Dove mi piacerebbe essere il 25 aprile + I PROSSIMI APPUNTAMENTI DI NESSUNO TOCCHI CAINO

Il 25 aprile è una festa importante per me. Per chi sono, per chi sono stato, per il mio sangue, per gli scontri che ho vissuto, per i cortei, per tante persone che ho perso per strada e che mi hanno perso per strada. Per mio nonno partigiano che ha combattuto nei Balcani, che ha tenuto discorsi come quello memorabile nel 1990 che avevo solo 11 anni e che apri' esprimendo la sua felicità per il crollo del Muro augurandosi il dissolvimento dell'Unione Sovietica. Per la sua medaglia che è appesa nell'anticamera della casa dove sono cresciuto. Da quando sono in Svizzera certe volte non riesco a partecipare e quest'anno saltero' visto che lavoro e non sono riuscito a prendere libero ma se fossi in Italia mi piacerebbe stare a Roma in questa manifestazione o a Milano alle 10.30 in Via Silvio Pellico 7, tra il Duomo e la Scala, nei pressi della targa dell'ex albergo Regina. 

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NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 22 - n. 16 - 23-04-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : I PROSSIMI APPUNTAMENTI DI NESSUNO TOCCHI CAINO
2.  NEWS FLASH: UN GRIDO NEL FEROCE TEXAS: ‘SALVATE MELISSA LUCIO’
3.  NEWS FLASH: PER AZZERARE I SUICIDI IN CELLA VA AZZERATO ANCHE IL CARCERE
4.  NEWS FLASH: TEXAS (USA): CARL WAYNE BUNTION GIUSTIZIATO
5.  NEWS FLASH: PENNSYLVANIA (USA): SAMUEL RANDOLPH ‘ESONERATO’ E SCARCERATO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :

I PROSSIMI APPUNTAMENTI DI NESSUNO TOCCHI CAINO
Presentazione ad AFRICO, LOCRI EPIZEFIRI e SIDERNO del libro QUANDO PREVENIRE È PEGGIO CHE PUNIRE - Torti e tormenti dell’Inquisizione Antimafia

La Liberazione continua
Dagli stati di emergenza allo Stato di Diritto e non solo
Comitato Zaleuco

AFRICO
Sabato 23 aprile ore 17:00 Consiglio Comunale
Saluti
Domenico Modaffari – Sindaco di Africo
Intervengono:
Sergio D’Elia – Nessuno tocchi Caino
Gioacchino Criaco – Scrittore
Enza Bruno Bossio – Deputato
Salvino Galluzzo – Avvocato
Eugenio Minniti – Avvocato
Rosario Rocca – Scrittore
Pasquale Simari – Avvocato
Modera
Luigi Longo – Giornalista

LOCRI EPIZEFIRI
Domenica 24 aprile 2022 ore 10:30 Piazza Moschetta
Introduce
Pino Mammoliti – Avvocato
Intervengono
Rita Bernardini – Nessuno tocchi Caino
Mimmo Gangemi – Scrittore
Pierpaolo Zavattieri – Sindaco di Roghudi
Mario Mazza – Avvocato
Domenico Vestito – ex Sindaco di Marina di Gioiosa
Pasquale Foti – Avvocato
Antonino Napoli – Avvocato
Modera
Pasquale Motta – Giornalista


SIDERNO
Lunedì 25 aprile ore 10:30 Sala Ymca
Saluti
Mariateresa Fragomeni – Sindaco di Siderno
Intervengono
Elisabetta Zamparutti – Nessuno tocchi Caino
Ilario Ammendolia – Scrittore
Pietro Fuda – ex Sindaco di Siderno
Rocco Femia – ex Sindaco di Marina di Gioiosa
Federica Roccisano – Economista
Giuseppe Milicia – Avvocato
Vladimir Rosario Condarcuri – Riviera
Modera
Gianluca Albanese – Giornalista

TREVISO
Giovedì 28 aprile 2022 ore 16:30 – 19:30
Presso Auditorium I.C. Stefanini, Viale III Armata, 35

