Nessuno tocchi Caino - IL REGIME DEI MULLAH CHE SI NUTRE DI CORPI UMANI

Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 21 - 25-05-2024

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IL REGIME DEI MULLAH CHE SI NUTRE DI CORPI UMANI
2.  NEWS FLASH: QUELLA SMANIA DI PUNIRE CHE PORTA AI GULAG
3.  NEWS FLASH: ‘LEGGE E ORDINE’ NELLE CARCERI: SORVEGLIARE E PUNIRE
4.  NEWS FLASH: NAPOLI: 28 MAGGIO 'LA COSTITUZIONE, LA CONDIZIONE CARCERARIA E LA DESERTIFICAZIONE AFFETTIVA'
5.  NEWS FLASH: BAHRAIN: IL RE GRAZIA PIÙ DI 1.500 DETENUTI
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DONA IL 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


IL REGIME DEI MULLAH CHE SI NUTRE DI CORPI UMANI
Elisabetta Zamparutti

Efferato. Parola che ci trasporta dall’umano al bestiale.
Aggettivo a cui solitamente ricorriamo per definire l’azione piuttosto che chi la compie. Parliamo di delitto efferato, di omicidio efferato. Eppure l’atto feroce, che allontana dall’umana comprensione, riguarda chi lo subisce come anche chi lo compie. Efferato è allora il regime iraniano. Nell’elenco dei paesi membri dell’ONU risponde al nome di “Repubblica Islamica dell’Iran”. Preferisco chiamarlo teocrazia misogina che come una belva feroce con indomita violenza si nutre di corpi umani e di questa ferocia campa.
In meno di un mese, il regime dei Mullah si è preso anche il corpo di donne e minori, giustiziandoli in varie parti del Paese.
Lo scorso 18 maggio, Parvin Moussavi, di 53 anni, malata di cancro, dopo quattro anni di detenzione, è stata impiccata nel carcere di Urmia, nel nord-ovest dell’Iran.
Quando le guardie sono andate a prenderla per portarla al patibolo le detenute che stavano con lei hanno protestato, subendo la spietatezza di quei carcerieri entrati poi nel reparto femminile per pestarle. È stata giustiziata, insieme a cinque uomini, per reati legati alla droga.
A distanza di poche ore, Fatemeh Abdullahi, di 27 anni, è stata impiccata a Nishapur nella parte orientale dell’Iran con l’accusa di aver ucciso il marito che era anche suo cugino ed abusava di lei.
Pochi giorni prima, il 15 maggio, una donna di 33 anni, identificata solo con il nome, Razieh, è stata giustiziata nel carcere di Mashhad, città santa degli Sciiti, nel nord-est dell’Iran. Nel corso di una vita fatta di stenti, due matrimoni alle spalle, avrebbe soffocato i suoi due figli, di quattro e otto anni, nel 2016. Non riusciva a sfamarli. Si era poi tagliata le vene. La sorella l’aveva salvata. Alla fine è arrivato il regime misogino a regolare i conti e a prendersi quella vita che forse lei stessa non voleva più.
