due righe intorno a "Il crinale" di Michael Punke (Einaudi, traduzione di Gaspare Bona)

 


Sin da piccolo ho amato il mondo dei Nativi Americani, il mito del Far West, il cinema/i fumetti/i romanzi/i saggi western. Per anni a Carnevale mi hanno da Capo Indiano e tanto ero pallido, emaciato e timido che tutti mi prendevano in giro. Proprio come un qualunque Nativo Americano chiamato selvaggio, straccione, ubriacone. Io con la mia ascia di gomma portato a forza a una cazzo di festa o sfilata di carri a fingere che mi piacesse stare in quel mondo del cazzo quando invece avrei solo scappare a casa a piangere. 

Ho sempre odiato il Carnevale ma il mio amore per i Nativi e tutto il mondo western non è mai tramontato. I miei genitori mi regalarono i saggi Rusconi e Mursia come questo sotto:


 

che amai alla follia e ancora oggi a ripensarci mi commuovo perchè questi libri mi arrivavano per i compleanni, a Natale, a sorpresa dopo un pomeriggio da incubo dal dentista a Milano, in quella Libreria del Corso dove mia madre mi regalò IT. 

Mi innamorai di Cavallo Pazzo leggendo questa biografia di Mari Sandoz e mi sentii vicino a lui e ancora oggi è una mia fonte di ispirazione:

A questo punto uno sarebbe convinto che io sia corso in libreria ad acquistare il romanzo storico di Michael Punke "Il crinale" (Einaudi, traduzione di Gaspare Bona) visto che è un romanzo western e che uno dei protagonisti è proprio Cavallo Pazzo e invece no: non sono un grande amante dei romanzi storici, l'altro romanzo di Punke "Revenant. La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta" da cui è stato il film con DiCaprio non mi aveva particolarmente convinto e inoltre avevo letto una recensione di Giuseppe Culicchia dove si faceva riferimento a uno spettro di politicamente corretto che gravava sulla narrazione.

Alla fine ho ceduto e l'ho letto in un pomeriggio e tutti i miei dubbi pregressi sono rimasti: come romanzo storico niente da dire, la ricostruzione della battaglia avvenuta nel 1866 dove in un'imboscata magistrale (figlia anche delle scelte idiote dell'arroganza degli ufficiali statunitensi) dell'alleanza fra Sioux, Cheyenne e Arapaho persero la vita 81 soldati e niente da dire nemmeno su come restituisce al lettore la fine del mondo dei nativi sotto i colpi del "destino manifesto" e anche la battaglia finale è descritta con una certa crudezza e vividezza (anche se molto "ripulita") ma è tutta la parte narrativa che  ho invece trovato scolastica, senza mordente e decisamente troppo al passo con questi tempi dove gli autori si sentono in dovere o nella ragione di inserire categorie protette, narrazioni giuste per non essere accusati di chissà quale reato ed ecco allora la moglie che scrive un diario femminista, il trombettiere di colore e tutti i Nativi che sembrano degli angeli, tutti buoni, belli, spirituali, inattaccabili, con ovviamente il mistico che non è uomo e nemmeno donna e che per questo riesce a vedere il futuro.

Alla fine tutto mi è sembrato un prodotto perfetto hollywoodiano di questi ultimi anni, coi personaggi che sembrano macchiette, belli composti, delle statuine pronte a ricevere qualche bella faccia da attore.

Non c'è profondità, non c'è il sangue che ti sale in bocca, non c'è il dolore che ti strazia e ti devasta.

Scritto bene come ormai sembra che si debba scrivere, toccante anche in alcune parti (ovvio, come fai a non commuoverti per la fine di un mondo ancestrale) ma sostanzialmente piatto e dimenticabile.

E uno come Cavallo Pazzo e il suo popolo e tutti quei soldati morti non si meritavano certo un polpettone come questo.

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