Nessuno tocchi Caino - ‘SO CHE MI IMPICCHERANNO. FATEMI VEDERE MIA FIGLIA PER L’ULTIMA VOLTA’ + LE CONDIZIONI DETENTIVE DI MATTEO MESSINA DENARO RIGUARDANO ANCHE NOI. ECCO PERCHE’

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 4 - 28-01-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : ‘SO CHE MI IMPICCHERANNO. FATEMI VEDERE MIA FIGLIA PER L’ULTIMA VOLTA’
2.  NEWS FLASH: LE CONDIZIONI DETENTIVE DI MMD RIGUARDANO ANCHE NOI. ECCO PERCHE’
3.  NEWS FLASH: IRAQ: 14 CONDANNATI A MORTE PER IL MASSACRO DI CAMP SPEICHER
4.  NEWS FLASH: USA: DA BIDEN SEGNALI CONTRASTANTI SULLA PENA DI MORTE
5.  NEWS FLASH: BANGLADESH: PRIGIONIERO IMPICCATO IN CARCERE A KASHIMPUR
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


‘SO CHE MI IMPICCHERANNO. FATEMI VEDERE MIA FIGLIA PER L’ULTIMA VOLTA’
Prof. Roberto Castelli* su Il Riformista del 27 gennaio 2023

Il Cuore dell’Iran presenta una ferita profonda e sanguina di sangue innocente, sangue dei suoi figli che vengono mandati a morire innocenti come “nemici di Dio” perché protestano contro la Repubblica Islamica.
Nel settembre 2022 dopo la morte violenta di Mahsa Amini, detenuta e violentata in un carcere di Teheran perché non indossava correttamente il velo, sono state migliaia le persone a scendere in piazza contro il regime islamico. Queste proteste sono costate al popolo iraniano, finora, oltre 500 morti e migliaia di arresti, di sparizioni in carceri dove studenti liceali e universitari subiscono violenze, torture, sevizie. Quattro uomini, di cui due poco più che ventenni, sono stati impiccati per aver “mosso guerra a Dio”.
In questo contesto si iscrivono le storie di Hassan Firouzi e Mohammad Ekhtiarian.
Hassan, 34 anni, è stato arrestato nel novembre 2022 ed è stato condannato alla pena di morte da eseguire appena si sarà rimesso dalle ferite subite in carcere, perché per una perversa e tragica ironia si deve essere “sani”, almeno in apparenza, per morire nella “guerra contro Dio”. Detenuto nella prigione di Evin, tristemente nota per le frequenti denunce di violazione dei diritti umani, è stato sottoposto a tortura al fine di estorcergli una falsa confessione di colpevolezza. Non gli è stata concessa alcuna assistenza legale ed è stato condannato dopo un processo sommario alla pena capitale. Il 16 gennaio 2023, prima di essere riportato dall’ospedale in prigione senza le necessarie cure, Hassan ha lanciato un appello al popolo iraniano. Le sue parole sono dettate dalla disperazione di chi è ben conscio di stare per morire e che dovrà lasciare il mondo senza più vedere la “cosa” che egli ama di più, sua figlia: “Chiedo una sola cosa al popolo iraniano: fat
 e qualcosa perché io possa vedere mia figlia per l’ultima volta. Che io firmi o meno la confessione mi uccideranno. Il mio unico desiderio è di vedere per l’ultima volta mia figlia prima che uccidano me. Dopo 10 anni, Dio finalmente ci ha dato una bambina e io ho potuto vederla solo per 18 giorni prima di essere arrestato”.
Noi tutti proviamo un profondo senso di impotenza di fronte al suo appello e al suo dramma e per quello di centinaia di persone detenute e seviziate nelle carceri iraniane. Morire in nome di Dio, ma in verità per mano di un regime che non rispetta né Dio né l’uomo, è un prezzo troppo alto da pagare e un insostenibile paradosso. Paradosso non meno tragico è associare il nome di Dio, “il clemente, il misericordioso”, il Dio “con i nomi più belli”, come si legge nel Corano, alla morte: alla morte degli altri, di quelli che pensano diversamente.
