Il fascino di Giorgia Meloni + "Ferrovia di sangue" di Tom Lin (Einaudi, traduzione di Alfredo Colitto) + Dry Cleaning

Non capisco, o forse sì come si possa sentirsi affascinati da Giorgia Meloni, così come non ho mai compreso chi abbia gradito Giuseppe Conte, Grillo, Di Battista, Salvini, Bersani e molti altri. Attendo news sulla composizione del nuovo governo ma vedo già profilarsi all'orizzonte quelle misure del cazzo, vedi pensione a 58 anni, che stuzzicheranno tanto anche un certo elettorato di sinistra.
 
La futura nuova premier mi ricorda sempre quelle casalinghe/lavoratrici/madri/zitelle/cattoliche/pie/di destra/comuniste/democristiane dei palazzi/quartiere/paese/mondo che rompevano i coglioni a noi bambini e bambine del cortile. 
Quelle che urlavano:
“Dovete fare i compiti prima di scendere a giocare!!!!”
Già fatti puttana e poi noi li facciamo quando cazzo li vogliamo noi.
“Non date da mangiare ai cani randagi che vi trasmettono la rabbia”.
Ce l'abbiamo già addosso da quando siamo nati la rabbia.
“Non date da mangiare a quella gatta che poi resta incinta e puzza e i gattini moriranno sotto le macchine”.
Noi a casa i gatti li mangiamo, tranquilla signora.
“Se state a parlare col marocchino che vende i tappeti, vi rapisce e vi porta in Marocco".
Magari signora ci fosse qualcuno che avesse voglia di portarci via da questo paese di merda.
"Tutto il giorno a fare i lazzaroni e come pensate di trovare un lavoro?”
E chi cazzo ha voglia di lavorare?
“Non andate a giocare in quei campi, non giocate alla guerra, non andate lì che c'è scritto: Proprietà privata, perché quella é la villa dei signori!”
Oh, ragazzi, forza preparate le munizioni che oggi facciamo un bel casino.
“Guardate che domani arriva il prete per la benedizione di Natale, mi raccomando!"
A benedire cosa? Il prete tocca i pisellini ai bambini.
“Ma tuo padre cosa ci fa a casa oggi, non lavora?”
No, signora, aveva bisogno di scopare e dormire.
 
Me ne ricordo una in particolare: G. È ancora in vita. Aveva l'abitudine di lanciarci secchiate d'acqua e di impedirci di giocare nel ritaglio d'erba che stava sotto la finestra del bagno del suo appartamento al primo piano. Aveva una figlia unica, P., che custodiva e cresceva come una principessa. Per lei era la più bella e brava studentessa del paese. Bella non lo è mai stata e divenne ancora più brutta quando cominciò a girare coi tacchi già alle medie. Sul resto non esprimo giudizi visto che dei voti scolastici e altrui non me ne n'è mai fregato mai un cazzo.

Una spia, piena di rancore fino al buco del culo, pettegola, cattiva, sempre pronta a esprimere giudizi negativi verso immigrati, tossici, disoccupati, meridionali, prostitute, animali randagi, atei, femministe, capelloni, punk, grunge, inquilini che non parlavano il dialetto o non amavano la festa di San Rocco.

Ma amata da tantissimi perché metteva ordine e pace nel cortile, perché riferiva a tutti il nome di questo o di quell'altro responsabile di aver estirpato una pianta per trasformarla in una spada o parcheggiato nel posto sbagliato o cantato fino a notte fonda. Piaceva perché sembrava non avesse paura di niente.

Un pomeriggio con altre due madri che avevano il primo turno in fabbrica scese di corsa in cortile per impedire che la figlia di una delle due giocasse al dottore con una sua amica.

Noi che spiavamo da dietro le siepi.

Successe il finimondo.

Risultato: la mia amica rimase in casa per tutta l'estate e qualche anno dopo cominciò a darla via a tutti. Tranne che a me.

Ma: per tutta quell'estate non crebbe niente nel suo orto. Con metodo ci dedicammo all'annientamento di qualunque forma di vita. Niente fiori, verdura, ortaggi. Niente di niente. Guerra chimica.

Tanti ci ringraziarono, altri ci dissero che eravamo figli e figlie del demonio.

E quando morì mia madre e G. stava recitando il rosario in camera, si fece vedere un amico di mia sorella cresciuto isnieme nel cortile che quando la vide mi disse: “Ohi, che racchia e figa di legno che é sempre stata sua figlia.”

Di tutti quei ragazzi e ragazze quasi tutti sono diventati come lei e come tutte quelle donne che ci rompevano i coglioni. Come quel marito e quegli uomini. Un giorno dopo l'altro. Un'estate dopo l'altra. Un diploma dopo un'altra assunzione. Un licenziamento dopo un altro figlio. Una casa dopo un altro matrimonio. Un lutto dopo una nuova tinteggiatura. Un nuovo vicino dopo un altro funerale.

Siamo rimasti in pochi e in poche a percorrere altre strade.

Siamo diventanti degli sconosciuti e nemmeno ci interessa tornare a incontrarci. 

Non siamo migliori o peggiori di quelli che sono diventati quello che non volevano diventare.

Siamo altro.

Non migliori e nemmeno peggiori ma altro.

E io sono ancora quel ragazzino che quando dal balcone vedo i ragazzini giocare liberi da condizionamenti o scorrazzare per le vie del quartiere fino alle 21 o alle 22 sente che non tutto è perduto. 

Ma è proprio allora, verso il crepuscolo, quando mi sento vecchio, stanco e pieno di ricordi che il dolore comincia a farsi strada in me e non c'è niente che possa tenerlo a bada.

....


Da amante del western non potevo certo perdermi il romanzo di Tom Lin “Ferrovia di sangue” (Einaudi, traduzione di Alfredo Colitto) ma è stata una mezza grande delusione, sin dal cambiamento radicale del titolo originale che leggete qui quanto é bello: “The Thousand Crimes of Ming Tsu). Sostanzialmente è la storia della ricerca di vendetta di Ming Tsu, orfano cinese cresciuto da padre adottivo per diventare un killer, ai danni di chi gli hanno portato via l'amata Ada. La sua caccia è accompagnata dal Profeta, un anziano cinese cieco che conosce il futuro e vive il Mondo, da un gruppo di strani feraks circensi (un bambino sordomuto che comunica col pensiero, un aborigeno capace di duplicare il corpo altrui, una donna che non brucia, un Navaho che cancella i pensieri, guidati da un uomo tubercolotico che rinasce continuamente nel 1858).

Una caccia spietata e metasifica sui bordi della ferrovia statunitense costruita col sangue dei cinesi e di migliaia di altri disperati, incrociando cittadine minerarie prossime alla rovina e la ferocia di chi vede nei diversi solo qualcosa da uccidere, sterminare, cancellare dalla faccia della terra.

Se nelle prime pagine la narrazione avvincente col trascorrere della lettura sono stato vinto dalla noia e dalla ripetizione delle situzioni presenti, da mille e mille ricordi di film di ogni genere che avevo visto sul tema della vendetta e dalla presenza di Cormac McCarthy davvero troppo ingombrante. Alla fine mi è rimasto davvero poco se non la conferma di come Freaks Out di Gabriele Mainetti sia davvero un film straordinario e pieno di una poesia di cui questo in questo romanzo, seppur ce ne siano eccome le intenzioni, non ho trovato davvero traccia.

 


 

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