Nessuno tocchi Caino - IRANIANI PRONTI A TUTTO. E NOI CHE FACCIAMO PER LORO?

 NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS
 
Anno 22 - n. 39 - 22-10-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IRANIANI PRONTI A TUTTO. E NOI CHE FACCIAMO PER LORO?
2.  NEWS FLASH: I BUONI FUORI, I CATTIVI IN CELLA: FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
3.  NEWS FLASH: INDONESIA: VERSO L’INTRODUZIONE DELLA CONDANNA A MORTE CON ‘PERIODO DI PROVA’
4.  NEWS FLASH: OKLAHOMA (USA): GIUSTIZIATO BENJAMIN COLE
5.  NEWS FLASH: MALESIA: ASSOLTO IN APPELLO DOPO CONDANNA CAPITALE PER TRAFFICO DI DROGA
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : NESSUNO TOCCHI CAINO CON IL PARTITO RADICALE A SOSTEGNO DEL POPOLO IRANIANO E DELLE DONNE IRANIANE


IRANIANI PRONTI A TUTTO. E NOI CHE FACCIAMO PER LORO?
Roberto Rampi su Il Riformista del 21 ottobre 2022

Da quando con passione seguo le drammatiche vicende del popolo iraniano, lo sviluppo di un regime che nel tempo è riuscito persino a peggiorare, nonostante partisse da vette drammatiche di violenza, e le ambiguità responsabili dell’Unione Europea e dei governi italiani nei confronti di questo regime, le straordinarie manifestazioni della diaspora iraniana, le azioni politiche della resistenza, mai eravamo arrivati a un punto così importante di mobilitazione nel Paese. Troppe persone costrette a violenze di ogni tipo e private della speranza oggi non hanno nulla da perdere e sono pronte a tutto per cambiare.
L’Iran è campione mondiale di esecuzioni. Nel mio impegno per la moratoria globale della pena di morte ho iniziato ad approfondire le caratteristiche di un regime che non solo uccide il suo popolo con processi sommari e per “reati contro la morale”, a partire dalla omosessualità. Ma lo fa spettacolarizzando la violenza, impiccando al braccio di grandi gru da costruzione donne, uomini, ragazze, bambini davanti a una folla spesso obbligata ad assistere. Uccide i minori, fa dello spettacolo della violenza la cifra di un sistema di potere fondato sul terrore. E proprio per questo oltre a essere crudele con i propri cittadini l’attuale governo iraniano esporta violenza nel mondo, finanziando gruppi terroristi in tutto il Medioriente.
In questi anni in parlamento abbiamo sollevato con le diverse organizzazioni per i diritti umani e con gli stessi iraniani della diaspora il problema dell’atteggiamento dell’Italia e dell’Europa, che hanno scelto l’illusione degli investimenti economici e del potenziale di crescita del Paese rispetto alla intransigenza sui diritti umani, promuovendo iniziative, scambi, incontri come se il governo iraniano fosse un normale interlocutore. Nonostante non possano esistere investimenti sicuri in contesti privi di stato di diritto, dove la corruzione e l’arbitrio assoluto governano tanto l’economia che la vita umana.
È stata alimentata la favola delle cosiddette componenti riformiste del regime, e l’idea di possibili accordi in particolare sulla questione nucleare. Anche di fronte al rapimento e alla condanna di Ahmadreza Djalali e alla comprovata organizzazione di un tentato attentato sul suolo europeo la strategia non è cambiata. E alle ripetute interrogazioni si è risposto con una flemma degna di ben altra condizione.
Oggi grazie al sacrificio in particolare di alcune giovani donne qualcosa si smuove nella opinione pubblica e anche nel sistema dell’informazione.
Un movimento internazionale sembra attivarsi e aprire lo sguardo verso un regime che mostra forti segnali di cedimento, nonostante abbia saputo muoversi nelle profonde fratture della nuova situazione internazionale per attirare investimenti e stringere alleanze, in particolare con Russia e Turchia. Mi auguro che l’Italia sappia essere protagonista di una nuova fase.
Alle manifestazioni di piazza e ai tagli di capelli in solidarietà con le donne iraniane devono seguire processi di disinvestimento economico, soprattutto delle aziende a partecipazione statale, e la comunità internazionale deve favorire un cambio di regime, senza alcun cedimento a frange interne al potere che hanno partecipato alle nefandezze che opprimono da oltre quarant’anni un grande Paese, facendo oltraggio a una cultura millenaria fatta di apertura, pluralismo, convivenza.
Oggi l’Iran aspetta che il mondo intero riconosca il diritto del suo popolo di difendersi dalle violenze del regime, di organizzarsi, un aiuto concreto in termini di sanzioni e un supporto attraverso la riattivazione della rete interna e le condanne nette sul piano internazionale, il superamento della normalizzazione dei rapporti diplomatici.
La scorsa settimana all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa oltre 100 parlamentari di Paesi e gruppi politici diversi hanno sottoscritto una dichiarazione molto netta in tal senso. Dopo avere richiamato il ruolo svolto dall’attuale Presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi nel massacro di prigionieri politici nel 1988 – secondo alcuni rapporti, i giustiziati furono 30.000, il 90% dei quali erano sostenitori dei Mujahedin del Popolo – i parlamentari del Consiglio d’Europa hanno invitato gli Stati membri europei e la comunità internazionale a condannare fermamente le uccisioni e gli arresti di manifestanti in corso in Iran, a riconoscere il diritto del popolo iraniano a resistere alla repressione e a difendersi, a fornire accesso gratuito a Internet per il popolo iraniano.
Il tempo per un Iran libero è adesso.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

