NESSUNO TOCCHI CAINO - AMORE E DIRITTI IN CARCERE: STORIE DI ORDINARIA NEGAZIONE

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 21 - n. 35 - 25-09-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : AMORE E DIRITTI IN CARCERE: STORIE DI ORDINARIA NEGAZIONE
2.  NEWS FLASH: CON ROCCO TORNA LA FORCA, IL REGIME ZITTISCE GLI ABOLIZIONISTI
3.  NEWS FLASH: YEMEN: HOUTHI GIUSTIZIANO NOVE UOMINI PER COINVOLGIMENTO NELL’UCCISIONE DI SAMAD
4.  NEWS FLASH: UTAH (USA): QUATTRO PROCURATORI SUPPORTANO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE
5.  NEWS FLASH: IRAN: CINQUE UOMINI GIUSTIZIATI NELLA PRIGIONE DI RAJAI SHAHR PER OMICIDIO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


AMORE E DIRITTI IN CARCERE: STORIE DI ORDINARIA NEGAZIONE
Rita Bernardini su Il Riformista del 24 settembre 2021

Coccolone è un bambino affetto da “autismo non verbale”, che ha notevoli difficoltà nell’utilizzo del linguaggio. “Mio figlio tende ad abbracciare e baciare tutti, è il suo modo di comunicare”, mi scrive la madre il 12 giugno scorso. Il carcere (uno dei 15 della Campania), considerate le condizioni del bambino, gli nega la possibilità di incontrare il padre perché – in tempi di Covid – con i suoi abbracci e suoi baci metterebbe a rischio le altre famiglie presenti nella sala comune dei colloqui. In verità la madre aveva chiesto incontri “protetti” o nell’area verde o in una saletta dell’istituto. Niente da fare, per disposizioni superiori, il piccolo avrebbe potuto incontrare suo padre solo a pandemia finita. La madre è disperata… vede soffrire suo figlio che risente moltissimo della mancanza del padre. Attivo i miei canali istituzionali per contrastare l’ottusità burocratica che nega i diritti fondamentali del bambino, senza cavare un ragno dal buco. Fino a che non mi rivolgo al Provveditore Carmelo Cantone che nel frattempo, dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere, ha assunto la reggenza anche della regione Campania. Risolve il problema immediatamente: Coccolone potrà riabbracciare suo padre in una saletta riservata alla famiglia a partire dal prossimo 1° ottobre. Quante volte casi analoghi si verificano nei penitenziari italiani in spregio a quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario? Purtroppo, vicende di questo tipo sono all’ordine del giorno. Lo verificano costantemente esponenti del Partito Radicale e di Nessuno Tocchi Caino: le mura del carcere sono impenetrabili per gli amori e gli affetti checché ne dicano leggi e regolamenti.
Nel carcere di Trapani Franco firma i referendum sulla giustizia e si commuove.
La sala è allestita come un seggio elettorale. Documento alla mano, entrano i detenuti per esercitare il diritto costituzionale di promuovere il referendum. Pur in un luogo di infelicità come lo sono le istituzioni totali di privazione della libertà, si respira tutta la solennità e la bellezza dell’esercizio della democrazia. Nel momento dell’apposizione delle firme, siamo proprio tutti eguali, siamo tutti cittadini-elettori che compiono l’atto potente di convocare l’intero corpo elettorale ad esprimersi su leggi cruciali che riguardano la vita di tutti. Anche gli agenti che hanno organizzato impeccabilmente quella che io chiamo “la cerimonia delle firme” osservano compiaciuti l’ordinato svolgimento dell’iniziativa.
Qualche detenuto coglie l’occasione per rappresentare piccoli problemi, in particolare la richiesta (sacrosanta) di poter essere trasferiti in un istituto più vicino alla propria famiglia. Prendo nota per sollecitare l’amministrazione penitenziaria. Uno di loro, di nome Franco, chiede agli agenti di potermi salutare. Non ha niente da chiedere, mi guarda negli occhi e mi dice “volevo solo ringraziarti per quello che fai, sono un iscritto al Partito Radicale”; si commuove e inizia a piangere a dirotto mentre gli tengo affettuosamente le mani. Per me e per i miei compagni è un momento indimenticabile, ci riconosciamo tutti in quel volto un po’ fanciullesco, emozionato e dolce.
Mi auguro che il DAP, che lodevolmente ha autorizzato la raccolta delle firme referendarie in tutti gli istituti penitenziari, comprenda fino in fondo la portata – ai fini rieducativi – di questa sua decisione. Così come mi auguro che ci sia vera consapevolezza dello stato di abbandono in cui versano gli istituti penitenziari del nostro Paese. Uno stato di abbandono avvertito da tutti coloro che abitano le patrie galere per lavoro o per privazione della libertà. Uno stato di abbandono che richiede interventi strutturali che non possono essere risolti in poco tempo. Uno stato di abbandono che richiede (da subito, da ieri) una drastica riduzione della popolazione detenuta alla quale lo Stato non è in grado di assicurare minimi standard di rieducazione, risocializzazione e persino di salute. I fatti di cronaca lo rimarcano ogni giorno. Si premino, intanto, con una liberazione anticipata più consistente di quella prevista, i detenuti e le detenute che, nonostante tutto, si comportano bene. Lo dico anche alla ministra Marta Cartabia che ha istituito una Commissione per migliorare le condizioni di detenzione: senza ridimensionare la popolazione detenuta ben poco sarà possibile fare anche se si mobilitano le migliori risorse umane come ha fatto la guardasigilli. Chi ha a cuore la Costituzione non può accettare che nemmeno per un giorno si continuino a calpestare i diritti umani fondamentali.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

