Nessuno tocchi Caino - CHISSA’ SE DONALD RIPENSERA’ ALLA STORIA DEI “CENTRAL PARK 5”

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 14 - 08-04-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : CHISSA’ SE DONALD RIPENSERA’ ALLA STORIA DEI “CENTRAL PARK 5” …
2.  NEWS FLASH: ERGASTOLO OSTATIVO, LA CEDU CI GUARDA ANCORA
3.  NEWS FLASH: SCARCERATO DI CALOGERO, DIVENUTO CIECO IN CARCERE
4.  NEWS FLASH: CARCERE: NESSUNO TOCCHI CAINO, BERSAGLIO DI REPORT (RAI 3) TRAMITE MAMBRO E FIORAVANTI SONO LE ALTE CORTI DI GIUSTIZIA
5.  NEWS FLASH: YEMEN: GRAZIATO DAL PADRE DELLA VITTIMA POCO PRIMA DELL’ESECUZIONE
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


CHISSA’ SE DONALD RIPENSERA’ ALLA STORIA DEI “CENTRAL PARK 5” …
Valerio Fioravanti su Il Riformista del 7 aprile 2023

Ho sempre avuto un pregiudizio su Donald Trump, perché conosco da tempo la storia dei “Central Park 5”. Ora ve la racconto.
Il 19 aprile 1989 Trisha Meili, 28 anni, bianca, venne stuprata mentre faceva jogging a Central Park. Vennero fermati molti giovani, tra cui Kevin Richardson, Raymond Santana, Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise. Avevano tra i 14 e i 16 anni, erano 4 afroamericani e un ispanico. Interrogati separatamente, senza avvocati, i 5 adolescenti, con quel meccanismo che ormai conosciamo bene dai telefilm, ritennero che sarebbero stati lasciati in pace se avessero ammesso qualcosa. Si accusarono l’un l’altro, ma di sé ognuno disse di aver avuto solo un ruolo minore, tipo “tenere la vittima” o “controllare che non arrivasse nessuno”, e nessuno venne indicato come stupratore. E in effetti nessuno dei loro Dna corrispondeva al liquido seminale trovato sulla vittima. Pochi giorni dopo, il 1° maggio 1989, Donald Trump, allora solo un uomo d’affari, acquistò una pagina sui quattro principali giornali di New York, compreso il New York Times, chiedendo di ripristinare la pena di
 morte e dare più potere alla polizia.
Tra le altre cose l’annuncio diceva: “Il sindaco Koch afferma che dovremmo rimuovere l’odio e il rancore dai nostri cuori. Non la penso così. Voglio odiare questi rapinatori e assassini. Dovrebbero essere costretti a soffrire... Sì, Sindaco Koch, voglio odiare questi assassini e lo farò sempre...”.
Considerato che la vittima non era morta i pubblici ministeri non ci pensarono proprio alla pena di morte, avevano altro da organizzare. Per evitare che una giuria potesse notare l’illogicità di 5 semi-confessioni in cui mancava un colpevole “centrale”, il caso venne diviso in due distinti processi e così, nonostante non potessero fare affidamento su nessuna prova fattuale, i procuratori ottennero la condanna gli imputati: 10 anni per i più giovani, 15 anni per Wise, che aveva 16 anni e fu considerato “adulto”.
I ragazzini in carcere si comportano bene, e ottennero la libertà condizionale dopo aver scontato chi 6, chi 7, chi 8 anni.
Solo “l’adulto” Wise era ancora dentro 12 anni dopo, nel 2002, quando un giovane portoricano, Matias Reyes, condannato all’ergastolo per 5 stupri e l’omicidio di una donna incinta, confessò anche l’aggressione di Central Park.
Il Dna corrispondeva, e Reyes specificò di aver agito da solo. Il nuovo procuratore di New York, imbarazzato, ritirò le accuse contro i “5 di Central Park”.
Subito dopo molte persone andarono a manifestare sotto la residenza di Trump, la “Trump Tower”, sulla famosa Fifth Avenue.
Uno degli avvocati degli ex minorenni chiese che Trump si scusasse con i ragazzi. Trump, ormai lo conosciamo, non si scusò, e anzi disse “Non mi importa se fanno i picchetti. Mi piacciono i picchetti.”
Il 19 dicembre 2002 un giudice li dichiarò formalmente “innocenti”.
I ragazzi chiesero un risarcimento, che per 10 anni fu loro negato sulla base che l’errore giudiziario era stato causato anche dalle loro confessioni, e quindi ne erano corresponsabili.
Un accordo, per 41 milioni di dollari, fu raggiunto solo nel 2014, dopo una presa di posizione di un nuovo sindaco, Bill de Blasio (di origini italiane).
A commento, Trump scrisse ai giornali, insistendo che il risarcimento era una sventura, che i tipi non erano affatto innocenti.
Yusef Salaam, di Harlem, aveva 15 anni quando era stato arrestato nel 1989. Ora è sposato, e ha un figlio e una figlia. È diventato un attivista e “oratore ispirazionale”. Parla contro l’eccessivo uso della carcerazione negli Stati Uniti, e la brutalità della polizia. Ha ottenuto che oggi tutti gli interrogatori di polizia a New York vengano registrati sin dal primo momento e, comprensibilmente, è contrario alla pena capitale. Nei suoi discorsi e libri invita a “ripristinare l’umanità di coloro che sono incarcerati e di coloro che sono calpestati dal sistema giudiziario”. La sua storia è stata raccontata in servizi e documentari, compresa la serie di Netflix “When They See Us”, prodotta da Oprah Winfrey e Robert Duvall. Ha ricevuto un Lifetime Achievement Award da Obama nel 2016, ed è un dirigente dell’Innocence Project, una importante associazione no profit per i diritti dei detenuti.
Sollecitato a commentare la recente incriminazione di Trump, così ha risposto: “Volete una mia dichiarazione su Donald Trump, che non ha mai chiesto scusa per aver chiesto la mia esecuzione? Eccola: Karma”. Accanto a lui il Reverendo Al Sharpton ha aggiunto: “Tutto quello che posso dire è che quello che va, torna”.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