Questo allontanamento da ogni possibile forma di compassione è andato accelerando quest’anno dalla fine del Ramadan e l’inizio del Nuovo Anno persiano in aprile.
Il regime ha così continuato a saziarsi oltre che dei dolci corpi delle donne, di quelli teneri dei minorenni. Così, mentre impiccavano Parvin Moussavi a Urmia, non molto lontano, nel carcere di Miandoab, legavano il cappio intorno al collo di Ramin Saadat, un curdo di 20 anni, arrestato quando ne aveva 17 con l’accusa di omicidio premeditato.
Il monitoraggio quotidiano di Nessuno tocchi Caino ha documentato 254 esecuzioni dall’inizio dell’anno. Le donne impiccate sono state 11, molte delle quali sono state vittime di abusi o di matrimoni forzati. I minorenni impiccati quest’anno sono stati almeno 2. Nel solo mese di maggio le esecuzioni sono state 61, quelle di donne 4, quelle di minori una.
Eppure, maggio è da sempre considerato il mese dell’anno legato alla fioritura. Chi pensa a maggio, pensa alla rosa, che di questo mese è simbolo, fiore da sempre associato al femminile e di tutti i fiori la regina.
Parlando con gli amici della resistenza iraniana che di una donna bella e coraggiosa, Maryam Rajavi, hanno fatto la loro leader, ho saputo che a questo fiore è legata una simbologia anche del mondo persiano. Un mondo in cui maggio, considerato il secondo mese di primavera in Iran, è chiamato con una parola, “ordibehesht”, che in Farsi significa addirittura “Paradiso” tanto è bello.
Tra le più importanti opere poetiche persiane c’è poi “Il roseto”. L’ha scritta Sa’di, mistico musulmano e maestro del sufismo che con sguardo indulgente verso l’umanità considera il giardino delle rose come il luogo dove si raggiunge il grado più alto della contemplazione. Per tutti noi allora, italiani o iraniani che siamo, maggio è il mese della rinascita e dell’amore. Amore, che mi piace pensare derivi dal latino “a-mors”, alfa privativo e “mors” morte e che quindi letteralmente significhi “senza morte”. A-mors come inno alla vita. Parola positiva e dunque violentata anch’essa dai Mullah del regime teocratico e misogino iraniano, tanto lontani dal senso di umanità quanto dalla stessa cultura e tradizione del
loro Paese. A questa parola i Mullah, nel loro inferno, hanno voluto infatti tagliare la testa, facendo cadere quella “a” iniziale, per lasciare che ci sia intorno a loro solo “mors”, morte.
È nostra responsabilità non tollerare, non subire passivamente tutto ciò. È nostra responsabilità indignarci. È nostra responsabilità esigere la vita, la bellezza, la grazia, la felicità e il profumo delle rose del mese di maggio.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