Rapporti del 23 gennaio scorso di attivisti iraniani per i diritti umani indicano che Hassan, a causa delle gravi lesioni riportate durante l’interrogatorio e l’assenza di cure mediche, sia entrato in coma. Durante gli interrogatori sarebbe stato duramente picchiato con una sedia e l’assenza di cure mediche avrebbe determinato una grave emorragia con perdita della funzionalità di un rene.
Analoga tragica sorte è quella di Mohammad Ekhtiarian, altro giovane manifestante iraniano arrestato nel corso delle proteste. Di lui non abbiamo dichiarazioni dirette, e anche le notizie sulla sua situazione sono frammentarie, ma non per questa ragione la sua storia è in secondo piano. Durante l’arresto, gli sono state provocate gravi ferite forse d’arma da fuoco a una gamba e ora, a cause di infezioni gravi, anche lui sarebbe entrato in coma.
Al momento attuale, la storia dell’Iran è fatta da centinaia di casi come questi. I ragazzi dopo l’arresto spariscono, subiscono torture e pestaggi, muoiono senza che di loro si sappia più nulla. Ora Hassan e Mohammad stanno morendo a cause di brutali sevizie e torture o sono in condizioni di pericolo di vita, privati delle cure necessarie. Diamo voce alla voce di Hassan e di Mohammad e a quella di centinaia di ragazzi incarcerati, torturati e messi a morte solo perché hanno il coraggio di alzare la testa contro un regime che li schiaccia, li opprime, offende i loro diritti di essere umani. La loro voce è soffocata dalla sofferenza, dalla paura, dal dolore o ridotta a un lieve labile tremante sospiro. Abbiamo il coraggio di urlare al loro posto che la vita umana e i suoi diritti, sono un valore irrinunciabile, non possono essere calpestati e vilipesi e, chissà, riusciremo a fermare la mano del boia. Se non arriveremo a tanto, almeno avremo provato a non allinearci all’indifferenza e all’individualismo.
Chiediamo a tutti i governi del mondo libero, alle organizzazioni umanitarie, e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di intraprendere azioni urgenti per fermare l’esecuzione di Hassan e Mohammad e tutti i crimini in corso in Iran.
*Università di Sassari

NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LE CONDIZIONI DETENTIVE DI MMD RIGUARDANO ANCHE NOI. ECCO PERCHE’
Marco Beltrandi su Il Riformista del 27 gennaio 2023

Nelle liberal-democrazie, meglio, in tante di esse, si condanna la pena di morte. Sono tante le ragioni: relative al Diritto e ai Diritti, al rispetto della vita umana, alla certezza di una pena che non può essere una condanna senza fine, possibilità di ravvedimento, di crescita, persino di espiazione, di una “nuova vita”. Anche in caso di colpevolezza, in cui il giudicato rifletta una verità storica. Perché sappiamo, sull’esempio di uno dei Paesi più trasparenti, gli USA, che ancora la applicano in alcuni Stati, quante persone giustiziate sarebbero state negli anni scagionate, se ancora in vita.
È difficile pensare che Matteo Messina Denaro possa essere considerato “vittima” di un cumulo di errori giudiziari, vista la mole di sentenze definitive e di delitti che ha determinato o a cui ha collaborato secondo le autorità competenti. Ma proprio questo rende la sorte di Messina Denaro della massima importanza per ciascun di noi.
Soprattutto per due ragioni. La prima: se persino uno dei “Caini” per eccellenza vedesse i propri diritti e la propria vita rispettati, allora lo sarebbero anche quelli di tutte le persone detenute. E, quindi, per questa via, avremo maggiori garanzie anche per i diritti, le vite e la sicurezza di tutta la società, anche quella non ristretta in istituzioni totalitarie. Ma l’altra ragione è forse ancora più importante. Messina Denaro non può non sapere tante cose forse neppure immaginate dalla pubblica opinione, su fatti del nostro Paese e forse non solo. È sicuramente stato testimone di fatti importanti. Conosce complicità. Conosce colpevoli, ma pure innocenti. Potrebbe fare luce su tanti accadimenti.