I BUONI FUORI, I CATTIVI IN CELLA: FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Argia Di Donato su Il Riformista del 21 ottobre 2022

Ho partecipato per la prima volta a un laboratorio di Nessuno tocchi Caino nel carcere di Secondigliano con i detenuti sottoposti al regime di alta sicurezza, quelli considerati dalla società “i più cattivi di tutti”.
Rievoco gli occhi di quei “ragazzi” – perché ai miei occhi restano tali –, in cui si agitano oceani densi di luci e ombre di interminabili colori dalle mille sfumature, narratori sofferenti di realtà possibili e opportunità negate. Universi infinitesimali di mondi generati da illusioni, sogni e incubi, visioni e dolori, fede e speranza, cedimenti e ricostruzioni. Sono stati momenti molto intensi. Eravamo come immersi nello stesso fiume, le cui acque mutavano direzione di continuo. Abbiamo parlato di fede, speranza, autenticità, volontà, diritti, doveri, toccando le vette più alte del pensiero filosofico occidentale e orientale. E poi abbiamo parlato di farfalle.
Ho chiesto loro se conoscessero il ciclo di una farfalla. Tutti hanno risposto che la farfalla vola. Libera, ha aggiunto qualcuno.
Uno dei ragazzi, Giosuè, come per magia, si è alzato in piedi e ha detto “Io ho scritto una poesia su una farfalla” ed è scappato per andare a reperirla. È tornato con versi straordinari, come questi: “Ti sei appoggiata in queste quattro mura, qualcuno mi dice che mi porterai fortuna. Eri bella ondulante e profumata, ma io dalla mia cella fuori ti ho cacciata. Voglio che tu spieghi le ali e voli via. Qui troverai solo lamento e malinconia. Qui non c’è un campo fiorito e aromatizzato, c’è solo cancelli, cemento e ferro temprato.”
Mentre osservavo i ragazzi interagire con noi, pensavo al fatto che se non si conoscesse il ciclo di vita di questo incredibile insetto capace di stravolgere completamente le proprie forma ed essenza, pochissimi riuscirebbero a ritenere come vera e possibile la sua metamorfosi. In effetti, basta osservare per bene un bruco. Egli è sgraziato, vorace, famelico e distruttore. In taluni casi è assai brutto e spaventoso da vedere. Davvero pochissimi crederebbero al fatto che la farfalla è la sua faccia “altra”.
La nostra è una società ipocrita. Mira a sanzionare senza rieducare.
Punire o privare qualcuno della libertà senza consentirgli di comprendere la natura del proprio errore per imparare dallo stesso, non ha alcun senso se non quello di generare altri tipi di mostri. Dentro e fuori le stesse mura che separano noi, qui, da loro, lì. La nostra società è una società malata. Non riesce a guardarsi allo specchio, non è capace di essere sincera con se stessa, non riesce a essere autentica. Siamo ancora tropo legati a una visione dualistica del mondo. Bene e male ci separano sia dall’“altro”, sia da noi stessi, nella nostra parte più autentica. E solo abbandonando questa schematica “opposizione” avviene il miracolo della trasformazione. Come le farfalle. Che muoiono strisciando per rinascere volando.
Sono fermamente convinta che i detenuti degli istituti penitenziari siano la nostra parte nascosta a noi stessi, quella parte scomoda che non vogliamo vedere perché giudicanti e impauriti. È più facile chiudere i mostri in gabbia. Così evitiamo di vedere il nostro di mostro. Quel mostro che rifiutiamo, puniamo, giudichiamo. Quel mostro che rinneghiamo e che condanniamo. Perché non ascoltarlo? Vederlo per ciò che è? Accoglierlo? E perdonarlo?
La storia della nostra civiltà è testimone che il genere umano, a livello collettivo, pensa per separazione. I grandi pensatori, i grandi artisti, i letterati, gli scienziati, i maestri spirituali ci dicono invece che siamo parte di un unico tutto. E che siamo tutti collegati. Gli uni con gli altri. Se guardiamo le stelle, il sole e la luna e gli astri del cielo, in essi c’è sia la parte illuminata sia la parte in ombra. Perché in ogni cosa respira la Luce e l’Ombra, e queste due realtà – necessarie per l’evoluzione dell’Anima - dentro di noi si alternano danzando in una spirale possibilistica di estatica bellezza. Senza conflitto. Questo fa di tutti noi esseri unici e irripetibili. Bene e male sono soltanto termini inventati dalla nostra specie per “confinare” ciò che non può essere definito nettamente per nostra incapacità. Bene e male sono concetti che nascono per la nostra difficoltà a pensare in termini di unicità. Bene e male sono solo parole. Perché la sostanza delle cose resta quella che è. Ed il cambiamento, quello vero, è il grande miracolo. Anche se difficile, pericoloso e doloroso.
Bruchi e farfalle. Noi, qui, e loro, lì. Non c’è differenza né separazione. Siamo l’uno specchio dell’altro, facce della stessa medaglia, petto e schiena dello stesso corpo. Noi siamo loro. E loro sono noi. È soltanto la fede nella Speranza a dare forza alle nostre ali e a sollevarci fin su nella parte più alta del cielo per guardare la luce delle stelle.