QUELLA SMANIA DI PUNIRE CHE PORTA AI GULAG
Diego Mazzola

Prendendo per sacra l’affermazione della responsabilità penale personale, si è permesso che un numero impressionante di cittadini venisse lasciato “sopravvivere”, quando ci è riuscito, alle vie nazionali al gulag, deprivandolo della dovuta partecipazione alla vita civile, al processo democratico e liberale della riconciliazione e del reinserimento.
Sappiamo che non poche, ormai, sono le associazioni che si occupano di carceri e di come “uscire” dalla società carceraria, la quale è comunque un aspetto dell’illusione totalitaria, sempre pronta a svuotare dei suoi contenuti la Carta Internazionale dei Diritti Umani. Penso che sia giunto il momento di contattarle per organizzare una fase di riflessione per marciare uniti.
La collaborazione di coloro che oggi sono detenuti è indispensabile, soprattutto per introdurre il lavoro, perché necessaria a quella presa di coscienza e nella costruzione di una Legge che, mai come in questa fase, ha dimostrato tutto il suo fallimento.
L’abbattimento al suolo degli attuali Istituti Penitenziari può dare il via alla costruzione di luoghi in cui, per tempi strettamente necessari, riscoprire il senso di responsabilità e della dignità personale e, quindi, consentire l’abolizione dell’istituto che più di ogni altro le delegittima, ovvero il carcere, per come è e per come non può non essere. Del resto è ormai noto che si è compresa la mancanza di senso e la immoralità della punizione e che oggi possiamo fare qualche passo avanti, non nella direzione di “pene alternative” ma in quella dell’alternativa al Sistema Penale volta a introdurre mattoni di nonviolenza nella costruzione del Patto Sociale.
E quando viene dato l’ergastolo a una povera donna, responsabile della morte di una figlia nei modi e nei tempi di cui si è saputo, non ci resta che stupire del non avvenuto riconoscimento delle condizioni mentali in cui il fatto è avvenuto. Si tratta della cieca e atavica passione di punire, che ha chiaramente coinvolto quel tribunale, e che non ha fatto i conti né con la medicina né con i progressi compiuti nel Diritto dalle moderne neuroscienze.
Ad aver formalmente abolito l’ergastolo sono in pochi in Europa. Ci sono Paesi come la Norvegia, la Croazia, la Serbia, la Bosnia, il Portogallo. C’è anche la Città del Vaticano, dove già dal 2013 è consentita la detenzione fino a un massimo di 35 anni, in linea con la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 9 luglio 2013. Del criterio in base al quale si è “pensato” quel massimo di 35 anni non mi è dato sapere. Ma di quella “logica” parlò nientemeno Louk Hulsman, dicendo che gli era parsa molto simile a quella che determinava gli antichi romani nel “predire il futuro” interpretando il volo degli uccelli o indagando nelle viscere dei polli.
Anche nella CEDU si può fare di meglio. Oggi si viene a sapere anche di Angela Davis e di Ruth Gilmore, e della loro opera volta a contrastare legalmente la costruzione di nuove carceri negli USA e dell’impegno dell’International Conference on Penal Abolition e di ciò che si è fatto in Portogallo e nella vicina Svizzera, dove si sta andando verso la progressiva riduzione del sistema penale.
Per quanto riguarda l’Italia, come sappiamo, nonostante le condanne da parte della CEDU e le recenti sentenze costituzionali, abbiamo l’ergastolo di fatto “ostativo”, il “fine pena mai” e un dibattito sulla “certezza delle pene” che non ha mai fine. I nostri “legislatori”, continuano a preferire la punizione alla prevenzione e al reinserimento.
A fronte di questa smania di punire, serve richiamare gli insegnamenti di Louk Hulsman, autore di “Pene perdute”, secondo il quale l’opzione reato non è mai proficua, di Nils Christie, che ripete che “il crimine non esiste”, di Michel Foucault, per il quale “il crimine non è altro che la malattia”, di Thomas Mathiesen che ha trascorso molti anni della sua vita a ripetere che “la ‘prigionizzazione’ è l’opposto stesso della riabilitazione, ed è l’ostacolo maggiore sulla strada del reinserimento”, di Filippo Turati che, non oggi ma agli inizi del secolo scorso, vedeva nelle carceri il “cimitero dei vivi”, di Altiero Spinelli che nel
1949 pensava “che non c’è che una riforma carceraria da effettuare: l’abolizione del carcere penale”.
Esiste una grande storia dell’Abolizionismo nostrano e internazionale. In molti Paesi, con la somministrazione gratuita e sotto rigido controllo medico di cocaina ed eroina e con una ricercata offerta di lavoro a quelli che nel nostro Paese continuano a essere chiamati “tossicodipendenti”, hanno cominciato col chiudere alcuni istituti penitenziari. Eppoi: di che cosa si tratta quando si sente parlare di “rieducazione del condannato”. Forse potremmo cominciare a comprendere che con l’art. 27 della nostra costituzione si è permessa l’introduzione della violenza nell’Ordinamento, come un cavallo di Troia: quello del codice Rocco o quello del codice Stalin, fate voi.
Per saperne di piu' :