CON ROCCO TORNA LA FORCA, IL REGIME ZITTISCE GLI ABOLIZIONISTI
Pasquale Hamel su Il Riformista del 24 settembre 2021

La tacita moratoria da un lato e le pressioni sempre più forti del movimento abolizionista che richiamava la lezione del Beccaria apparecchiavano un esito quasi naturale. E la svolta avvenne il primo gennaio 1890, quando il guardasigilli Giuseppe Zanardelli, promotore della nuova codificazione penale, riuscì a fare approvare, e con voto unanime della Camera dei deputati, l’abolizione di questo istituto arcaico per i reati comuni commessi da civili sul territorio metropolitano. La pena di morte restava, tuttavia, in vigore nei codici militari e coloniali e se ne sarebbe fatto largo uso nel corso del primo conflitto mondiale.
Tornando al codice Zanardelli c’è da ricordare come esso fosse stato salutato come prodotto addirittura rivoluzionario e additato a esempio di illuminata civiltà giuridica. D’altra parte, era evidente che, con l’adozione del nuovo codice, la legislazione italiana in materia si collocasse all’avanguardia rispetto ad altri ordinamenti considerati più avanzati, Francia e Inghilterra compresi, che al contrario mantenevano la sanzione capitale nei loro codici. A favorire la scelta abolizionista contribuì un clima generale sostanzialmente favorevole, tanto è vero che, come sottolinea ancora Tessitore, nonostante negli oltre trent’anni da quella decisione si fossero verificati delitti di una certa gravità e tali da scuotere l’opinione pubblica – come, ad esempio, il regicidio perpetrato dall’anarchico Gaetano Bresci – a nessuno passò per la mente l’idea che fosse necessario tornare indietro neppure a seguito dell’avvento dello stesso fascismo.
Furono infatti i falliti attentati a Benito Mussolini – a cominciare da quelli di cui furono autori il giovane Anteo Zamboni e l’inglese Violet Gibson – che riportarono all’ordine del giorno dell’agenda politica il tema della reintroduzione nel nostro ordinamento della pena di morte. Infatti, dopo alcune perplessità – dalle quali lo stesso Duce non fu immune – il governo decise di reintrodurre, nel contesto della famigerata e liberticida legge n° 2008 del 1926, Provvedimenti per la difesa dello Stato, e limitatamente ai soli reati politici, la pena capitale. Bisogna per correttezza aggiungere che, oltre al favore dell’opinione pubblica, a sostegno della decisione concorse il raffronto con la legislazione di altri stati europei. La sanzione capitale paradossalmente era infatti presente in gran parte degli ordinamenti più avanzati d’Europa.
Aperto quel solco fu, poi, facile la sua estensione anche ai reati comuni. La nuova codificazione penale d’impronta autoritaria – il codice Rocco del 1930 – ripristinò dopo 40 anni la pena di morte anche per i reati comuni. Contro la decisione non si levarono molte voci e alquanto isolata fu quella del professor Alfredo De Marsico. L’illustre giurista rilevò, infatti, come l’opinione pubblica si fosse assuefatta “alla violenza legalizzata e all’omicidio di Stato” e questo anche per le migliaia di condanne a morte che erano state comminate, diciamo noi con grande leggerezza, dai tribunali militari nel corso della prima guerra mondiale, fatti che avevano portato a una vera e propria “svalutazione del valore della vita”.
