Bogotà, metropoli, 11 ore di lavoro ed è finalmente arrivato il romanzo di 1984 pagine
Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare con una persona proveniente da Bogotà, Colombia. Quasi 9 milioni di abitanti. E ho pensato a quanto mi piacerebbe visitarla, rimanerci per qualche giorno. Anche se so, e mi è stato anche spiegato in modo molto vivido, che è una metropoli piena di insidie e grandi problemi.
Le metropoli e le megalopoli non smettono mai di affascinarmi e mi hanno sempre confortato, scosso, preso a pugni, abbracciato quando ci sono stato.
Mi hanno cambiato la vita.
In questi ultimi anni mi muovo in una città di 80 mila abitanti che spesso sento parecchio piccola, opprimente. E lo so che si affaccia su un bellissimo lago, le montagne vicine, ci scorre il fiume Cassarate ma qualcosa mi manca. Manca sempre quel qualcosa che è gigantesco. Mi piace tantissimo vivere in un quartiere pieno di palazzi ma è un peccato che siano così bassi e vi confesso che sto gioendo per un gigantesco palazzo che sta nascendo sulla strada che percorro per andare al lavoro.
Sono nato e cresciuto in un paesino di provincia che fin da piccolo mi è sempre stato stretto e ogni volta che ci torno (come domani) mi sento soffocare. Lo so che anche un paesino con solo due abitanti è sempre pieno di sfumature, piccole e grandi storie (ci ho scritto sopra anche un libretto) ma non è il luogo dove vorrei vivere.
Non è un gioco sfiancante per stabilire cosa sia meglio o peggio per l'umanità (una rottura di cazzo stabilire sempre tutto in rapporto all'umanità e alle sue sorti...) ma ciò che sento più vicino a me stesso non sono di certo un paesino, una cittadina, la provincia. E vale anche per la mia compagna.
Quando nel 1997 con mia sorella dormimmo per qualche giorno a Londra brillai di felicità. Non me ne volevo proprio andare. Non volevo tornare a casa (e ci vorrei tornare appena faccio il passaporto). Stessa roba mi accade sempre quando torno a Milano. Ne sento la mancanza anche adesso. Le grandi città, le metropoli, le megalopoli mi fanno stare bene. Mi fanno respirare. Mi rilassano. Sogno New York. Tokyo.
Non me ne frega nulla di vita notturna, carriera, locali, concerti, mostre, rovine, opere d'arte, musei.
Le vivrei sempre come un depresso, un solitario, un viandante, un assente ma preferirei farlo da quelle parti che nel paesino dove sono cresciuto.
Xto scrivendo nel primo dei miei due giorni di riposo dopo quasi 3 giorni di lavoro a 11 ore a botta. Sabato, domenica, lunedì. A ritmi indiavolati. E le righe sopra sono probabilmente scritte in maniera confusa. Vorrei riposare ma ho un sacco di cose d fare. E curare le mie mani. Piene di vesciche, lividi e tagli che qualcuno pensa che mi stia bucando.
E comunque peccato per Carlo Calenda.
Ma finalmente ho tra le mani il romanzo che stavo aspettando da una vita:
"Le grandi città sono fatte per uccidere la gente"
RispondiEliminaSe Buk avesse incontrato mia sorella, a parte la sua voglia di scoparsela, si sarebbe forse ricreduto. Mia sorella mi somiglia molto in questa insofferenza x la provincia. Dal giorno che si trasferì a Milano è come se fosse sbocciata ed è riuscita a risolvere alcuni dei suoi problemi. Spero un giorno di poter vivere anche io in uns metropoli. Oggi nel mio paesino mi è salita un'angoscia e un'ansia terribile. Per fortuna sono già a Lugano.
EliminaMa la provincia (intesa come mentalità) la odio, e penso lo sai anche te perchè dal famoso romanzo è emersa molto questa cosa. Però da misantropo credo nell'eremitaggio - davvero - spero che prima di morire posso provarlo in prima persona per un lasso di tempo. (lasso :)
EliminaIo non potrei mai fare a meno di vedere palazzi o grattacieli. Anche se poi quando non lavoro e non vado a camminare o nuotare nel lago o qualche volta allo stadio praticamente me ne sto sempre in casa.
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