Nessuno tocchi Caino - QUANTO SONO ANCORA ATTUALI LE PAROLE PRONUNCIATE DA TURATI NEL 1904 SULLE CARCERI-CIMITERI DEI VIVI!

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Anno 24 - n. 42 - 09-11-2024

 
LA STORIA DELLA SETTIMANA

QUANTO SONO ANCORA ATTUALI LE PAROLE PRONUNCIATE DA TURATI NEL 1904 SULLE CARCERI-CIMITERI DEI VIVI!

NEWS FLASH

1. QUEL BOMBARDAMENTO MEDIATICO CHE COLPISCE CHI PER MESTIERE SI OCCUPA DEGLI ULTIMI
2. MALESIA: PIÙ DI 800 CONDANNE A MORTE COMMUTATE IN ERGASTOLO
3. IRAN: 161 PERSONE GIUSTIZIATE IN OTTOBRE
4. AFGHANISTAN: FUSTIGAZIONI PUBBLICHE DI 29 PERSONE, COMPRESE 6 DONNE

I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

GIUSTIZIA RIPARATIVA: INTERVISTE A PATRIZI E VARONA




QUANTO SONO ANCORA ATTUALI LE PAROLE PRONUNCIATE DA TURATI NEL 1904 SULLE CARCERI-CIMITERI DEI VIVI!
Andrea Bitetto

Seguendo la tripartizione di Locke dei diritti fondamentali – vita, libertà e proprietà – l’Illuminismo aveva riformato le sanzioni penali in modo da stabilire un sistema incentrato sulla correlativa privazione della vita (la pena di morte), della libertà (carcerazione), della proprietà (sanzioni pecuniarie).
Il superamento della pena di morte ha richiesto un lungo processo per poter esser condotto fruttuosamente a termine, nonostante le eccezioni di paesi che ancora la prevedono. Dove l’abbandono della pena di morte è stato realizzato il merito deve esser riconosciuto alle istanze umanitarie, anziché alla Dea Ragione che invece, tramite il principio del bene comune, l’aveva legittimata.
Non che il bene superiore della vita non venga ancor oggi messo a repentaglio dal sistema sanzionatorio penale: in tutti quei sistemi giuridici, come quello italiano, in cui sia previsto l’ergastolo, la fine della vita è la condizione per la fine della pena. Sulla barbarie dell’ergastolo hanno convenuto tutti, per primi i politici, abolizionisti o meno. Il lugubre gen. Menabrea, che fu anche Presidente del Consiglio, sostenitore dell’ergastolo, affermò: “la pena dell’ergastolo, cos’è in sostanza se non la condanna a una morte lenta, a una morte moralmente più dolorosa?”.
Quanto al carcere, sono ancora attuali le parole pronunciate da Turati nel 1904, nel suo intervento alla Camera dei Deputati “I Cimiteri dei vivi”: “Noi crediamo di aver abolita la tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura, la più raffinata; noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice […] e la pena di morte che ammanniscono a goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti o scuole di perfezionamento dei malfattori”.