Eppure, nonostante il clima favorevole, l’idea del ripristino della sanzione capitale non fu del tutto indolore al punto da indurre lo stesso ministro proponente, il guardasigilli Alfredo Rocco, a conclusione del suo intervento in Senato, quasi volesse cercare una giustificazione per una scelta che lui stesso forse considerava poco coerente con quel senso di civiltà che avrebbe dovuto informare l’apparato punitivo dello Stato, ad affermare che “se la pena capitale può avere come effetto di risparmiare molte vite di persone che sarebbero state vittime di quanti in sua assenza sarebbero stati indotti ad attentarvi, non dev’essere dubbia la scelta. E sarà opera buona l’applicazione della pena capitale, per quanto sia, anche questa cosa, ripugnante e dolorosa.” In poche parole, la scelta operata veniva legittimata dall’interesse alla difesa della sicurezza dei singoli cittadini e la pena di morte veniva considerata un opportuno deterrente nei confronti di chi aveva inten
 zione di attentare a tale sicurezza.
Per quanto riguarda gli effetti della reintroduzione della pena capitale per il decennio 1930-1940 si contarono ben 118 condanne ma ne furono eseguite meno della metà, per essere precisi ci furono solo 61 esecuzioni. La conseguenza di quella scelta si rifletté sul dibattito abolizionista che dal regime venne violentemente tacitato tanto che per parlare nuovamente di abolizione si sarebbe dovuto aspettare la caduta del fascismo.

Fine seconda puntata (continua)


YEMEN: HOUTHI GIUSTIZIANO NOVE UOMINI PER COINVOLGIMENTO NELL’UCCISIONE DI SAMAD
Il gruppo degli Houthi ha reso noto nello Yemen il 18 settembre 2021 di aver giustiziato nove uomini per il loro coinvolgimento nell'uccisione nel 2018 di Saleh al-Samad, all’epoca principale leader politico del gruppo armato.
Samad, che ricopriva la carica di Presidente nell'amministrazione degli Houthi, che governa la maggior parte dello Yemen settentrionale, fu ucciso nell'aprile 2018 da un attacco aereo della coalizione guidata dai sauditi nella città portuale di Hodeidah, sulla costa occidentale dello Yemen.
È stato il membro Houthi più importante ad essere ucciso dalla coalizione nella guerra che da anni gli Houthi combattono contro le forze fedeli al governo riconosciuto a livello internazionale, con sede nella città portuale meridionale di Aden.
Il governo è sostenuto da una coalizione a guida saudita che ha ricevuto il sostegno delle potenze occidentali. L'Arabia Saudita e i suoi alleati per lo più arabi del Golfo sostengono che dietro gli Houthi ci sia l’Iran, cosa che il gruppo e Teheran negano.
Le autorità Houthi hanno affermato che i nove uomini erano stati accusati e condannati per il loro coinvolgimento nell'eliminazione di Samad, avvenuta tramite spionaggio e condivisione di informazioni sensibili con la coalizione guidata dai sauditi.
Gli Houthi hanno detto che i nove sono stati fucilati da un plotone di tiratori alla presenza di "masse", compresi parenti di sangue del leader ucciso e autorità Houthi, nella capitale Sanaa, che il gruppo controlla.
(Fonti: Reuters, 18/09/2021)