Conferenza
GIUSTIZIA RIPARATIVA – la nuova frontiera del diritto penale

Modera
Avv. Enrico MARIGNANI, Presidente Unione Giuristi Cattolici Italiani, Treviso
Intervengono
Avv. Federico VIANELLI, Presidente Camera Penale di Treviso e Camera Penale del Veneto
Dott. Gherardo COLOMBO, Presidente Cassa delle Ammende
Dott. Silvio MASIN, Referente Regione Veneto per la giustizia riparativa
Avv. Gianluca LIUT, Consiglio Direttivo Nessuno tocchi Caino
Rita BERNARDINI, Presidente Nessuno tocchi Caino
Sergio D’ELIA, Segretario Nessuno tocchi Caino
Elisabetta ZAMPARUTTI, Tesoriera Nessuno tocchi Caino

VERONA
Assemblea di Nessuno tocchi Caino
2022: IL VIAGGIO DELLA SPERANZA CONTINUA
Sabato 30 aprile 2022 ore 15:00 Sala Colonna, Chiostro Canonici, Piazza Duomo 21
Diretta su YouTube, Facebook, Radio Radicale
info@nessunotocchicaino.it

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

UN GRIDO NEL FEROCE TEXAS: ‘SALVATE MELISSA LUCIO’
Francesca Mambro su Il Riformista del 22 aprile 2022

Quando si giustizia un criminale, spesso, si fa felice qualcuno, ma infelice qualcun altro. Un caso emblematico di questa ambiguità è Melissa Lucio, una donna di 53 anni nata in Texas, di origini messicane. Madre di 14 figli, Melissa potrebbe essere messa a morte il 27 aprile in Texas. È accusata di aver maltrattato la più piccola delle sue figlie, Mariah Alvarez, di due anni, fino a causarne la morte nel 2007.
Il 22 marzo, gli avvocati di Melissa hanno presentato una richiesta di clemenza. “Clemenza” è una formula convenzionale che può portare a una semplice “sospensione” dell’esecuzione, a una commutazione (non più pena di morte ma ergastolo senza condizionale), più raramente anche a una ripetizione del processo oppure alla “grazia” vera e propria. I difensori sostengono, con validi elementi a riscontro, che un riesame dell’autopsia fatto alla luce delle migliorate conoscenze scientifiche dimostrerebbe che la bambina è plausibilmente morta per una caduta accidentale dalle scale di casa. Le nuove risultanze sembrano anche spiegare i molti lividi trovati sul corpo della bambina, plausibili con una ipersensibilità dovuta a una malattia genetica della coagulazione del sangue.
Nei giorni e nelle settimane successive, a sostegno della richiesta di “clemenza”, è sorto un movimento molto forte, o meglio, un movimento “molto forte considerato che siamo in Texas”, lo Stato più feroce degli Stati Uniti, lo Stato che da solo ha effettuato il 37% di tutte le esecuzioni Usa in epoca moderna, lo Stato che qualche anno fa contrastò a muso duro anche il conservatore Bush junior che come Presidente degli Stati Uniti chiedeva più prudenza con le esecuzioni.
A favore di Melissa si sono schierati alcuni vip, quasi metà dei giurati popolari che pure l’avevano condannata, alcuni pubblici ministeri (quello che aveva gestito il processo nel frattempo è stato condannato a 13 anni di carcere per gravi irregolarità in altri processi) e gruppi di pressione a favore delle minoranze etniche, contro le violenze domestiche, per i diritti dei minori.
Una petizione popolare, alla quale ha partecipato anche Nessuno tocchi Caino, ha raccolto oltre 235.000 firme.
La cosa abbastanza sorprendente, trattandosi del Texas, ma anche in generale, è che a favore della “clemenza” si sono pronunciati, firmando un appello esplicito, il 60% dei parlamentari texani. E il parlamento texano è a forte maggioranza conservatrice (57%), così conservatrice che un gruppo di parlamentari, per rendere più evidente il supporto a Melissa, è andato in carcere e si è fatto fotografare mentre tutti insieme si erano raccolti in preghiera. Insomma quasi a far capire che anche Dio era dalla loro parte.
Dopo che anche i 13 figli vivi della Lucio hanno testimoniato di non essere mai stati maltrattati, anche il giovane pubblico ministero che ha ereditato il caso dal collega arrestato si è detto favorevole a rivederlo. A questo punto, è forse davvero possibile che in Texas avvenga un miracolo: la “clemenza” per una donna povera, di origine messicana e con un passato di droga.
Fin qui la cronaca. Poi, come dicevamo all’inizio, bisogna considerare che, spesso, quando si giustizia un criminale, si fa felice qualcuno, ma infelice qualcun’altro. In questo caso siamo al paradosso che per “vendicare” la piccola Mariah Alvarez si dovrebbero rendere orfani i suoi 13 fratelli.
Il 27 aprile, di loro non vi sarà traccia anche se hanno raccontato come la madre li abbia curati e gli abbia voluto bene. Senza colpa, saranno puniti, vittime di una necessità giuridica che li cancella e li relega all’invisibilità.
Il Comitato per gli affari legali e i diritti umani del Consiglio d’Europa, nel 2019, evidenziava per i figli dei condannati a morte come “questi bambini, spesso dimenticati e socialmente svantaggiati, possono subire un trauma in ogni fase del processo che porta all’esecuzione del genitore”: è un “fardello emotivo e psicologico” che “viola i loro diritti”. Il Consiglio raccomandava di dare “massima importanza all’interesse superiore del bambino” nelle sentenze sui genitori e rispettare il divieto della pena di morte per chi aveva meno di 18 anni al momento del presunto reato. Come richiamato anche nella Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia del 20 novembre 1989.
Nella storia di Melissa, nello Stato del Texas, non sembra esservi spazio per raccomandazioni né per una pietas che sappia riconoscere il senso del tragico e una compassione che tenti di ricomporre l’irreparabile. È la storia di un meccanismo che nel presumere di voler tutelare la vittima priva di dignità e speranza altri esseri umani, altri figli. È la storia della pena di morte che perpetua quell’indicibile tragico in una frattura irredimibile. Sperando contro ogni speranza, confidiamo che il 27 aprile segni l’inizio di un’altra storia.