Mentre scriviamo, il numero delle persone detenute nelle carceri italiane supera le 62.000 unità, in costante sovraffollamento e in condizioni complessive indegne di un paese civile. Con linguaggio iniziatico e freddamente burocratico, l’Applicativo 15, ovvero il sistema di monitoraggio delle presenze di detenuti, sulla base del quale si valuta la capacità recettiva del sistema detentivo, continua a violare i criteri previsti della sentenza Torregiani: il requisito di almeno 3 mq a persona viene calcolato al lordo dello spazio occupato dalla branda, dai servizi igienici (che poi si tratta del solo wc) e degli altri miseri arredi. Risultato: il sovraffollamento non viene ridotto ma burocraticamente aumentato.
Quanto alla generale politica penale, il legislatore italiano è passato dalla massima pre-illuminista “consenso o repressione” a quella persino peggiore di “consenso e repressione”: il voto avrebbe richiesto – questo l’argomento – di intervenire contro l’emergenza criminalità, sventolata come un vessillo, con un atteggiamento repressivo. E il problema del sovraffollamento e della conseguente impossibilità prima di tutto materiale di approntare qualsiasi sistema coerente di tendenziale rieducazione e reinserimento del detenuto? La risposta è in linea con la prassi tridentina, altresì nota come tecnica della dilatazione, del pontefice Paolo III, quello che convocò controvoglia il Concilio di Trento e lo fece durare diciott’anni: procrastinare. La soluzione dei problemi viene semplicemente rimandata.
Atteggiamento del tutto coerente con quello definito dalla filosofa slovena Alenka Zupančič come “disconoscimento”. Il problema della situazione carceraria non viene negato, ma viene disconosciuto tramite la promessa, del tutto generica, di future soluzioni. Che poi da noi le soluzioni proposte non sono quelle necessarie, ovvero la riduzione dei fatti penalmente rilevanti, la mitigazione delle pene il cui impianto è ancora quello vessatorio e illiberale del Codice Rocco, ma sono quelle che passerebbero attraverso la calce e il mattone: la costruzione di nuove carceri. Non si curano le cause della malattia, ci si premura solo di costruire forse nuovi ospedali. Esistono almeno due progetti già completi di riforma del Codice penale: quello delle commissioni Pisapia e Nordio, sostanzialmente entrambi coerenti con le esigenze di un diritto penale minimo. Ma oggi quello stesso Nordio preferisce assecondare il panpenalismo tanto criticato da editorialista.
James Hillman, nel suo Codice dell’anima, ci ha spiegato come crescere sia discendere. Nel raccontare in parallelo le vite di Judy Garland e di Josephine Baker, Hilmann ci ha ricordato che nella vita esiste l’ascesa e la caduta e non importa il cadere ma come si cade.
Lo stesso vale per chi commette un fatto di reato. Il carcere così come è oggi e probabilmente così come non può esser diversamente, impedisce a chi cade di poter restituire, con gesti fattivi capaci di dichiarare il pieno attaccamento a questo mondo, le cose che l’ambiente ci ha date.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