UTAH (USA): QUATTRO PROCURATORI SUPPORTANO L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE
Quattro procuratori distrettuali dello Utah, in rappresentanza di contee che comprendono il 57,5% della popolazione dello Stato, hanno esortato il legislatore statale e il governatore dello Utah, Spencer Cox, a emanare una legislazione per abrogare e sostituire la pena di morte dello Utah.
In una lettera aperta a Cox e al Parlamento pubblicata il 14 settembre 2021, il procuratore distrettuale della contea di Salt Lake, Sim Gill, il procuratore della contea di Grand, Christina Sloan, il procuratore della contea di Summit, Margaret Olson e il procuratore della contea di Utah, David Leavitt - due repubblicani e due democratici – hanno definito la pena capitale “un grave difetto” nel funzionamento della legge “che crea responsabilità improprie nei confronti delle vittime, dei diritti processuali degli imputati, e per la cosa pubblica”.
I quattro pubblici ministeri hanno scritto: “La pena di morte nello Utah oggi è una sentenza permanente e irreversibile all'interno di un sistema imperfetto. Non riesce a scoraggiare la criminalità. Ritraumatizza le vittime. Si applica in modo sproporzionato alle minoranze. È costoso. E rende coercitivi i patteggiamenti”. Approvando la legislazione proposta l'8 settembre dai due parlamentari repubblicani Lowry Snow e Daniel McCay, i pubblici ministeri hanno affermato che "ll Parlamento renderebbe un miglior servizio allo Stato se sostituisse la pena di morte con una pena di ergastolo con libertà condizionale non prima di 45 anni o, in subordine, non prima di 25 anni”.
I pubblici ministeri hanno commentato la loro lettera in una conferenza stampa. Notando che, negli Stati Uniti, da quando la pena capitale è ripresa negli anni '70 per ogni 9 esecuzioni compiute un imputato è stato riconosciuto innocente dopo la condanna a morte, Gill ha affermato: "Se un pilota d’aereo facesse bene solo il 90% degli atterraggi, diremmo che quella persona non dovrebbe volare". Leavitt è stato più schietto. "La pena di morte", ha detto, "è semplicemente una grande bugia che diciamo a noi stessi per aiutarci a credere che stiamo facendo la differenza".
Snow e McCay, che già in altre occasioni avevano sottolineato l'impatto negativo della pena di morte sui familiari delle vittime, sono tornati sull’argomento. Olson ha detto: “Contrariamente a quello che si dice, ossia che la pena di morte aiuta i parenti delle vittime a “chiudere un capitolo doloroso, la lunghezza degli appelli, previsti e garantiti dalla Costituzione, significa che una condanna a morte impiegherà decenni per essere comminata ed eventualmente, se mai, applicata. … Dal 2000, nel braccio della morte sono morti più uomini di vecchiaia nello Utah che per esecuzione”.
La lettera aperta ha anche affrontato direttamente la questione della discriminazione razziale. La popolazione dello Utah è composta per oltre l'86% da bianchi, ma nel braccio della morte il 42,9% dei detenuti è di colore. La lettera afferma che le prime due persone giustiziate nel territorio dello Utah erano nativi americani e due delle sette persone giustiziate nello Utah dal 1977 ad oggi erano nere. "A parità di reato, nello stato dello Utah le minoranze razziali hanno maggiori probabilità di essere giustiziate rispetto ai bianchi". Attualmente tra le 7 persone detenute nel braccio della morte ci sono un nero, un latino e un nativo americano.
I pubblici ministeri hanno anche affrontato quello che hanno descritto come "l'impatto intrinsecamente coercitivo" della pena di morte sui patteggiamenti. "La necessità di un imputato di contrattare per la propria vita nella cultura legale di oggi... dà ai già potenti pubblici ministeri un ulteriore potere, troppo potere, per costringere un imputato a confessare senza nemmeno fare il processo", afferma la lettera.
Leavitt ha dichiarato all'agenzia di stampa KSL di Salt Lake City: "Vogliamo davvero vivere in una società in cui il governo minaccerà di ucciderci a meno che non accettiamo di trascorrere il resto della nostra vita in prigione, e allo stesso tempo permettiamo al governo di non dover nemmeno fare un processo pubblico per dimostrare il suo caso contro di noi?"
I pubblici ministeri concludono la loro lettera con un invito ad aggiungere al codice penale l’opzione di ergastolo con la condizionale non prima di 45 anni. "Come pubblici ministeri, non cerchiamo pietà per gli assassini, ma giustizia per le persone", spiegano.
“Ergastolo con la condizionale non prima di 45 anni significherà che se un criminale mai uscirà, lo farà solo al tramonto della vita. Ciò proteggerà la collettività e, per quanto possibile, fornirà una piccola misura di giustizia per ciò che quella persona ha portato via”.
I pubblici ministeri comunque, in subordine, ricordano al legislatore che pene alternative alla condanna a morte potrebbero essere l’ergastolo senza condizionale, o con la condizionale non prima di 25 anni.
Gill ha spiegato perché l’opzione “45 anni” sia, secondo loro, da privilegiare. “Ho parlato con troppe vittime che hanno detto: “appena 25 anni? È tutto ciò che possiamo aspettarci?” 45 anni invece significa che prendiamo sul serio la questione. Ciò riconosce la gravità del danno e il tipo di responsabilità che le vittime cercano".
La lettera è stata rilasciata meno di una settimana dopo che i due parlamentari repubblicani hanno annunciato un rinnovato sforzo per abrogare la pena di morte e che Leavitt ha annunciato che nella sua contea non chiederà più condanne a morte.
La lettera dei pubblici ministeri ha fatto eco ai sentimenti espressi dai parlamentari Snow e McCray, secondo i quali la pena di morte "crea false aspettative per la società, crea false aspettative per le vittime e le loro famiglie e aumenta il costo per lo stato dello Utah e per gli stati che hanno ancora la pena capitale”.
(Fonti: DPIC, 14/09/2021)