PER AZZERARE I SUICIDI IN CELLA VA AZZERATO ANCHE IL CARCERE
Valentina Manchisi su Il Riformista del 22 aprile 2022

Aprile 2022. A Barcellona Pozzo di Gotto una giovane donna si è impiccata ad un albero durante l’ora d’aria. È l’ennesimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno. Una media di un suicidio ogni tre giorni. Una violenza psicologica sottaciuta perché nessun clamore e, soprattutto, nessuno sgomento scuote le coscienze e nessuno sforzo si compie perché ciò non accada. Di queste tragedie si parla solo nei salotti buoni con una semplice e perbenista presa d’atto.
Un dibattito che sembra essere senza soluzione, rinviato, scomodo. Da anni Rita Bernardini, con scioperi della fame, iniziative e proposte di legge, afferma di non voler essere complice. Poche e semplici parole che rivelano una verità evidente e vergognosa: siamo assuefatti alla tragedia delle morti in carcere.
Coloro che giungono ad una decisione tanto estrema sono persone che non reggono l’impatto con una realtà disumana o il protrarsi del doverci vivere o, anche, l’avvicinarsi di un fine pena oltre il quale non c’è nulla perché le porte del pregiudizio, fuori dal carcere, sono tutte chiuse e ricostruirsi una vita è assai arduo. La ragione di ciò è ormai ben nota: il nostro sistema carcerario non fornisce adeguati strumenti per far espiare una pena attuando un concreto recupero della propria vita e del proprio sé, ma esercita una forza indiscriminata e burocratica, quando la burocrazia ha ben poco a che fare con l’animo umano e lo sviluppo di esso.
Come si può pensare che il tintinnare delle manette possa redimere una persona da un errore passato e accoglierla in un sistema di recupero? Quale logica minimamente più evoluta del codice di Hammurabi può far credere che chiudere una persona in quattro mura, magari sovraffollata con altri detenuti, magari in attesa di un processo e dunque presunta innocente, possa servire per ottenere scopi educativi?
Le statistiche su misure alternative e detenzione in carcere mostrano da anni i risultati nei Paesi ove le prime prevalgono nettamente sulla seconda: il tasso di suicidi è più basso, così come il rischio di recidiva una volta scontata la pena.
Eppure, ai “cittadini per bene che non hanno mai sbagliato” non basta. Il sentimento di vendetta supera il concetto di giustizia della pena. La sofferenza altrui, giustificata dalle esigenze cautelari o da una condanna, diventa una panacea per il sentore sociale, che è più semplice e politicamente fruttuoso educare alla forca piuttosto che ispirare alla legalità.
La reazione a un morto suicida in un istituto penitenziario della Repubblica non può concludersi con un “se l’è cercata”, ma dovrebbe smuovere il nostro volere il meglio per ogni essere umano che, ontologicamente fallace, non merita solo parole e promesse perché questo non basta più e non deve bastare più.
Ben vengano amnistie e indulti, referendum contro l’abuso della custodia cautelare, riforme dell’ordinamento penitenziario che consentano uno svuotamento – se pur solo parziale – delle nostre carceri, un diffondersi della cultura della legalità per far comprendere che i detenuti sono cittadini tanto quanto le persone libere, con gli stessi diritti fondamentali, il cui esercizio deve essere garantito e mai ridotto per colpa di prassi, falle organizzative e carenze di sistema; cittadini che, per la loro condizione, si trovano sotto la custodia dello Stato, cioè di tutta quella parte di cittadini liberi che nella tutela dei detenuti aspirano a un miglioramento dell’intera società.