ERGASTOLO OSTATIVO, LA CEDU CI GUARDA ANCORA
Antonella Mascia* su Il Riformista del 7 aprile 2023

Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno forza vincolante e gli Stati aderenti alla Convenzione, tra cui Italia, si sono impegnati a conformarsi alle sue pronunce. La fase esecutiva diventa dunque decisiva in quanto lo Stato convenuto è sollecitato, sotto il controllo e la sorveglianza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, a rimediare alle violazioni accertate nei suoi confronti e ad adottare misure individuali, in grado di assicurare che la violazione rilevata cessi nei confronti della parte lesa, in modo che questa sia posta nella misura del possibile in una situazione antecedente alla violazione, ovvero misure generali, in grado di prevenire nuove violazioni simili a quelle constatate ovvero di porre termine a violazioni continue.
Nella sentenza Marcello Viola c. Italia del 13 giugno 2019, divenuta definitiva il 7 ottobre 2019, la Corte europea, nell’accertare che la pena dell’ergastolo “ostativo” vìola l’articolo 3 della Convenzione, ha evidenziato che nell’ordinamento interno sussiste un problema strutturale e di conseguenza ha chiamato lo Stato italiano ad adottare delle misure idonee al suo superamento.
A quattro anni dalla sentenza “Viola”, l’auspicato intervento legislativo per il superamento strutturale dell’impossibilità per le persone condannate all’ergastolo “ostativo” di accedere a benefici penitenziari e misure alternative e in particolare alla liberazione condizionale sollecitato dal Comitato dei Ministri si è finalmente concretizzato nella legge n. 199 del 30 dicembre 2022 che ha modificato il regime previsto dall’articolo 4bis O.P., trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità ostativa a qualsivoglia concessione.
Le condizioni stringenti e concomitanti ora richieste per determinare la mancanza di attualità dei collegamenti con la criminalità ovvero il pericolo di un loro ripristino sembrano tuttavia favorire maggiormente le esigenze social-preventive rispetto al criterio della rieducazione del reo indicato dalla Corte di Strasburgo e peraltro da sempre sancito dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione.
In particolare, riguardo alle misure generali, il Comitato dei Ministri ha evidenziato che la riforma legislativa ha introdotto la possibilità per i detenuti che non collaborano utilmente con la giustizia di presentare l’istanza di liberazione condizionale, conformemente alle indicazioni della Corte.
Ha inoltre sottolineato l’importanza di un suo controllo affinché il sistema messo in atto sia pratico ed effettivo e permetta una reale valutazione dei progressi dei detenuti in materia di riabilitazione e di ragionevoli prospettive di soddisfare le severe condizioni ora richieste. In altri termini, il Comitato dei Ministri si è riservato di valutare se quelle condizioni stringenti e concomitanti previste dal legislatore, nella loro applicazione, permettano in concreto una reale valutazione del percorso di cambiamento intrapreso dalle persone condannate all’ergastolo “ostativo” non collaboranti con la giustizia. Di conseguenza, il Comitato dei Ministri ha invitato le autorità italiane a fornire informazioni sul funzionamento pratico del meccanismo di valutazione e, in particolare, di sottoporre alla sua attenzione, entro il 30 settembre 2023, una giurisprudenza rilevante e specifica in modo da fugare le perplessità sollevate nel corso della fase esecutiva dalla società civile.
