intorno a "Purezza" di Garth Greenwell (Einaudi, traduzione di Matteo Colombo)

 

Persino al buio mi piaceva guardarlo, benché il mare non fosse mai davvero buio, anche adesso fuori stagione catturava la luce della luna, che era alta e quasi piena, e quella dei pochi ristoranti e alberghi aperti nella parte nuova della città, tanto che il porto intero scintillava di punti di luce. Erano mesi che non vedevo il mare, un anno, e ne avevo fame; mi ero avvicinato al bordo della terrazza per controllare il telefono, ma mi trovai invece a guardare il mare. Potevi perdertici, era quello ad attrarmi, era bello ma era anche come guardare il nulla, la sua vista cancellava i pensieri come il suono cancellava i rumori, e subito non sentii che gli altri mi chiamavano perché li raggiungessi.” (pag. 133)

Arrivato a pagina 133 del bellissimo libro di Garth Greenwell “Purezza” (Einaudi, traduzione di Matteo Colombo), che vi consiglio vivamente, mi sono fermato per qualche minuto e ho pensato a cosa farò quest'estate e nei prossimi mesi e a quando rivedrò il mare e al primo bagno, se continuerò a lavorare al cinema o se troverò qualcosa di meglio, se riuscirò a trovare la capacità di scrivere qualcosa di decente, alla prima volta che praticai sesso anale e la ragazza che stavo penetrando cominciò a urlare di dolore e piacere e mi chiedeva insieme di smetterla ma anche di continuare perché stava godendo tantissimo e voleva che alternassi l'ano alla fica fino a che non le venni nel buco del culo e rimasi col mio cazzo dentro di lei mentre ansimava e mi diceva che ero un vero stronzo e che non l'amavo e aveva ragione su tutto quanto. E ho pensato anche a ragazza che una sera, venti metri dal lago, avrebbe tanto voluto portarmi in una stanza d'albergo e far l'amore con me. Mi fece capire che avrebbe voluto trascorrere la notte con me. Le stavo spezzando il cuore. E io invece me ne andai. Mi sottrassi. Ma mi manca il sapore di quella fica. Lo confesso. E comunque lei era e sarà sempre una persona migliore di me. Allo sguardo di un ragazzo che provava per me attrazione e una sera cercò di farmi ubriacare per approfittarsi di me. E io che lo guardavo negli occhi e lui che pensava che fossi omosessuale e io che ero stanco e poi a un certo punto lui si mise a vomitare. Ma lui era una grandissima testa di cazzo. E ho pensato alla nostra gatta che sta sul nostro letto mentre sto scrivendo queste stronzate. A Pesaro. E alla prima volta che ho mangiato con la mia compagna. Lei che mi parlava di Cechov e io che tremavo.

“Purezza” è un libro scritto da Dio, classico e insieme modernissismo, che concede poco alle semplici aspettative a quel lettore che cerca la solita narrazione lineare, composto da nove racconti che sono come petali di un fiore che sboccia fra le vostre mani e che esplora passione, sesso estremo (molti rimarranno sconvolti dal capitolo “Gospodar”: “Mi tirò in avanti, sempre per i capelli, premendosi con forza il mio viso sull'inguine, così forte che doveva essere sgradevole per lui come per per me; qualsiasi piacere sarebbe stato accidentale, o la conseguenza di altre intenzioni. Il che non significa che non provassi piacere; non mi si era mai ammosciato, e quando disse Respirami, annusa, lo feci avidamente, a grandi boccate. Ne avevo provato anche prima, quello sputo addosso era stato una scintilla sul binario della spina dorsale, chissà perché godiamo di certe cose, forse è meglio non indagare troppo a fondo. E ne provava anche lui, sentivo il cazzo irrigidirsi contro la mia guancia, e poi allungarsi e salire; non si era mosso durante la mia lunga declamazione, il catalogo dei desideri a cui avevo dato il nome, ma al primo vero contatto gli venne duro. Mi teneva la testa da dietro, tirando i capelli e impedendomi di muovermi, anche se non era necessario, doveva saperlo; ma con l'altra stava cercando qualcosa, lo intuii dagli assestamenti dell'equilibrio e del peso, che allontanandomi da sé mi abbassò di colpo sulla testa. Era una catena, capii sentendo il freddo contro il collo, o uno di quei guinzagli che si usano con i cani difficili, e immediatamente lui strinse, affinché sentissi il morso. Non mi eccitò, apparteneva alla coreografia che mi lasciava indifferente, ma non mi opposi; acconsentii, benché non mi avesse chiesto il permesso né un consenso. Afferrò allora un'altra catena, più corta e sottile, con due pinze dentate ai capi, che (con entrambe le mani, lasciando cadere il guinzaglio perché del resto non ero un animale, non andavo legato) mi attaccò al petto. Fu il primo dolore vero che mi inflisse, mi spezzò il fiato, ma non fu troppo, né privo di eccitazione; di nuovo mi percosse un fremito, per quello e per ciò che prometteva.” pp. 27-28), le chat di incontri, l'omosessualità (rivendicarla, soffrirla, accettarla, subirla), sottomissione, erotismo, amore, rivendicazioni LGBT, manifestazioni politiche (bellissimo leggere di Sofia, Bulgaria, dove la voce narrante, uno statunitense, si ritrova a insegnare), rinunce, violenze, indifferenza e alla fine la pace che si raggiunge nella semplicità e nella complicità di un gesto, di un sonno, di un abbraccio, di un lasciarsi andare.