IRAN: CINQUE UOMINI GIUSTIZIATI NELLA PRIGIONE DI RAJAI SHAHR PER OMICIDIO
Secondo informazioni ottenute da Iran Human Rights, 5 uomini sono stati giustiziati con l'accusa di omicidio nella prigione di Rajai Shahr, a Karaj, il 15 settembre 2021. Al momento di scrivere, l'identità dei 5 uomini, che sono stati trasferiti dai reparti 2, 5 e 7, non è stata determinata.
Un sesto uomo è stato riportato nella sua cella e sarà giustiziato nei prossimi giorni. Mohammad Safari, che è andato al patibolo con i 5 uomini, è stato riportato in isolamento fino a quando la famiglia della sua vittima non deciderà se perseguire una punizione o chiedere un risarcimento (diya, prezzo del sangue) o perdonarlo. Parlando con IHR, una fonte informata ha dichiarato: “Mohammad Safari era un funzionario municipale che stava facendo sgombrare un venditore ambulante. Ha litigato con l’uomo e lo ha colpito con un pugno che è risultato mortale. Non è la prima volta che va al patibolo. Stanno aspettando di vedere se può ottenere il consenso dalla famiglia della sua vittima, altrimenti lo giustiziano la prossima settimana”.
Al momento di scrivere, nessuna delle esecuzioni dei cinque uomini è stata riportata dai media in Iran.
(Fonte: IHR)

 

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