Fino a oggi nel corso dell’esecuzione della sentenza “Viola” solo l’associazione Nessuno tocchi Caino è intervenuta, sempre e tempestivamente, con aggiornamenti scientifici.
Infine, il Comitato dei Ministri ha espresso fiducia nel fatto che le nuove disposizioni legislative possano essere applicate e interpretate dalle giurisdizioni nazionali conformemente ai requisiti della Convenzione e alla giurisprudenza rilevante della Corte europea.
Ora le voci del mondo civile, gli studiosi, i giuristi e le associazioni che credono che la funzione centrale della pena sia la risocializzazione e che essa debba essere riconosciuta a livello normativo e poi attuata nella fase concreta di esecuzione, sono spronate a intervenire a livello internazionale come parti terze per dare il loro tempestivo e fondamentale contributo scientifico. Sarà di fondamentale importanza poter fornire e ragionare sulla giurisprudenza elaborata in tema di concessione o di diniego dei benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione.
* Avvocato, Direttivo di Nessuno tocchi Caino

SCARCERATO DI CALOGERO, DIVENUTO CIECO IN CARCERE
Angela Stella

Ricordate la storia di Salvatore Giuseppe Di Calogero, classe 1975, condannato in via definitiva a 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa, divenuto totalmente cieco in carcere ma costretto tuttavia a rimanervi anche se gli mancano meno di quattro anni al fine pena? Ci sono novità positive, per quanto possibili in questa situazione: un magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta ha accolto la richiesta dei legali Eliana Zecca e Michele De Stefani per il differimento pena ai domiciliari.
Potrà stare con la moglie e il figlio e spostarsi limitatamente nelle strutture sanitarie per ricevere le cure e fare riabilitazione.
Il 3 aprile una nota della Direzione del carcere aveva chiarito che “per le sue condizioni non è compatibile con il regime detentivo in quanto non vi sono strutture adeguate per tale patologia”. Inoltre nella relazione dell’Unione Ciechi si leggeva chiaramente che “il Sig. Di Calogero ha estrema e urgente esigenza di proseguire il percorso riabilitativo e psicologico con continuità e costanza, pena la degenerazione in modo irreversibile della condizione fisica e psicologica dello stesso”.
Commentano i legali: “Si rappresenta, il ruolo fondamentale del Garante della Regione Sicilia per i rapporti tra la difesa e la struttura penitenziaria, nel sollecitare le richieste di informazioni. Questa triste storia, in tempo di riforme, deve solo far riflettere su un aspetto fondamentale: in caso di evidenti incompatibilità con il carcere e, quindi, di differimenti pena obbligatori ex art. 146 c.p. la procura dovrebbe poter sospendere l'ordine di esecuzione in attesa della decisione della competente magistratura di sorveglianza, anche in ipotesi di condanne ostative ex art. 4 bis O.P. Ciò appare doveroso in uno Stato di Diritto fondato su un principio di umanizzazione della pena, la quale, si ricorda, non può, nemmeno per un giorno, consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato”.