‘LEGGE E ORDINE’ NELLE CARCERI: SORVEGLIARE E PUNIRE
Sergio D’Elia

Ci sono delle scene iconiche nella storia radicale di lotte nonviolente. Le più note sono quelle degli scioperi della fame e della sete, quelle delle disobbedienze civili e delle obiezioni di coscienza. Meno note sono quelle di resistenza passiva alle forze dell’ordine, nei sit-in, nei cortei e nelle manifestazioni di piazza. Ce n’è una di Marco Pannella steso per terra a Roma in mezzo a via della Conciliazione col cartello e la scritta “beato chi ha fame e sete di giustizia”. Un’altra lo mostra steso per terra col cartello al collo con su scritto “di naja si muore” e il capo incastrato tra la ruota e il parafango di un autobus che aveva bloccato al centro della carreggiata. Una volta, davanti al Parlamento europeo, vestito stile Al Capone, col doppiopetto gessato, la camicia bianca e la cravatta, Marco fu portato via dalla piazza come un peso morto da quattro poliziotti.
Marco Pannella non c’è più; come si suol dire: è venuto a mancare. Ma come pensava Aldo Capitini – contro il luogo comune che il morto è morto e non torna mai più – “i morti non ritorneranno perché non sono mai andati via”. Ricorrono quest’anno e in questi giorni gli anniversari di persone a noi care: il trentennale di Mariateresa Di Lascia, la fondatrice di Nessuno tocchi Caino, il trentaseiesimo di Enzo Tortora, il simbolo della lotta per la giustizia giusta, l’ottavo di Marco Pannella, l’uomo della speranza contro ogni speranza. Mariateresa, Enzo e Marco non se ne sono mai andati, sono qui, compresenti, nella ispirazione e nell’azione dei militanti radicali, nonviolenti, transnazionali e transpartici di Nessuno tocchi Caino.
La nostra Presidente, Rita Bernardini, in questi giorni è in giro per la Sicilia e la Sardegna a onorare il posto di capolista per “Stati Uniti d’Europa”. La sua campagna elettorale è scandita dai tempi e gli obiettivi di uno sciopero della fame che ha deciso di riprendere per cercare di portare un po’ di ristoro, di amore, di conoscenza in un luogo di questa povera Italia, che è di privazione non solo della libertà ma di tutto, della salute fisica e psichica e anche della vita. Anche Rita ha nella sua biografia immagini iconiche di lotte nonviolente. In una foto la vedi avvolta da una selva di piante di marijuana coltivata a domicilio. In un’altra la vedi distribuire il raccolto a fini terapeutici ai malati condannati dall’ipocrisia proibizionista a soffrire e morire senza il minimo sollievo. Ma la foto per me più bella la ritrae giovanissima radicale a Piazza San Pietro come Pinocchio tra due agenti di polizia che se la portano via, manifestante non autorizzata, re sistente passiva all’ordine costituito vaticano e italiano.
A proposito di “legge e ordine”, nonviolenza e resistenza passiva, alcuni giorni fa siamo stati auditi come Nessuno tocchi Caino dalle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati che sta esaminando l’ennesimo disegno di legge detto “sicurezza”. Ci sono cose buone e giuste come quelle in materia di lavoro in carcere. Ma poi c’è, immancabile, la batosta sanzionatoria a tutela dell’ordine e della sicurezza nelle carceri. In un istituto di per sè penitenziario si pensa che legge e ordine possano essere assicurati dalla minaccia di ulteriori pene e dalla esclusione dai benefici penitenziari.
C’è da tremare ogni qualvolta a un articolo del codice penale o penitenziario si aggiunge un articolo “bis”. L’Italia-culla-del-diritto ha già fatto le spese dei famigerati 416 bis, 41 bis, 4 bis. Ora, al reato di “Istigazione a disobbedire alle leggi” previsto dall’articolo 415 del codice del Ventennio, il parlamento della Repubblica aggrava: “la pena è aumentata se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute”. Dopo l’articolo “fascista” ecco subito quello “democratico” inventato dalla nuova legge: il 415-bis, che introduce il reato di “Rivolta all’interno di un istituto penitenziario”, che può essere consumato “mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti”. Resistenza anche passiva!