INDONESIA: VERSO L’INTRODUZIONE DELLA CONDANNA A MORTE CON ‘PERIODO DI PROVA’
Le autorità dell’Indonesia hanno recentemente annunciato di voler rivedere il vecchio codice penale, compresa la parte relativa alla pena di morte.
Mentre l'Indonesia da tempo giustizia i condannati per crimini come terrorismo, omicidio e traffico di droga, la bozza del nuovo codice penale descrive l'esecuzione come "l'ultima risorsa" e offre un'alternativa: un periodo di prova di 10 anni durante il quale i condannati possono far sostituire la pena capitale con l'ergastolo se soddisfano determinate condizioni.
Secondo il progetto, che dovrebbe essere convertito in legge nei prossimi mesi, i giudici avranno il potere di emettere una condanna a morte con un periodo di prova di 10 anni nel caso l'imputato "mostri rimorso, ci sia possibilità di cambiamento, non abbia svolto un ruolo importante nel reato commesso, o in presenza di circostanze attenuanti”.
La cosiddetta condanna a morte con prova, che fa eco ai due anni di "sospensione" che la Cina offre ad alcuni dei condannati a morte, ha sollevato tuttavia alcune preoccupazioni.
Usman Hamid, il capo di Amnesty Indonesia, che si batte per la fine completa della pena di morte, afferma che se verrà utilizzato un periodo di prova, dovrebbe essere concesso a tutti coloro che vengono condannati a morte.
"Il concetto di pena di morte come punizione alternativa è incoerente, perché la formulazione del governo è regredita al punto in cui il periodo di prova dipende dalla decisione del giudice, cosa che è soggetta ad abusi", ha affermato.
Kirsten Han, attivista contro la pena di morte con base a Singapore e giornalista indipendente, afferma che i piani dell'Indonesia per una pena di morte con periodo di prova sono interessanti, ma che resta da vedere il funzionamento nella pratica.
"È un miglioramento rispetto a quello che abbiamo perché almeno dice che la pena di morte dovrebbe essere l'"ultima risorsa" e che ci sono fattori attenuanti, mentre quello che abbiamo qui è la morte obbligatoria", ha detto. "La mia domanda principale sarebbe come e chi valuta criteri come 'buona condotta' e 'possibilità di cambiamento'".
Dobby Chew, coordinatore esecutivo dell'Anti-Death Penalty Asia Network con sede in Malesia, è d'accordo.
“Non è una cattiva idea di per sé e potrebbe essere descritta come un progresso. Ma la concezione e il contesto possono essere molto problematici poiché il punto di partenza consiste sempre nella condanna a morte di una persona", ha affermato Chew.
"Una condanna a morte con prova metterebbe i detenuti nella strana circostanza di doversi dimostrare cambiati con la consapevolezza che altrimenti la loro vita sarebbe persa. In tali circostanze, qualsiasi pentimento può essere considerato autentico?”
Chew ha anche convenuto che lo stato dovrebbe essere attento nel determinare i criteri o il contesto del periodo di prova e avere parametri di riferimento oggettivi e misurabili in relazione alle percezioni del cambiamento.
