Una roba che ogni volta che la vedo e ascolto mi fa star bene.
"Induciamo la morte a essere orgogliosa di ghermirci" (William Shakespeare)
L'ho cominciato ieri e l'ho terminato oggi tornato dal lavoro seduto sul letto con la nostra gatto accanto che faceva le fusa e sembrava voler raccogliere le mie lacrime. Mi sono emozionato e ho pensato a tante, tantissime cose e, come Tully che sceglie di morire dopo un cancro terminale, se mi fosse diagnosticata una malattia terminale o degenerativa sceglierei anche l'eutanasia. Questo romanzo vive di un equilibrio fragilissimo e splendido e lontano da qualsiasi ideologia e retorica. Vive di adolescenza e musica e dischi e concerti e locali e sogni e letteratura. Di amicizie che non si spezzano mai. Di voglia di morire ma anche di accettazione e gioia di vivere. Mi ha fatto anche ripensare a quando in viaggio in Interrail con mia sorella girovagavo ubriaco in un negozio di dischi a Edimburgo parlando dei Massimo Volume e il commesso non sapeva se cacciarmi fuori o picchiarmi a sangue.
E poi ci sono questi versi straordinari di Yeats
La letteratura mi fa star bene, mi confonde, mi apre strade infinite, mi fa venire voglia di mollare tutto e partire per Creta e leggere, mollando tutto. Non sto molto bene, anche fisicamente. Ma per fortuna ci sono i libri.
...
Sabato scorso su Sguardindiretti è uscito un mio racconto intitolato "La diga".
Si trova qui.
oppure qui sotto:
"Quando si svegliò lei se n'era già
andata. Sul comodino aveva lasciato un
biglietto con scritto che prima di proseguire il viaggio verso nord si sarebbe
fermata alla diga di Vogorno per scattare qualche foto visto che aveva saputo
che ci avevano girato James Bond. Fra gli anarchici Luisa era la sola che
avesse conosciuto a non vergognarsi di ascoltare musica commerciale, di seguire
il Festival di Sanremo e di adorare la saga di 007. Un giorno al Circolo
Malfattori aveva deciso di organizzare, sfidando pregiudizi e censure, una
rassegna bondiana e il successo di pubblico era stato tale che non avevano più
avuto problemi nel pagare l'affitto della sede. Nel biglietto lo aveva pregato
anche di far avere a Lorena appena l'avessero scarcerata gli orecchini che stavano
nel sacchetto di tela insieme a una sciarpa e a La lettera scarlatta. Se lui
aveva lasciato l'ambiente anarchico perché sentiva di essersi trasformato in un
uomo pieno di certezze e violenza, lei invece era stata progressivamente messa
ai margini per le sue posizioni contrarie all'aborto, l'immigrazione, le
libertà individuali. Alcuni suoi scritti pubblicati su alcuni siti e opuscoli e
altri interventi in assemblee nazionali erano stati definiti reazionari,
nazivegani, omofobi, razzisti. Anche solo nel frequentarla e dire di essere
suoi amici poteva costarti caro. Dopo l'arresto per la rapina aveva cominciato
a far uscire dal carcere scritti sempre più violenti e identitari. Nessuno le
aveva espresso solidarietà. Lui non aveva mai smesso di scriverle, anche se non
riusciva più a seguirla nelle sue prese di posizione, come quella volta che gli
scrisse che se fosse stata francese avrebbe votato certamente per Marine Le
Pen. Uscita dal carcere era scomparsa. Lui l'aveva cercata nella sua vecchia
casa fra le montagna ma aveva trovato appeso alla porta un avviso di vendita.
Aveva chiamato la sorella che gli aveva risposto che anche con lei e i genitori
non si era fatta viva. Erano trascorsi gli anni e di lei nessuna traccia, se
non qualche intervento online e su giornali di destra contro la fecondazione
assistita, i vaccini, il matrimonio omosessuale, l'Unione Europea, il
multiculturalismo. Non aveva perso il gusto della provocazione che l'aveva
sempre contraddistinta e gli studi classici e il suo talento stilistico le
avevano permesso di fregiarsi in quell'ambiente di una erede di Oriana Fallaci.
Poi il giorno prima lei lo aveva chiamato. Aveva subito capito che era lei,
anche se la voce resa rauca dalle sigarette sembrava quella di un'anziana a cui
restano pochi giorni da vivere. Non sapeva chi le avesse dato il suo numero.