QUEL BOMBARDAMENTO MEDIATICO CHE COLPISCE CHI PER MESTIERE SI OCCUPA DEGLI ULTIMI
Ilario Nasso*

Chiedereste al chirurgo, in sala operatoria, per quale squadra tifi? Interroghereste sulla pancetta o il guanciale nella carbonara il pilota del vostro aereo, decidendo di conseguenza se rimanere a bordo? Rinuncereste a essere tratti in salvo da un’alluvione, se il soccorritore non fosse eterosessuale?
Di chi incrociamo in fasi particolari della vita ci dovrebbe interessare la professionalità, l’intelligenza, la serietà: non l’intimità. Ecco perché fare confusione di piani – fra servizio reso alla collettività e sfera soggettiva dell’incaricato – non è solamente illecito: è innanzitutto stupido. Qualora, poi, lo spiattellamento in pubblico del vissuto, delle relazioni, delle idee di una persona si faccia metodico, gratuito, unilaterale, dietro non c’è solo idiozia, ma strategia. E quando quella persona esercita la funzione pubblica di magistrato lo scopo diventa chiaro: negare al malcapitato il ruolo che pure riveste legittimamente fra le istituzioni, per additarlo a chiunque come sbagliato e incapace.
Pertanto, lo squallore mediatico cui stiamo nuovamente assistendo – con giudici scandagliati negli affetti, profilati nelle opinioni, schedati nei trascorsi lavorativi, dileggiati nelle scelte di vita, mostrificati nella rappresentazione del lavoro quotidiano – non costituisce (soltanto) diffamazione o squadrismo, ma un’istigazione (nemmeno tanto sottile) alla guerra civile: ingaggiata da esponenti del “quarto potere” (giornalistico) nei confronti di quello giudiziario, con l’induzione o il tornaconto di detentori del potere politico.
Mentre la critica tecnica di una pronuncia giudiziaria è sempre utile, essa getta la maschera e rivela la propria vocazione appena assume le sembianze di scorribanda velenosa e insultante nella vita privata e nelle convinzioni del decisore. Il trasferimento istantaneo del discorso dall’atto (in questo caso giudiziario) al suo autore è pura reazione: ossia il notorio miscuglio di mancanza di argomentazione, ferocia dei toni, manganellate verbali, e – in definitiva – orrore per l’altro.
E proprio qui si chiude il cerchio. Il bombardamento colpisce chi – per mestiere – si occupa degli ultimi: profughi, minoranze, non abbienti. È la coltivazione – con la stampa brandita come arma impropria – di un’idea di società in cui l’affermazione del primato del diritto (nel caso singolo) è oltraggio alla nazione, e non piuttosto sincero patriottismo costituzionale. Il metodo di questa operazione di sconquasso è spacciare la giustizia italiana per una corte... dei miracoli. Il fatto esaminato e il diritto applicato non interessano: conta esclusivamente insinuare che a giudicare sia stato (o sarà) uno svitato, un difettoso, un barricadiero.
Torna imprescindibile, allora, ristabilire i fondamentali. Una sentenza – tra confronto processuale, motivazione obbligatoria, impugnazioni successive – è l’espressione di autorità più controllabile e rivedibile che esista. Il giudice non è un burocrate né un emissario di palazzo. Una giustizia ridotta a ratifica di desideri governativi è stravolgimento costituzionale.
Ancora: la giurisdizione è compimento motivato di scelte. È tutela – spesso l’ultima invocabile, oppure l’unica accessibile... agli ultimi – dalla prepotenza e dall’arbitrio. È, quindi, riaffermazione – ragionata, ma instancabile – di diritti inviolabili: se necessario, anche contro leggi – da qualsiasi maggioranza create – che provino a disconoscerli.
Il vero giudice antidemocratico, allora, è il giudice supino e addomesticato ai potenti. È il giudice contiguo – ma rigorosamente in silenzio! – al governante e ai propositi di quest’ultimo. È il giudice afasico e nascosto, che sentenzia meccanicamente e acriticamente. Una comunità attenta alla qualità dello stare assieme abbia il coraggio – e oggi avverta l’urgenza civica – di difendere l’indipendenza dei propri giudici e la pienezza delle loro attribuzioni: patrimonio collettivo non per culto di autoreferenzialità, ma per precisa, universale, attualissima esigenza democratica.
* magistrato iscritto a Nessuno tocchi Caino



MALESIA: PIÙ DI 800 CONDANNE A MORTE COMMUTATE IN ERGASTOLO
Sono 866 le persone che in Malesia hanno ricevuto la commutazione della condanna a morte in pena detentiva, tra il 1° gennaio e il 14 ottobre 2024, ha dichiarato il ministro del Dipartimento del Primo Ministro (Legge e Riforma Istituzionale) Datuk Seri Azalina Othman.
In una risposta parlamentare scritta, il ministro ha aggiunto essere 18 le persone condannate a morte nello stesso periodo.
Delle 866 persone, 52 hanno avuto la loro condanna commutata in fase di appello.
Il ministro rispondeva a una domanda del parlamentare Ramkarpal Singh della circoscrizione di Bukit Gelugor sul numero di persone condannate a morte quest'anno e sul numero di condanne commutate.
Azalina ha affermato che le altre 814 persone a cui è stata commutata la pena avevano presentato domanda di revisione ai sensi della Legge di Revisione della Pena di Morte ed Ergastolo (Giurisdizione Temporanea della Corte Federale), entrata in vigore il 12 settembre 2023.
Azalina ha osservato che 18 imputati hanno ricevuto nuove condanne a morte: 12 dall'Alta Corte e sei dalla Corte d'Appello.
(Fonte: NST, 07/11/2024)