E poi arrivano la poesia, Whitman e la democrazia in questo passaggio che ho trovato veramente bello:

La poesia!, esclamai, drizzandomi sulla sedia, e ottenni l'effetto voluto; si girarono tutti, guardandomi in silenzio, piú esterrefatti che rispettosi. Li fissai per un istante, creando una cesura, quindi ripetei La poesia, come se fosse la risposta scontata a una domanda, una risposta che loro già conoscevano. Ecco cosa possono fare i poeti, dissi, i poeti e gli artisti; ci danno idee in cui credere, in cui interi possono credere. Come Whitman, dissi, che avevano studiato tutti, era in programma al terzo anno; i miei allievi di terza lo stavano leggendo in quel momento, Canto di me stesso, e io scoprivo un poema diverso per via delle proteste, nel cui contesto avevamo inquadrato la lettura, pur avendolo letto decine di volte ora lo leggevo diversamente. Pensate a qual era il suo obiettivo in quel poema, dissi, mentre il paese era in guerra con se stesso, completamente spezzato; vuol creare un'immagine dell'America che tutti possano abbracciare. Come in quel passaggio prodigioso, e usai quella parola, prodigioso, mi stavo emozionando, come sempre venivo trasportato da Whitman, era ciò che amavo di lui e di cui anche diffidavo, dei sentimenti che sapeva suscitare e che potevano annebbiare il giudizio. Quel passaggio che è solo un elenco di cose, dissi, o meglio, non di cose, di persone, un semplice elenco, vuole includere tutti, trovare un posto per ognuno. Un posto paritario, continuai, anche se stavo parlando troppo, oltre che un posto nei suoi affetti. Ci sono quei momenti splendidi che mette fra parentesi, come un sussurro, vi ricordate, in cui ci dice che ama la persona appena nominata. Per lui era questo al democrazia, dissi, un elenco poetico che dava modo di amare le cose; voleva ricucire l'America, lui, dissi, eliminare ogni tipo di divisione. Una volta sola fa il contrario, in quello stesso appello, accostando una prostituta al presidente, ricordate? Nessuno ricordava, eppure erano attenti, interessati meno al poema o a quel che dicevo, forse, che alla mia emozione, che osservavano, pensai, come un bizzarro fenomeno naturale. La prostituta viene sbeffeggiata dalla folla, dissi, ed è l'unica volta in cui Whitman si separa, le dice loro ridono, ma io di te non rido. Ed è questo il problema, incalzai, il problema della democrazia, il pericolo della folla, che è anche il problema delle proteste: come si può prendere una folla e trasformarla in popolo, prendere la voce di un popolo e trasformarla in vox populi, nella voce di un popolo. Guardai l'orologio e vidi che la lezione era quasi finita, presto sarebbe suonata la campanella. Bisogna unirsi senza perdere la capacità di pensare, Whitman la chiama “assorta immersione di me stesso”, e da essa dipende l'idea stessa di democrazia. Intendiamoci, io non penso che la poesia abbia il potere che lui le attribuisce. Whitman voleva che il suo poema diventasse l'America, come per magia, che correggesse tutte le storture del paese. Ed erano tante!, dissi, cercando di alleggerire il tono, e sono tante anche oggi, ma lui ha saputo creare un'immagine dell'America in cui ancora sento di poter credere, che ancora sembra la nostra migliore versione possibile. Poi mi fermai, non sapendo come proseguire, e accolsi con gratitudine la campanella, che mi permise di alzare la voce e dire Insomma, andate a fare i poeti, sollevando i ragazzi dal mio eccesso di emozione e autorizzandoli a ridere.” (pp. 61-63)

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