Il sovraffollamento sta sfiorando la soglia critica di dieci anni fa, quando con la sentenza Torreggiani l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per sistematici trattamenti contrari al senso di umanità nelle carceri. Le presenze di detenuti nei 189 istituti penitenziari hanno superato ormai la quota di 61.000 persone stipate in 47.500 posti disponibili. E ogni mese i detenuti aumentano di oltre 450 unità. Un trend che ci porterà a fine anno agli stessi livelli per i quali nel 2013 intervenne la giustizia europea. Un’altra condanna sarebbe un’onta per lo Stato italiano, un marchio indelebile, tal quale quello che di solito bolla il cittadino comune come recidivo, un delinquente abituale, professionale o per tendenza.
E’ impossibile, nelle condizioni di sovraffollamento attuali, rispettare l’articolo 27 della Costituzione italiana e l’articolo 3 della Convenzione europea, pianificare qualsiasi obiettivo di rieducazione e inserimento sociale. Il carcere è un ecosistema limitato, non può cresce all’infinito. Non è solo una questione di rispetto di diritti umani fondamentali, ma delle elementari leggi della fisica, del rispetto della capacità di carico di un sistema. Il suo contenuto umano, la dignità e il recupero delle persone, la loro vita e il loro reinserimento sociale, non interessano? Ma qui, oggi, è il contenitore stesso a non bastare più, perché ha superato la sua capacità di carico. Ci vorrebbero consistenti atti di clemenza come amnistia e indulto, riforme strutturali necessarie e urgenti per contenere il sovraffollamento nelle carceri e il sovraffollamento nei tribunali paralizzati da 5 milioni di processi penali pendenti. Il minimo sindacale dovrebbe essere aumentare i giorni di liberazione anticipata per buona condotta, come prevede la proposta di legge di Roberto Giachetti e di Nessuno tocchi Caino che avrebbe il doppio vantaggio di ridurre il sovraffollamento e di mantenere l’ordine pubblico interno nelle carceri.
Ma, invece di misure volte a ridurre il sovraffollamento e a incentivare e premiare i comportamenti virtuosi dei detenuti, il disegno di legge governativo prevede aumenti di pene e nuove fattispecie criminose. La soluzione offerta dal governo ai detenuti e ai detenenti è: “sorvegliare e punire”. Il messaggio è devastante: non vogliamo o non possiamo migliorare le condizioni di vita nelle carceri, allora, puniamo chi a queste condizioni di vita si ribella. E puniamo non solo i violenti, ma anche i disobbedienti e i resistenti passivi, non solo gli istigatori a delinquere, ma anche gli oppositori pacifici, gli obiettori di opinione e di coscienza.
Nella teoria e nella prassi della nonviolenza radicale, tra le le forme di non collaborazione col potere è contemplata anche la resistenza passiva, soprattutto quando il potere costituito non rispetta le sue stesse leggi costituzionali, quando il potere mostra la sua faccia feroce. E’ forza gentile e mite ma anche “intollerante” quella della nonviolenza. Come diceva Mariateresa Di Lascia, la nonviolenza non significa “tollĕre”, distogliere lo sguardo, voltarsi da un’altra parte, tollerare, sopportare cose, fatti, situazioni che sono intollerabili.
Il rifiuto del vitto dell’amministrazione, la battitura delle pentole sulle sbarre, il mancato rientro in cella dall’ora d’aria in segno di protesta per le condizioni inumani e degradanti del carcere, la promozione o partecipazione o semplice propaganda di queste forme di lotta, non sono molto diverse dagli scioperi della fame, dai sit-in o da altre manifestazioni storicamente proprie della prassi radicale, e anche sindacale. Avviso, quindi, ai legislatori: prima di votare questa legge, consultate gli archivi di Radio radicale, guardate le foto delle marce antimilitariste, ritornate sulle scene di lotta e resistenza nonviolenta. Pensate a Marco Pannella.