In luogo di una risposta carceraria che, da decenni, non è extrema ratio ma misura applicata di default, bisogna ambire a un carcere ridotto al minimo, per non dire azzerato, la cui struttura organizzativa sia in grado di dare vita a leggi vigenti da quasi cinquant’anni e di fatto mai applicate, in cui i detenuti possano trovare nei loro educatori, nei loro interlocutori, nei loro magistrati di riferimento quella prossimità che è l’unico strumento per svolgere un percorso che sia davvero individualizzato e che possa condurli a una piena, vera e consapevole riconciliazione.
Mentre Oscar Wilde subiva una lunga carcerazione e rifletteva su di essa, scriveva che tutto ciò di cui ci si rende conto è bene. Un secolo dopo, Marco Pannella gli faceva eco sostenendo che l’amore è costanza dell’attenzione e intimamente condannando il non fare, il non occuparsi, l’ignorare col politicamente corretto. Solo trasmettendo il bene, a chi non lo conosce o lo ha perso, è possibile realizzare ciò che la Costituzione pone alla base del più semplice dei diritti umani: la solidarietà.


TEXAS (USA): CARL WAYNE BUNTION GIUSTIZIATO
Carl Wayne Buntion, 78 anni, bianco, il più anziano detenuto del braccio della morte del Texas, il 21 aprile 2022 è stato giustiziato per iniezione letale nel penitenziario di Huntsville.
Era accusato di aver ucciso, nel giugno 1990, l'agente di polizia di Houston James Irby, 37 anni, bianco, che lo aveva fermato per un controllo.
La condanna a morte del 1991 venne annullata da una corte d’appello nel 2009, ma riemessa da una nuova giuria popolare nel 2012.
I suoi avvocati, nelle richieste di clemenza delle ultime settimane, hanno descritto Buntion come un detenuto geriatrico che non rappresentava più una minaccia per la società perché ormai si muoveva solo su una sedia a rotelle. "Questo ritardo di tre decenni mina la logica della pena di morte ... Qualunque sia l'effetto deterrente viene diminuito dal ritardo", hanno scritto i suoi avvocati David Dow e Jeffrey Newberry.
Con la sua esecuzione, Buntion è diventata la persona più anziana che il Texas abbia messo a morte da quando la Corte Suprema ha revocato il divieto della pena capitale nel 1976.
Il detenuto più anziano giustiziato negli Stati Uniti nei tempi moderni era Walter Moody Jr., che aveva 83 anni quando è stato messo a morte in Alabama nel 2018.
Buntion è stato anche il primo detenuto giustiziato in Texas nel 2022.
Ci sono state solo tre esecuzioni in ciascuno degli ultimi due anni, in parte a causa della pandemia di coronavirus, e in parte per una serie di ricorsi scaturiti da una recente modifica del regolamento che vietava ai “consiglieri spirituali” di rimanere accanto al detenuto fino all’ultimo momento. Questa norma è stata progressivamente modificata, e Buntion, dopo una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 24 marzo di quest’anno, è stato il primo condannato che ha visto riconosciuto il “diritto ad essere toccato” dal suo assistente spirituale e pregare ad alta voce durante l’esecuzione, secondo la procedura che era sempre stata in vigore fino al 2019.
Buntion è il primo detenuto giustiziato quest'anno in Texas, il 574° da quando il Texas ha ripreso le esecuzioni nel 1982, il quarto detenuto messo a morte quest'anno negli Stati Uniti e il 1.544° in totale da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni il 17 gennaio 1977.
(Fonte: AP, 21/04/2022)