Ma noi già sappiamo che con ogni probabilità Messina Denaro finirà sepolto nei meandri più inaccessibili del 41 bis; quindi, per lui nessuna possibilità di riabilitazione sarà possibile, anche a prescindere dall’eventuale alea dell’ergastolo ostativo che purtroppo il Governo non ha abolito per reati di mafia e terrorismo malgrado la pronuncia della Consulta del 15 aprile 2021 che valeva, e non poteva essere diversamente, per tutti i reati. Sarà sottoposto a un regime carcerario duro e afflittivo dove subirà una accelerazione del decorso delle sue gravi patologie. Perché questo comporta il 41 bis. Già per i detenuti “comuni” le cure mediche e psicologiche sono un miraggio sovente lontano. E abbiamo anche il drammatico precedente di Bernardo Provenzano, tenuto in 41 bis invalido e di fatto incapace di intendere e volere, fino alla morte. Una pena disumana. Non giustizia, ma l’opposto: vendetta pura e semplice. O il silenziamento di un possibile testimone di eventi s
 comodi o compromettenti. Come accadde, per fare un esempio, a Saddam Hussein che fu catturato, processato e giustiziato a gran velocità alla fine del 2006. Marco Pannella tentò di salvarlo – e con lui il “diritto alla conoscenza” – con la campagna “Nessuno tocchi Saddam” e uno sciopero della sete drammatico che lo portò alla soglia della dialisi. E lo fece perché aveva un valore per i “Caini ignoti”, per qualsiasi altro detenuto e per qualsiasi altro cittadino. Persino per la nostra sicurezza, per e grazie al “diritto a conoscere”.
Le condizioni di salute, di cura e di detenzione di Matteo Messina Denaro diventeranno emblematiche, e potrebbero suscitare una vera presa di coscienza della realtà del carcere, del suo significato costituzionale tradito, del diritto alla dignità, alla salute, e al reinserimento di tutte le persone detenute. E anche la conoscenza della giustizia in Italia, delle tante sue necessità di riforme strutturali. Proprio negli scorsi giorni il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha illustrato in Parlamento un ambizioso piano di riforme, ma per realizzarle serve una opinione pubblica informata.
Questo richiederebbe che si potesse dibattere sui media principali dei problemi di giustizia, carceri, e delle pene, così come delle proposte e soluzioni radicali di riforma. Cosa da sempre negata, vietata. Anche e soprattutto sulle reti del servizio pubblico radiotelevisivo esercitato in condizioni di monopolio dalla RAI. Una RAI che resiste persino alla condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 31 agosto 2021 nei confronti dello Stato italiano per tanti anni di informazione non completa, legale e pluralista nei talk show. Per riformare una qualsiasi cosa serve che tutti coloro che possono portare contributi possano far conoscere le loro opinioni e proposte alla pubblica opinione. Mentre, anche in occasione dell’arresto di Messina Denaro, abbiamo unicamente la sfilata televisiva di chi è per mantenere lo stato attuale inaccettabile delle cose, leggi d’emergenza e regimi speciali. Hanno
spazio solo, direbbe Sciascia, i “professionisti dell’antimafia”, magistrati e opinionisti giustizialisti. I garantisti, o meglio i riformatori, mai.

IRAQ: 14 CONDANNATI A MORTE PER IL MASSACRO DI CAMP SPEICHER
La magistratura irachena il 26 gennaio 2023 ha condannato a morte 14 imputati in relazione al massacro di Camp Speicher del 2014.
Il Tribunale penale centrale di Baghdad ha emesso il verdetto ai sensi della Legge antiterrorismo irachena.
Più di 1.700 reclute disarmate dell'aeronautica, principalmente sciiti, furono uccise nel massacro, avvenuto mentre l'ISIS invadeva l'Iraq.
Le uccisioni furono uno dei più gravi attacchi del gruppo terroristico e sono diventate un simbolo della sua brutalità.
Sono decine gli imputati già condannati a morte per aver preso parte all'attacco all'ex base Usa, vicino alla città di Tikrit.
Nel giugno 2021, nove uomini sono stati condannati a morte in relazione al massacro. Avevano confessato il loro coinvolgimento negli omicidi, ha detto la magistratura.
Trentasei uomini sono stati impiccati nel 2016 in relazione all'attacco.
Baghdad ha condannato a morte centinaia di persone per terrorismo da quando ha dichiarato la sconfitta dell'ISIS nel 2017, e ha effettuato esecuzioni di massa nella prigione di Nassiriya, l'unica struttura in Iraq dove si pratica la pena capitale.