IRAN: 161 PERSONE GIUSTIZIATE IN OTTOBRE
Nel mese di ottobre 2024, almeno 161 prigionieri sono stati giustiziati nelle carceri della Repubblica Islamica dell'Iran, segnando un aumento di 83 casi (106,5%) rispetto a settembre, quando erano state registrate 78 esecuzioni. Si tratta del più alto numero mensile di esecuzioni documentato in Iran nel 2024.
Il Centro statistiche e Documentazione dell'Organizzazione per i diritti umani Hengaw ha confermato l'identità di 149 dei 161 prigionieri giustiziati, mentre l'identità dei restanti 12 è ancora oggetto di indagine.
Le esecuzioni di ottobre hanno riguardato almeno 22 curdi, 21 turchi, 15 Baluchi, 12 Lur, 5 arabi, 3 Gilak, 2 turkmeni e almeno nove cittadini afghani.
In particolare, l'esecuzione di Jamshid Sharmahd, un cittadino iraniano-tedesco con doppia cittadinanza e prigioniero politico, è stata eseguita in segreto. Inoltre, un prigioniero Baluco di 21 anni, condannato per omicidio, che aveva solo 17 anni al momento del crimine, è stato giustiziato nella prigione centrale di Zahedan. Questo prigioniero è stato identificato come Mehdi Barahouei.
Tra le persone giustiziate a ottobre ci sono almeno cinque donne in varie prigioni, tra cui Tabriz (2 casi), Ahar, Hamedan e Ghezel Hesar a Karaj. Quattro erano state condannate per omicidio, mentre una era stata condannata per accuse legate alla droga.
Dei 161 prigionieri giustiziati a ottobre, solo 14 casi (8,5%) sono stati riportati dai media statali e dai siti web affiliati alla magistratura. Sei esecuzioni sono state effettuate in segreto, senza informare le famiglie dei prigionieri o concedere loro una visita finale.
Classificazione per accuse:
Omicidio: 83 casi (51,5% di tutte le esecuzioni); Politica: 1 caso; Reati legati alla droga: 64 casi; Corruzione sulla terra: 4 casi; Stupro: 7 casi; Rapina a mano armata: 2 casi.
(Fonte: Hengaw)



AFGHANISTAN: FUSTIGAZIONI PUBBLICHE DI 29 PERSONE, COMPRESE 6 DONNE
I Talebani hanno eseguito il 5 novembre 2024 fustigazioni pubbliche di 29 persone, tra cui 6 donne, nelle province afghane di Jowzjan, Kabul, Paktika, Maidan Wardak e Parwan.
Fonti locali nella provincia settentrionale di Jowzjan hanno riferito che le autorità talebane hanno frustato 22 individui, tra cui quattro donne, nel capoluogo Sheberghan, con l'accusa di "relazioni illecite" e "produzione e vendita di droga e alcol".
Secondo le fonti, queste persone hanno ricevuto tra 25 e 29 frustate ciascuno, in uno stadio sportivo di fronte ai residenti e alle autorità locali.
Sono stati anche condannati a pene detentive che vanno da un mese a un anno.
In più dichiarazioni, la Corte Suprema afghana ha annunciato che un uomo e una donna, sempre il 5 novembre, sono stati frustati a Kabul per "adulterio", mentre due uomini sono stati frustati a Paktika e un altro uomo a Maidan Wardak per "sodomia".
Secondo le dichiarazioni, questi individui hanno ricevuto ciascuno tra 36 e 39 frustate e sono stati condannati a pene detentive che vanno da sei mesi a due anni.
Infine, un uomo e una donna sono stati frustati per "adulterio" nella provincia di Parwan, nell'Afghanistan orientale.
I due hanno ricevuto 39 frustate ciascuno, in presenza di residenti e autorità locali, ha detto la Corte Suprema.
Inoltre, il tribunale dei Talebani li ha condannati a tre anni di prigione.
Le punizioni pubbliche sono in aumento in Afghanistan da quando il leader supremo dei Talebani, Haibatullah Akhundzada, ha ordinato il completo ritorno delle pene islamiche della Sharia nel novembre 2022.
(Fonte: Kabul Now, 06/11/2024)



I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA

A due anni dalla promulgazione della legge sulla Giustizia Riparativa, la cosiddetta Legge Cartabia o Riforma Cartabia, Nessuno Tocchi Caino pubblica le interviste a due esperte del settore, Patrizia Patrizi e Gemma Varona.
Intervista a Patrizia Patrizi: usa il link sotto riportato
ITALIA - Intervista a Patrizia Patrizi sulla Giustizia Riparativa in Italia

Intervista a Gemma Varoni: usa il link sotto riportato
ITALIA - Intervista a Germma Varona sulla Giustizia Riparativa




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