PENNSYLVANIA (USA): SAMUEL RANDOLPH ‘ESONERATO’ E SCARCERATO
La pubblica accusa ha ritirato tutti i capi di imputazione contro Samuel Randolph e il 6 aprile 2022 un giudice della Dauphin County, in Pennsylvania, ha ratificato il provvedimento, ordinando l’immediata scarcerazione del detenuto.
Il ritiro delle accuse da parte della pubblica accusa è una delle formule che portano al cosiddetto “esonero”, ossia il proscioglimento e la scarcerazione dopo una precedente condanna a morte.
Samuel Randolph, oggi 50 anni, nero, era stato condannato a morte nella Dauphin County il 15/05/2003 con l’accusa di aver sparato a 7 persone, il 19 settembre 2001, ferendone 5 e uccidendone 2, Anthony Burton, 18 anni, e Thomas R. Easter, 21 anni.
Il 27 maggio 2020 il giudice federale Christopher Conner aveva annullato il verdetto di colpevolezza e la relativa condanna a morte perché l’imputato aveva goduto di una “inadeguata assistenza legale”. Nello specifico, il giudice del processo aveva negato a Randolph il diritto di essere rappresentato da un avvocato di sua scelta, costringendolo ad andare al processo con un avvocato impreparato nominato dalla corte con il quale l’imputato “non riusciva assolutamente a comunicare”.
Dovendo re-istruire il processo, l’attuale rappresentante della pubblica accusa, la procuratrice distrettuale Fran Chardo, ha detto di non credere che Randolph sia innocente, ma poiché i testimoni sono nel frattempo o morti o comunque indisponibili per altre cause, si vede costretta a rinunciare a tentare una nuova condanna.
Nel 2021 la Chardo aveva offerto a Randolph un patteggiamento, un cosiddetto “Alford plea”, un compromesso in cui l’imputato continua a dichiararsi “non colpevole” ma riconosce che la pubblica accusa è in possesso di prove sufficienti per processarlo.
I patteggiamenti di tipo Alford di solito prevedono che l’imputato accetti di essere condannato a “quanto già scontato”, e venga immediatamente scarcerato. La “minaccia implicita” per i detenuti che rifiutano gli Alford pleas è che i pubblici ministeri rallentino le procedure per le fasi successive, costringendo il detenuto ad un ulteriore periodo di detenzione in attesa di poter ottenere l’assoluzione piena.
Randolph ha rifiutato l’accordo, il che ha significato per lui rimanere in carcere fino ad oggi.
Randolph è la 187a persona ad essere esonerata da un'ingiusta condanna e condanna a morte negli Stati Uniti dal 1973.
È l'undicesimo condannato a morte della Pennsylvania ad essere esonerato. Cinque di questi esoneri hanno avuto luogo dal 2019. Tutti e cinque i casi riguardavano comportamenti scorretti della polizia e della pubblica accusa, false testimonianze o false accuse. Quattro dei cinque casi hanno comportato anche un'inadeguata rappresentanza legale al processo.
(Fonte: DPIC)

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