Poiché le esecuzioni richiedono l'approvazione presidenziale, ne sono state praticate un numero relativamente piccolo.
Un team delle Nazioni Unite istituito per indagare sulle azioni dell'ISIS in Iraq e Siria ha scoperto che durante l’attacco sono stati commessi sette tipi di crimini di guerra.
Ai soldati alla base è stato ordinato di cambiarsi in abiti civili e sono stati successivamente catturati dai miliziani dell'ISIS, che li hanno radunati sulle rive del fiume Tigri e uccisi a colpi di arma da fuoco.
Sono state trovate numerose fosse comuni.
Lo scorso agosto le autorità libanesi hanno arrestato il nipote di Saddam Hussein per il suo presunto coinvolgimento nell'attacco.
Un mandato dell'Interpol era stato emesso per il suo arresto quando è stato fermato nella città libanese di Jbeil. È stato estradato in Iraq a novembre.
I gruppi per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per la detenzione e il perseguimento in Iraq di sospetti terroristi.
Amnesty International ha accusato la magistratura irachena di tenere "processi iniqui" ed estorcere confessioni attraverso la tortura. Ha descritto l'esecuzione nel 2020 di 21 persone condannate per terrorismo come "un oltraggio".
(Fonti: The National, 26/01/2023)

USA: DA BIDEN SEGNALI CONTRASTANTI SULLA PENA DI MORTE
Il presidente Usa Joe Biden ha condotto una campagna impegnandosi a lavorare per l'abolizione della pena capitale federale ma non ha compiuto passi importanti a tal fine. Il suo Dipartimento di Giustizia in alcuni casi continua a chiedere condanne a morte, anche se, con una moratoria in vigore, non è probabile che si verifichino esecuzioni federali a breve.
A Boston, nel processo per la bomba alla Maratona di Boston del 2013, il Dipartimento di Giustizia sta facendo pressioni sui giudici per confermare la condanna a morte per Dzhokhar Tsarnaev.
A New York chiede ai giurati di imporre la pena di morte a Sayfullo Saipov, che nel 2017 ha ucciso otto persone in un attacco su una pista ciclabile.
Il 17 gennaio, invece, i pubblici ministeri federali hanno annunciato che non chiederanno la pena di morte per Patrick Crusius, un 24enne accusato di aver ucciso 23 persone in un attacco razzista in un supermercato Walmart del Texas nel 2019.
I sostenitori dell'abolizione della pena capitale affermano che i segnali contrastanti dell'amministrazione e il silenzio di Biden - il primo presidente ad essersi apertamente opposto alla pena di morte – equivalgono, sin qui, al fatto che il democratico non ha mantenuto le sue promesse elettorali.
Altri aggiungono che tale inerzia rende probabile che un futuro presidente riprenda le esecuzioni federali, come ha fatto il presidente Donald Trump nel 2020 dopo una pausa di 17 anni.
Con 13 esecuzioni nella camera della morte federale di Terre Haute, Indiana, durante i suoi ultimi sei mesi in carica, Trump ha fatto compiere più esecuzioni di qualsiasi altro presidente in più di 120 anni.
"L'amministrazione Biden sembra non capire che l'inerzia, se continua, comporterà esecuzioni", ha affermato Robert Dunham, che dirige la ong Death Penalty Information Center a Washington, DC.
"Le esecuzioni dell'amministrazione Biden saranno eseguite da una futura amministrazione. Ma saranno esecuzioni di Biden”.
Il 18 gennaio, in un'e-mail della Casa Bianca, si afferma che il presidente "ha parlato a lungo delle sue preoccupazioni su come viene applicata la pena di morte e se è coerente con i valori fondamentali per il nostro senso di giustizia ed equità", e sostiene la decisione del procuratore generale di imporre la moratoria.
“Il Department Of Justice prende decisioni sui procedimenti giudiziari in modo indipendente. Sarebbe inappropriato per noi valutare casi specifici in corso, ma riteniamo che sia importante che le vittime, i sopravvissuti e le loro famiglie ottengano giustizia ", è scritto nella mail.
Ecco uno sguardo alla pena di morte federale sotto l'amministrazione di Biden:
Sotto la direzione di Merrick Garland, il Dipartimento di Giustizia non ha chiesto la pena di morte in nessun nuovo caso. Ha inoltre ritirato le richieste di pena capitale avanzate dalle precedenti amministrazioni contro 25 imputati.
