libri, poesia, morte
Romanzi e poesia e mentre e intanto sto leggendo il gran bel romanzo di Archetti mi ha fatto pensare a come ogni volta che parlo con mia sorella di questioni "serie" finiamo sempre per litigare e quando parliamo di questioni "leggere" mi dà del coglione senza cervello. A come in fin dei conti sono l'indesirato. E invecchiando la distanza sta aumentando. Mi chiedo cosa pensi veramente di me. E cosa pensi suo marito di me. Ma soprattutto mi chiedo cosa accadrà quando mio padre avrà bisogno d'aiuto. In fin dei conti sono arrivato a temere il giorno che la vedo. Vivo con ansia quel momento. E la situazione è anche quella di partire sempre con un certo grado di inferiorità per il lavoro che faccio, la vita che ho vissuto e vivo. Giudicato sempre con un po' di sufficienza o al contrario considerato uno che avrebbe dovuto fare molto meglio e quindi uno che ha rinunciato, che non ha studiato, non si è laureato. E io la guardo mentre mi parla e sono da un'altra parte. Due galassie lontane. E ascolto, ascolto perchè lei parla sempre tantissimo. Quando ci ritroviamo per un pranzo di famiglia io mi siedo sempre alla stessa sedia che era quella di mia madre. Mi permette di guardare fuori. Verso gli alberi. Di andarmene via. Non sempre ce la faccio. E allora mi concentro su ciò che sta accadendo a tavola e perdo la voglia di vivere, parlare e vorrei solo morire. Stanco di accettare tutti i giudizi espressi, i codici da rispettare, i pensieri giusti. E invecchiando ho capito perchè mia madre preferisse rifugiarsi in cucina a prepare i piatti ogni volta che c'era un pranzo allargato.
Mi mancano i suoi occhi.
Mi mancano le estati con mia madre Adriana.
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