“L'impatto sulla salute mentale dei detenuti e delle famiglie è sostanzialmente diverso, alcune famiglie sono fondamentalmente distrutte, traumatizzate o danneggiate dall'incarcerazione poiché le fondamenta della loro famiglia e le vite sono state distrutte con la condanna. I casi di esaurimento mentale o i detenuti che vivono sul filo di un coltello sono relativamente comuni", ha aggiunto Chew.
L’attivista teme che una condanna a morte con periodo di prova diventi in Indonesia un compromesso che non affronta né la riforma né la pena.
"Cercare di mitigare il sistema con un periodo di prova non risolve i problemi fondamentali intorno alla pena di morte, né fornirebbe alla società la giustizia attesa", ha affermato.
"E se una persona fosse in grado di dimostrare il proprio pentimento, o riuscisse a dimostrare un grado minore di colpevolezza, avrebbe sofferto inutilmente nel braccio della morte per 10 anni?"
"Meritano di avere una pistola metaforica puntata contro di loro per i 10 anni della loro incarcerazione?"
(Fonti: Aljazeera, 10/10/2022)

OKLAHOMA (USA): GIUSTIZIATO BENJAMIN COLE
Benjamin Cole è stato giustiziato il 20 ottobre 2022 nello stato dell’Oklahoma. È stato dichiarato morto alle 10:22 (Central Time).
Cole, ora 57 anni, bianco, era stato condannato a morte nel 2004 per l'uccisione nel 2002 della figlia di 9 mesi.
Il 20 dicembre 2002, secondo la pubblica accusa, aveva perso la pazienza perché il pianto di Brianna Victoria Cole stava interrompendo un suo videogioco. Mentre la bambina moriva dissanguata, Cole aveva ripreso a giocare.
Cole ha ammesso in una confessione registrata di aver causato le ferite mortali di sua figlia. I suoi avvocati non hanno negato la responsabilità dell’uomo, ma hanno sempre insistito sulle sue gravi condizioni mentali, dovute ad abusi subiti da bambino, e molteplici traumi cranici anche durante il servizio militare.
Gli avvocati di Cole si sono opposti alla sua esecuzione, sostenendo che il loro cliente, a cui era stata diagnosticata la schizofrenia, era gravemente malato di mente e non capiva i procedimenti legali che circondavano la sua esecuzione.
"Sebbene i suoi avvocati affermino che Cole è malato di mente fino alla catatonia, il fatto è che Cole ha collaborato pienamente con una valutazione mentale nel luglio di quest'anno", ha detto il procuratore generale il 27 settembre. "Il valutatore, che non è stato assunto da Cole o dallo Stato, ha ritenuto Cole sufficientemente sano di mente per essere giustiziato in quanto 'il sig. Cole al momento non evidenzia alcun segno sostanziale e palese di malattia mentale, deterioramento intellettuale e/o deterioramento neurocognitivo.'
Cole diventa il 4° detenuto messo a morte quest'anno in Oklahoma e il 118° in assoluto da quando lo stato ha ripreso le esecuzioni nel 1990. Solo il Texas (576) ha compiuto più esecuzioni negli Stati Uniti. Cole diventa il 12° detenuto messo a morte quest'anno negli Stati Uniti e il 1.552° in assoluto da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni il 17 gennaio 1977.
(Fonte: CNN, 20/10/2022)