Ma i pubblici ministeri federali questo mese hanno aperto un processo capitale a New York contro Sayfullo Saipov, accusato di aver utilizzato un furgone nel 2017 per falciare pedoni e ciclisti su una pista ciclabile lungo il fiume Hudson. La decisione di chiedere la morte era stata annunciata sotto Trump, ma Garland ha permesso ai suoi pubblici ministeri di continuare a perseguirla.
Gli avvocati del Dipartimento di Giustizia stanno anche cercando di ottenere la conferma della condanna a morte inflitta a Tsarnaev per l'attentato del 2013 che ha ucciso tre persone vicino al traguardo della maratona di Boston.
Tsarnaev, che all’epoca non aveva ancora compiuto 20 anni, era stato inizialmente condannato a morte, poi nel 2021 aveva ottenuto un annullamento da una corte d’appello federale, e nel 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva annullato l’annullamento, così che i difensori d’ufficio di Tsarnaev hanno intrapreso altri ricorsi per evitargli la pena di morte, ricorsi ai quali si oppone la pubblica accusa federale.
Dunham ha elogiato la Casa Bianca di Biden per la dichiarazione di non voler interferire nei processi decisionali interni del Dipartimento di Giustizia, ma ha sostenuto che non c'è nulla di improprio nel fatto che la Casa Bianca stabilisca una politica generale sulle esecuzioni.
"Quello che sembrano non capire è che se stai impostando una politica, questa non è un'interferenza", ha detto Dunham la scorsa settimana. “Questo è stabilire un principio in base al quale vengono prese le decisioni. … Non sono riusciti a stabilire linee guida politiche sulla pena di morte”.
Nonostante il suo impegno elettorale, Biden non ha emesso alcuna direttiva formale o dichiarazione politica sulla pena capitale federale. Durante la campagna, ha anche promesso di lavorare per porre fine alla pena di morte in tutti gli stati. Anche su questo ha taciuto.
Il passo più notevole della sua amministrazione è stato l'annuncio di Garland nel 2021 di interrompere le esecuzioni federali che erano state riavviate dal predecessore repubblicano di Biden, Trump.
Con la motivazione di voler rivedere le procedure di esecuzione che l’amministrazione Trump aveva voluto “forzare”, il Dipartimento di Giustizia ha detto di aver bisogno di tempo, e che quindi, fino a quando non sarà completata la revisione delle procedure, non sarà emesso nessun nuovo mandato di esecuzione. È una formula vaga, che è stata usata più volte da governatori dei vari stati, e che consente ai politici di mantenere almeno a metà i loro impegni elettorali: non si abolisce la pena di morte, ma almeno non si compie nessuna nuova esecuzione.
Il problema con le moratorie, sottolineano gli attivisti contro la pena di morte, è che appena un politico perde le elezioni, diventa molto facile per il successore ricominciare subito a compiere esecuzioni.
La moratoria dichiarata dal “ministro della giustizia” Garland è simile a quella ordinata nel 2014 dal presidente Barack Obama a seguito di un'esecuzione statale fallita in Oklahoma. Gli oppositori della pena capitale affermano che il fatto che Obama non abbia intrapreso un'azione di più ampia portata sulle esecuzioni federali ha lasciato la porta aperta a Trump per riavviarle.
I funzionari di Trump hanno sostenuto che l'esecuzione delle condanne capitali era una questione di rispetto della legge statunitense e di portare giustizia a lungo ritardata ai parenti delle vittime.
Per quanto riguarda la “revisione dei protocolli di esecuzioni, il Dipartimento di Giustizia non ha fornito dettagli, obiettivi finali o scadenze. Alla domanda sulla durata della moratoria, il portavoce del Dipartimento Joshua Stueve ha dichiarato in una e-mail solo che la revisione è in corso.
Garland ha affermato che la revisione esaminerà i protocolli messi in atto dal procuratore generale di Trump, William Barr. Gli avvocati dei detenuti nel braccio della morte hanno criticato i protocolli, affermando che consentivano esecuzioni affrettate.
Ciò che la revisione non comporta è valutare se la pena di morte federale debba essere eliminata del tutto.