CARCERE: NESSUNO TOCCHI CAINO, BERSAGLIO DI REPORT (RAI 3) TRAMITE MAMBRO E FIORAVANTI SONO LE ALTE CORTI DI GIUSTIZIA
Roma, 5 aprile 2023

Sulla trasmissione Report di Rai 3 di lunedì scorso dedicata alla questione dell’ergastolo ostativo e del 41bis, il Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, ha così commentato in un posto pubblicato sulla sua pagina Facebook:

“Quando Francesca e Valerio sono usciti da Rebibbia non c’erano i “poteri forti” ad attenderli, c’erano i senza potere, gli inermi, i radicali nonviolenti, pannelliani di Nessuno tocchi Caino. Fermi nella convinzione della loro diversità dai tempi del delitto e anche della loro estraneità al più orribile dei delitti. Forti della supremazia dei valori costituzionali e universali sui sentimenti popolari di vendetta. Osservanti del diritto-dovere di accoglienza degli ultimi tra gli ultimi: i carcerati.
A ben vedere, la trasmissione infamante della tv di stato - tramite le persone di Francesca, Valerio e Marcello (parlo solo di quelli che conosco) - ha voluto colpire quello che essi, nella loro seconda vita, hanno incarnato: la semplice verità che l’uomo della pena può essere diverso da quello del delitto e il diritto umano alla speranza che non po' essere negato a nessuno.
In realtà, non sono loro, sono le più alte corti di giustizia, di Strasburgo, costituzionali, di cassazione, a essere imputate di mafiosità, terrorismo, criminalità, le loro sentenze ispirate e votate alla difesa dei diritti umani fondamentali a essere condannate a morte.
Caino non abita da noi, ha occupato la mente, l’animo, il verbo di chi, nel nome di Abele, è diventato Caino. Nel suo pubblico servizio, Report non dispensa verità e conoscenza, pensa solo a male, nutre solo cattivi sentimenti, compie atti malvagi. Come le Erinni, le mostruose figure della notte, anima un potere sotterraneo e oscuro, trama sospetti, sibila maldicenze, semina odio. Con ciò causando danni individuali e sociali incalcolabili. Ma il nostro “Nessuno tocchi Caino” vale anche per loro, per le Erinni della tv di Stato. Perché a tutti, anche a loro, vogliamo che succeda ciò per cui noi lottiamo: la conversione del potere allo Stato di Diritto, a un ordine fondato sul dialogo e la nonviolenza, a una vita fondata sull’amore, a una giustizia temperata dalla grazia.”
(Fonte: Nessuno tocchi Caino)

YEMEN: GRAZIATO DAL PADRE DELLA VITTIMA POCO PRIMA DELL’ESECUZIONE
Il capo di una tribù yemenita nel governatorato di Ma'rib il 20 febbraio 2023 ha perdonato l'assassino di suo figlio, pochi istanti prima della sua esecuzione, hanno riferito i media locali.
Lo sceicco Abdullah Al Qahati, il padre della vittima, Saddam, era presente nell'edificio del tribunale di Ma'rib per assistere all'esecuzione di Rabih Al Damasi, che era stato condannato per aver ucciso intenzionalmente Saddam alcuni anni fa.
Tuttavia, "per amore di Dio Onnipotente", lo sceicco Al Qahati ha deciso di rinunciare al suo diritto di vedere eseguita la condanna a morte come punizione per l'omicidio di suo figlio.
La decisione è stata presa alla presenza di numerosi sceicchi e notabili della comunità, tutti commossi dall'atto di perdono dello sceicco.
Secondo i testimoni, il padre della vittima aveva già in precedenza perdonato l'omicida di un altro suo figlio, diversi anni fa.
Quest’ultimi atto di misericordia e perdono ha attirato l'attenzione degli attivisti yemeniti sui social media, che hanno elogiato la straordinaria dimostrazione di compassione di Sheikh Al Qahati.
La madre dell’omicida si era accampata nel cimitero dove è sepolto Saddam, chiedendo il perdono.
L’accorata domanda di grazia della madre ha raggiunto lo sceicco Al Qahati, che ha così scelto di mettere da parte il suo desiderio di vendetta.
(Fonte: Gulf News, 21/02/2023)

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