Forse sua madre o suo fratello. Gli aveva chiesto se poteva incontrarlo e lui
l'aveva invitata a casa. Quando le aveva aperto si era ritrovato davanti una
donna magrissima, con le mani e le braccia ricoperte dei tatuaggi degli amori
della sua vita, di rune, di lupi e rami di quella quercia che, avrebbe poi
scoperto, le copriva la schiena. I capelli biondi le arrivavano fino alle
ginocchia e zanne d'avorio le bucavano le orecchie. Si era seduta sul divano
senza dire nulla ma sorridente. Le aveva offerto da mangiare ma gli aveva
risposto che aveva mangiato un panino in un autogrill e che voleva solo bere
qualcosa e farsi una doccia. Avevano bevuto una bottiglia di vino guardandosi
negli occhi senza mai parlare. Fra le coperte era rimasto ancora il profumo
delle creme che si era spalmata sul corpo dopo essere uscita dalla doccia per
stendersi nuda accanto a lui. Dormiva sempre senza vestiti Luisa. E chi aveva
vissuto con lei doveva accettare che la loro coinquilina girava spesso nuda per
casa, indifferente ai giudizi altrui. Era rimasto steso al suo fianco tenendola
per mano ascoltandola raccontargli del lavoro che l'aspettava in Germania in
una comunità agricola autosufficiente, dei quattrini che suo padre aveva perso
nella sala slot che stava all'uscita dell'autostrada, di come avesse deciso di
fare a meno di medicine e sigarette ma non dell'alcool. Lui non aveva quasi
aperto bocca, se non per dirle che i soldi che lei gli aveva chiesto di custodire
stavano dietro il quadro in cucina. Lei gli aveva risposto che li poteva tenere
e spendere come voleva. Che non le servivano più ma che aveva sempre saputo che
lui non l'avrebbe mai tradita. Gli aveva chiesto dove fosse finita Giulia e lei
aveva imprecato quando le aveva raccontato che si erano separati da anni.
S'informò sulla sorte di tutti gli altri ma di loro sapeva solo quello che
scrivevano i giornali. “Ti ricordi quella volta che abbiamo dormito insieme a
Genova nella casa di Enrico e tutti pensavano che fossimo una coppia e nessuno
ci credeva che non mi avevi toccato nemmeno con una mano? Mi piacque quando non
ti giustificasti. Sapevi come non farti infastidire da pettegolezzi e
cattiverie” Lui invece le aveva ricordato della volta che si erano conosciuti.
Era stato a una manifestazione a Brescia. Vent'anni tutti e due. Lui con gli
occhi gonfi per i lacrimogeni e lei con una ferita aperta sulla fronte che
necessitava di qualche punto. Si erano nascosti nel sottoscala di una casa fino
a quando non si erano cambiati d'abito ed erano riusciti ad arrivare alla sua
macchina. L'aveva riaccompagnata a casa e lei in autostrada gli aveva chiesto
di mettere su Radio Dj. Erano finiti poi in un bar insieme a tutti gli altri a
smaltire le scorie di una giornata difficile. Da subito si era stabilito fra
loro due un'amicizia fatta di confidenze e rispetto. Lei che accettava senza
timore i suoi silenzi, le sue nottate alcoliche e la sua intransigenza
ideologica, lui sempre disponibile a ascoltare i suoi lunghi monologhi sui
ragazzi per i quali perdeva la testa e che si rivelavano quasi sempre degli
stronzi e a risolvere le conseguenze degli scatti di violenza che
compromettevano manifestazioni e presidi come la volta che tirò un pugno a una
giornalista del giornale locale che si era avvicinata per rivolgere qualche
domanda. Si era addormentato mentre lei gli raccontava
singhiozzando di come sua madre avesse il Parkinson e che non l'aveva
riconosciuta quando l'aveva rivista. “Pensava che fossi la sua infermiera. Mia
sorella ha quattro figlie. Tutte bionde come me. Sono stata felice di vederle
prima di andarmene”. Andò in cucina e i soldi erano ancora dietro il quadro. Il
cellulare cominciò a squillare e a riempirsi di foto della diga e di selfie di
Luisa che sorrideva coi capelli mossi dal vento. Sei sempre stato buono con me,
Andrea, grazie, gli scrisse. Fuori dalla finestra i bambini ritardatari
correvano per raggiungere la scuola prima del suono della campanella. Dietro di
loro uno dei volontari che li accompagnavano lo salutò con la mano. Tutto
quello che gli rimaneva di quegli anni di cortei, arresti, denunce, assemblea
era quella busta piena di soldi, le foto di Luisa e una vita solitaria fatta di
lavoro, libri e camminate in riva al lago. Non sapeva cosa risponderle e rimase
a guardare quel sorriso fino a quando si fece sera e cominciò a scendere la
neve che lentamente ricoprì la strada e le macchine parcheggiate fuori dalla
fabbrica abbandonata. Accese il camino e mentre mangiava i resti della cena del
giorno prima guardò le banconote bruciare uno dietro l'altro, fino a che non
rimase di quel pomeriggio di vent'anni prima."
...
ed è uscito il nuovo dei Cosmetic e su Shoegazeblog c'è un'intervista proprio a loro.
Commenti
Posta un commento