MALESIA: ASSOLTO IN APPELLO DOPO CONDANNA CAPITALE PER TRAFFICO DI DROGA
Una Corte d’appello malese ha assolto un uomo che era stato condannato a morte in primo grado per traffico di droga, ha riportato Free Malaysia Today il 19 ottobre 2022.
Accogliendo l'appello di Ben Khaled Abd Molok, un meccanico rimasto paralizzato dalla vita in giù mentre era in prigione e costretto su una sedia a rotelle, la giuria di tre membri della Corte d'Appello presieduta dal giudice Kamaludin Said ha affermato che la colpevolezza deve essere annullata in quanto si è verificato un errore giudiziario.
Kamaludin, che sedeva con i giudici Ahmad Nasfy Yasin e Hashim Hamzah, ha affermato che il giudice del processo ha commesso un errore nel non considerare l'incapacità dell'accusa di assicurare la presenza di un testimone materiale quando a Ben, 42 anni, è stato chiesto di difendersi.
"Questo è un grave errore di conduzione che ha causato un errore giudiziario", ha detto.
L'accusa aveva convocato il testimone, identificato come Joey, ma la polizia non ha preso provvedimenti per localizzarlo.
Due anni fa, l'Alta Corte aveva condannato a morte Ben dopo averlo riconosciuto colpevole del traffico di 104,74 g di metanfetamina, nota come syabu.
Ai sensi del Dangerous Drugs Act 1952, si definisce trafficante una persona in possesso di 50 g o più di syabu.
Per l’accusa Ben aveva commesso il reato davanti a un'officina auto in un sito industriale a Sri Damansara, Kuala Lumpur, alle 16:00 del 12 febbraio 2019.
Era stato anche condannato a tre anni di reclusione e a tre colpi di rotan per il possesso di 10,53 g della stessa droga nello stesso luogo e ora.
Tuttavia, Ben ha ritirato l'appello contro la pena detentiva poiché ha scontato sufficiente tempo in carcere.
Ben ha detto che a febbraio gli è stata diagnosticata una tubercolosi che aveva colpito il suo midollo spinale, causando una paralisi.
"Alcuni compagni di cella mi aiutano a muovermi su una sedia a rotelle e mi assistono quando vado in bagno o mi lavo", ha detto a FMT dopo il procedimento.
Sebbene tecnicamente liberato, Ben è stato riportato in prigione perché doveva ancora essere frustato.
Il suo avvocato, Afifudin Ahmad Hafifi, ha affermato che Ben non può essere esentato dalla condanna alla fustigazione a meno che un medico della prigione non lo dichiari non idoneo al momento dell'esecuzione della punizione.
"Se non è idoneo, la sezione 291 del codice di procedura penale consente al tribunale di sostituire la fustigazione con una pena detentiva", ha affermato Afifudin, assistito da Hafizuddin Salehuddin.
Il pubblico ministero era Eyu Ghim Siang.
(Fonti: Free Malaysia Today, 19/10/2022)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


NESSUNO TOCCHI CAINO CON IL PARTITO RADICALE A SOSTEGNO DEL POPOLO IRANIANO E DELLE DONNE IRANIANE
Sabato 22 ottobre 2022, ore 17:00, Ambasciata Iraniana, via Nomentana 361, Roma
 

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