"Ruthie Fear" di Maxim Loskutoff (Edizioni Black Coffee, traduzione di Leonardo Taiuti)

 

"Un vento pungente soffiava giù dalla collina. La valle stava cambiando in fretta. A Hamilton era comparso un ristorante thailandese a due isolati dal centro di ricerca, mentre lungo il Bitterroot stavano costruendo una pista ciclabile che arrivava addirittura a Missoula. Presto sarebbero apparsi condomini, birrerie e bar a non finire. Semafori a regolare il traffico congestionato. Pupazzi gonfiabili delle concessionarie a ondeggiare nel vento. Ruthie adorava l'inverno per il potere che aveva di tenere la gente al chiuso, di scacciare i turisti e cancellare case e città. Senza dettagli la valle tornava a essere quella di un tempo. Un tempo in cui Ruthie poteva avventurarsi per conto proprio sulle montagne prive di strade, seguendo le tracce lasciate dalla selvaggina tra i pini, con l'ululato dei lupi in lontananza e le orme che scomparivano dietro di lei man mano che avanzava nella neve." (pp. 265-266)

Sono settimane che quando torno dal lavoro osservo un gigantesco cantiere che sta sventrando una collina per far posto all'ennesimo complesso a gradoni vista lago, montagne e palazzi. Ho letto rassicurazioni sul fatto che l'impatto ambientale sarà minimo ma davanti a quella ferita aperta è impossibile credergli. Non c'è più spazio sulle colline e sulle montagne già mangiate da una fame di cemento senza scrupoli che ormai ci si deve accontentare di quel che resta e costruire in zone dove a nessuno sarebbe mai venuto in mente di costruire. 

Ecco alla Bitterrott Valley, nel Montana, difesa da una cortina di montagne innevate, dove vive Ruthie Fear con suo padre e un tempo terra dei Salish, accade nel giro di vent'anni la stessa cosa: arrivano i turisti a frotte, arrivano i ricchi/sportivi/star che si rinchiudono nei loro chalet esclusivi/villaggi privati, arrivano quelli che sono stanchi della vita in città ma vogliono tutte le comodità della vita cittadina e una natura addomesticata e il già fragile equilibrio si spezza definitivamente fino ad arrivare al collasso. 

Maxim Loskutoff ha scritto un romanzo che è un diamante ferito che gronda sangue sulle mani del lettore, si intrufola dentro alla nostra bocca, ci fa piangere e gridare di rabbia fino a farci scomparire, annientandoci completamente.

"Ruthie Fear" è un sconvolgente romanzo di formazione che segue il trascorrere delle stagioni di Ruthie: figlia unica allevata da un padre cacciatore/alcolizzato/coltivatore di coleotteri che gli servono per spolpare teschi di animali, figlia dei boschi e delle montagne, figlia della povertà, figlia della sofferenza e perseguitata per tutta la vita dalla visione di uno strano animale senza testa uscito dal buio di un canyon, donna che assiste rabbiosa alla devastazione della sua valle ma allo stesso tempo affascinata dal progresso, donna che dona il suo amore ai deboli e sofferenti rimanendo sempre sola, che non sa come salvarsi dalle visioni di morte e solitudine che vivono dentro al suo cuore fino al giorno che quella strana creatura tornerà a farle inaspettamente visita.

"Ruthie Fear" è anche una parabola ecologica violentissima, una fiaba nera di quelle che ti tolgono il sonno, un grido di ribellione rivolto contro chi vuole addomesticare la Natura rendendola un parco giochi allestito per turisti, escursionisti, vacanzieri o un incubatrice di nuove malattie e virus che devasteranno il pianeta, contro chi pensa che il mondo possa essere posseduto dagli esseri umani, contro chi si rende responsabile dei peggiori crimini e pensa sempre di uscirne sempre indenne, contro chi ha paura dei diversi e li perseguita, li uccide, fino a cancellarli completamente dalla faccia della terra e credendo che non resteranno i loro spiriti, le loro essenze, i loro ricordi, la loro vendetta.

"Ruthie Fear" è semplicemente un bellissimo romanzo, scarno e insieme lirico, dolcissimo e brutale, mai addomesticabile e con un finale devastante che mi ha letteralmente fatto a pezzi.


Commenti