criticato da diversi esperti di diritto, i quali sostengono che il ripensamento della Corte in relazione a una sentenza definitiva costituisca un pericoloso precedente che potrebbe sollevare ulteriori dubbi sull'indipendenza della magistratura del Malawi.
Il dietrofront rappresenta anche un duro colpo per gli attivisti per i diritti umani che avevano celebrato la prima sentenza della Corte come una grande vittoria per i diritti umani nel Paese.
(Fonti: Jurist, 23/08/2021)


SOMALIA: DONNA GIUSTIZIATA DAGLI AL-SHABAAB NELL’HIIRAAN
Una donna è stata fucilata in pubblico dagli Al-Shabaab nel villaggio di Shaw, nella regione di Hiiraan, hanno riferito gli abitanti del villaggio, riportati da Hiiraan Online il 1° settembre 2021.
Poco prima la donna – che è stata identificata dai residenti come Anfac Hussein -
era stata condannata a morte da un tribunale del gruppo islamista per aver servito come soldato nelle Forze di Sicurezza di Hirshabelle.
L’Hirshabelle è uno stato della federazione somala, situato nel centro-sud del Paese.
Diverse decine di persone avrebbero assistito nella piazza del villaggio all'esecuzione. Non è chiaro se gli Al-Shabaab abbiano costretto i residenti ad assistere all’esecuzione, come hanno fatto in altre occasioni.
(Fonti: HOL, 01/09/2021)

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