NAPOLI: 28 MAGGIO 'LA COSTITUZIONE, LA CONDIZIONE CARCERARIA E LA DESERTIFICAZIONE AFFETTIVA'
dialoghi per la consapevolezza

NAPOLI - SALA DEI BARONI DEL MASCHIO ANGIOINO
MARTEDI’ 28 MAGGIO 2024 ORE 10,00/14,00


SALUTI ISTITUZIONALI
PROF. ING. GAETANO MANFREDI - Sindaco di Napoli
AVV. GENNARO DEMETRlO PAIPAIS - Consigliere Comunale
PROF. AVV. FELICE MAURIZIO D'ETTORE - Garante Nazionale delle Persone Private della Libertà
AVV. CARMINE FORESTE - Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli
AVV.GIANLUCA LAURO - Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli Nord
AVV. ELISA DEMMA - Presidente nazionale del Movimento Forense


MODERATORE
AVV. HILARRY SEDU – Vice Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli

INTRODUZIONE
LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.10 DEL 26.1.2024
PROF. AVV. SANDRO STAIANO - Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Federico Il - Napoli

INTERVENTI
DOTT.SSA SIMONA DI MONTE
Procuratore Aggiunto - Procura della Repubblica di Napoli, X Sez. Esecuzioni
PROF. AVV. CLELIA IASEVOLI
Ordinario di dir. proc. penale, Dip. Giurisprudenza, Federico Il - Napoli
AVV. IRMA CONTI - componente del Collegio del Garante Naz.le delle Persone Private della Libertà
PROF. SAMUELE CIAMBRIELLO - Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Campania
DON TONINO PALMESE - Garante dei Diritti dei Detenuti deI Comune di Napoli
SERGIO D'ELIA - Segretarlo di Nessuno tocchi Caino
AVV. GIOVANNA PERNA - Osservatorio Carceri-Unione delle Camere Penali Italiane
PROF. AVV. ARCH. MARELLA SANTANGELO
Ordinario di Composizione architettonica e urbana, Federico Il- Napoli
AVV. ALESSANDRO GARGIULO
Coordinatore naz.le del Dipartimento Carceri del Movimento Forense


COMITATO ORGANIZZATORE
Gennaro Demetrio Paipais, Gianluca Lauro, Elisa Demma,
Maria Chiara Ruzza, Giovanna Perna, Manuela Palombi, Hilarry Sedu, Roberta Foglia Manzillo, Vincenzo lmprota, Raffaele Costanzo, Fabio Della Corte
Per saperne di piu' :

BAHRAIN: IL RE GRAZIA PIÙ DI 1.500 DETENUTI
Il Bahrain ha rilasciato senza condizioni più di 1.500 prigionieri, compresi detenuti politici, nel più grande provvedimento di grazia reale dalla rivolta della primavera araba del 2011, ha riferito The Guardian il 9 aprile 2024.
L’amnistia è arrivata dopo anni di campagne condotte all’interno del Paese e da parte di gruppi internazionali per i diritti umani, ed è stata una completa sorpresa per gli attivisti.
Amnesty Bahrain ha dichiarato: “Questo è un passo positivo. Molti dei [prigionieri] non avrebbero dovuto essere imprigionati fin dall’inizio”.
I rilasci sono stati ordinati dal Re Hamad bin Isa Al Khalifa, in coincidenza con l'Eid e con i 25 anni dalla assunzione del potere da parte del Re.
L'ambasciata americana in Bahrein ha accolto con favore la decisione e ha espresso la speranza che tutti coloro che verranno rilasciati possano riunirsi alle loro famiglie.
Molti dei detenuti erano reclusi nel carcere di Jau, dove secondo gli attivisti restano più di 600 prigionieri politici, tra cui alcuni bisognosi di assistenza medica urgente.
Questi cambiamenti rappresentano un’opportunità per il Bahrain di migliorare la propria immagine globale, aumentare gli investimenti esteri e incoraggiare il turismo. Il provvedimento di grazia ha fatto seguito a una visita in Arabia Saudita del principe ereditario del Bahrein, una visita che potrebbe aver portato all’approvazione saudita della misura.
Sui social media sono state pubblicate scene gioiose di famiglie riunite nelle loro case, comprese alcune che non si ritrovavano nelle loro abitazioni da dieci anni.
Tuttavia Sayed Ahmed Alwadaei, uno dei responsabili del Bahrain Institute for Rights and Democracy con sede in Gran Bretagna, ha dichiarato: “E’ stato uno shock totale. Non c’è stata alcuna indicazione preventiva, e si tratta del rilascio più importante dal 2011. Il rilascio è agrodolce perché ci sono ancora 600 prigionieri politici dietro le sbarre e nel braccio della morte”.
Con due dei suoi cognati tra i prigionieri liberati, Alwadaei ha detto: "I rilasci coincidono con un grande disagio all'interno del Bahrein relativo al sostegno dello Stato a Israele, e fanno seguito a disordini avvenuti nella prigione di Jau, dove quasi un migliaio di prigionieri politici si erano rifiutati di tornare nelle loro celle a causa dei maltrattamenti”.
(Fonte: The Guardian, 09/04/2024)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


DONA IL 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro “Sostegno degli enti del terzo settore iscritti nel RUNTS di cui all’art. 46, c. 1, del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società, nonché sostegno delle Onlus iscritte all’anagrafe”.

E riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

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