A settembre, il Dipartimento di Giustizia ha emesso un avviso pubblico chiedendo commenti sulle modifiche ai protocolli Trump, incluso uno che consente metodi di esecuzione diversi dall'iniezione letale, compresa la fucilazione.
I protocolli “dell'era Trump” non sono stati annullati. Ovviamente non hanno alcuna funzione pratica fintanto che la moratoria rimane in vigore.
In una recente lettera, la deputata democratica al Congresso Ayanna Pressley e il senatore Dick Durbin hanno esortato il Dipartimento di Giustizia ad annullare rapidamente tutti i protocolli Trump, incluso quello che autorizza l'uso di strutture e personale statali nelle esecuzioni federali, definendo gli ordini "irreparabilmente contaminati".
Un altro autorizza l'uso di un singolo farmaco, il pentobarbital, per sostituire un cocktail di tre farmaci distribuito negli anni 2000, l'ultima volta che sono state eseguite esecuzioni federali prima di Trump.
Era necessario un sostituto dopo che le compagnie farmaceutiche hanno reso indisponibili i loro prodotti per le esecuzioni, dicendo che dovevano salvare vite umane, non toglierle. Il Dipartimento di Giustizia di Barr ha scelto il pentobarbital nonostante esistano diverse evidenze che il pentobarbital provoca edema polmonare, una sensazione dolorosa simile all'annegamento quando il liquido si riversa nei polmoni.
La maggior parte dei critici della pena di morte ha risposto alla moratoria e alla revisione con, nella migliore delle ipotesi, un debole elogio, definendolo un primo passo.
Dunham ha anche notato che l'attenzione ai protocolli ha un impatto limitato, anche perché qualsiasi modifica può essere facilmente annullata da una futura amministrazione.
Allo stato attuale, ha detto, "le riforme Biden non valgono molto di più della carta su cui sono scritte".
Gli avversari della pena di morte sostengono che Biden dovrebbe utilizzare i suoi poteri presidenziali per commutare tutte le condanne a morte federali in ergastolo, il che impedirebbe il ripristino di tali condanne a morte.
C'è anche un disegno di legge che, con la consueta procedura parlamentare, abolirebbe la pena di morte federale e contestualmente commuterebbe in ergastolo le condanne a morte dei 45 uomini (nessuna donna) attualmente nel braccio della morte federale.
Biden non ha dato alcuna indicazione di sostenere tali misure.
La questione è delicata per Biden. Nel 1994, l'allora sen. Biden è stato promotore di una legge, approvata, che ha aggiunto 60 fattispecie di reato a quelle per le quali può essere chiesta la pena di morte. Alcuni detenuti giustiziati sotto Trump sono stati condannati in base a tali disposizioni.
Eliminare la pena capitale federale significherebbe risparmiare la vita ad assassini come Dylann Roof, il suprematista bianco che nel 2015 uccise nove membri neri di una chiesa della Carolina del Sud durante uno studio biblico. Una misura del genere potrebbe sicuramente essere politicamente scomoda.
La pena capitale è stata una questione politicamente scottante in passato, ma lo è meno ora dopo che il sostegno alla pena capitale è diminuito negli ultimi decenni. Negli ultimi anni i sondaggi hanno registrato con una certa regolarità una sostanziale parità tra favorevoli e contrari alla pena di morte.
(Fonte: Associated Press, 18/01/2023)

BANGLADESH: PRIGIONIERO IMPICCATO IN CARCERE A KASHIMPUR
Un detenuto è stato impiccato la sera del 22 gennaio 2023 nel Carcere Centrale di Alta Sicurezza di Kashimpur, nel distretto di Gazipur in Bangladesh.
Shukkur, 39 anni, figlio di Khaer Uddin del villaggio di Lalongar, nel distretto di polizia di Doulatpur, presso Kushtia, era stato condannato a morte in un caso di stupro e omicidio.
Il detenuto è stato impiccato alle 22:01 del 22 gennaio, ha confermato il Sovrintendente della prigione Subrata Kumar Bala.
Il caso era stato registrato presso la stazione di polizia di Doulatpur, ai sensi della Legge sulla Prevenzione e Repressione dei crimini contro donne e bambini, ha dichiarato l'autorità carceraria.
(Fonti: New Desk, 23/01/2023)

Commenti

Post più popolari