NESSUNO TOCCHI CAINO - PENA DI MORTE PER ASFISSIA, LA LOUISIANA UCCIDE UN UOMO NELLA SUA PRIMA ESECUZIONE CON GAS AZOTO DOPO 15 ANNI DI MORATORIA
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 13 - 29-03-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA PENA DI MORTE PER ASFISSIA, LA LOUISIANA UCCIDE UN UOMO NELLA SUA PRIMA ESECUZIONE CON GAS AZOTO DOPO 15 ANNI DI MORATORIA NEWS FLASH 1. IL MIO VIAGGIO SU UN FURGONE CHE TOGLIE IL RESPIRO 2. NESSUNO TOCCHI CAINO: CONFERENZA STAMPA SULL’ANNULLAMENTO DEL CONVEGNO ‘MAI PIÙ TERRORISMO’ 3. IRAN: 61ª SETTIMANA DELLA CAMPAGNA ‘MARTEDÌ DEL NO ALLE ESECUZIONI’ 4. GIAPPONE: 46 ANNI DI BRACCIO DELLA MORTE PER ERRORE, RISARCITO CON 1,2 MILIONI DI EURO PENA DI MORTE PER ASFISSIA, LA LOUISIANA UCCIDE UN UOMO NELLA SUA PRIMA ESECUZIONE CON GAS AZOTO DOPO 15 ANNI DI MORATORIA Sergio D’Elia Il 18 marzo 2025, dopo una pausa di 15 anni, lo Stato americano della Louisiana ha ripreso le esecuzioni e per la prima volta ha usato il metodo della morte per asfissia tramite il gas azoto. È stata la quinta volta negli Stati Uniti dopo quattro esecuzioni con lo stesso sistema avvenute tutte in Alabama. Jessie Hoffman Jr è stato dichiarato morto alle 18:50 ora locale presso il penitenziario di Angola, dopo che l’azoto puro era fluito per 19 minuti nel suo corpo attraverso una maschera facciale a tenuta stagna. Il rito funebre della morte per asfissia è avvenuto in una camera piastrellata di bianco, illuminata di luce al neon e asettica come una sala operatoria. Il condannato è stato steso su una barella imbottita di pelle nera. Cinque fila di cinghie hanno avvolto il suo corpo. Dalla maschera che gli ha tappato la bocca non poteva filtrare nemmeno un alito di ossigeno da respirare, ma il suo nemico mortale, l’azoto per asfissiare. Appena sotto la testa due braccia aperte del lettino lo hanno fatto sembrare una croce. E, così, dopo duemila anni, da simbolo di pace e amore universale, la “croce” è tornata a essere, come al principio della storia, lo strumento tremendo di un supplizio capitale. I testimoni dell’esecuzione hanno detto che Hoffman sembrava tremare involontariamente o avere “qualche attività convulsiva”. Ma i tre testimoni che hanno parlato, tra cui due membri dei media, hanno concordato che, in base al protocollo e a quanto appreso sul metodo di esecuzione, nulla sembrava fuori dall’ordinario. La reporter Gina Swanson ha descritto l’esecuzione dal suo punto di vista come “clinica” e “secondo protocollo”. Un funzionario della prigione l’ha definita un’esecuzione “impeccabile”. Nessuno dei presenti che hanno commentato il fatto, ha considerato l’ipotesi che sia l’esecuzione capitale in quanto tale il peccato originale, il danno che danna per sempre non solo l’autore del delitto ma anche l’esecutore del castigo, con ciò tradendo l’umanità di tutti e il fine nobile del rendere giustizia. Pare che Hoffman abbia rifiutato un ultimo pasto sul quale in America spesso si favoleggia prima di ogni esecuzione. Non sappiamo se prima di entrare nella camera della morte per asfissia gli sia stato concesso, prima dell’azoto, di aspirare il fumo di un’ultima sigaretta che non si nega mai a un condannato a morte. Una volta legato al lettino a forma di croce, Hoffman ha rifiutato di rilasciare una dichiarazione finale. Forse avrà solo pensato: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Gli avvocati di Hoffman si erano rivolti alla Corte Suprema degli Stati Uniti nella speranza di fermare l’esecuzione. Avevano sostenuto senza successo che la morte per asfissia provocata dall’azoto puro viola l’Ottavo Emendamento della Costituzione americana, il quale vieta le punizioni crudeli e inusuali. In un ultimo disperato ricorso, i suoi difensori hanno anche sostenuto che il metodo avrebbe violato anche la libertà di Hoffman di praticare la sua religione, in particolare la respirazione buddista e la meditazione nei momenti che precedono la morte. La Corte Suprema degli Stati Uniti, come Ponzio Pilato, se n’è lavata le mani e ha deciso 5 contro 4 di non bloccare l’esecuzione con l’azoto sul letto a forma di croce. Hoffman è morto a 46 anni. Ne aveva 18 quando a New Orleans nel 1996 ha ucciso Mary “Molly” Elliott che di anni ne aveva 28. Da allora ha trascorso il resto della sua vita in una prigione della Louisiana rurale nel sud-est dello Stato, dove è stato giustiziato. Il procuratore generale della Louisiana Liz Murrill ha detto che si aspetta che almeno quattro persone siano asfissiate quest’anno nello Stato. Dopo l’esecuzione di Hoffman, ha affermato che la giustizia era stata ritardata per troppo tempo e, dopo quello degli uomini, ora Hoffman “avrebbe affrontato il giudizio finale, il giudizio davanti a Dio”. Al procuratore generale Murrill andrebbe ricordato che il Dio dell’Antico Testamento pose su Caino un segno perché non lo toccasse chiunque l’avesse incontrato. Alla cattolicissima Liz andrebbero ricordate anche le parole di Papa Francesco: “Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde”. La crudeltà assurda di chi ha commesso un male irreparabile, quello del reato, ma anche quella di chi a quel male risponde con un male opposto ed egualmente irreparabile, quello della pena. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH IL MIO VIAGGIO SU UN FURGONE CHE TOGLIE IL RESPIRO Gioacchino Calabrò* Un paio di mesi addietro avevo visto e ascoltato in TV l’esternazione di un politico il quale parlava dei nuovi mezzi di trasporto per i detenuti al 41 bis, i quali non dovevano neanche respirare con facilità nella traduzione da un carcere all’altro. Lui provava “una immensa gioia” di questa sofferenza inflitta, cioè per questa nuova forma di tortura applicata a dispetto della nostra Costituzione. L’Articolo 2 dice: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. L’Articolo 3 aggiunge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità”. L’Articolo 27 conclude: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. In tutta sincerità, il sottoscritto, detenuto da quarant’anni, pensava, a torto, che il suddetto politico avesse esternato in forma esagerata la sua opinione. Qualche giorno dopo avevo visto e ascoltato, sempre alla TV, un magistrato che, intervistato da un giornalista proprio su questo argomento, rispondeva: “Beh, tale politico ha esagerato dato che non è possibile non far respirare i detenuti poiché è la stessa aria che respirano gli agenti di custodia sul mezzo che trasportano e scortano i vari detenuti”. Poi, nel discorso di fine anno, il nostro amato Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pur non facendo il nome di nessun politico, ha usato le sue stesse parole, pari pari ma all’incontrario, specificando che i detenuti devono poter respirare una nuova aria, fresca, pulita e anche diversa da quella malsana che era quando avevano sbagliato, proprio perché l’aria era torbida e inquinata. Un discorso esemplare, eccezionale e ammirevole. Detto ciò, adesso mi piacerebbe far sapere alle persone perbene, e a chi di dovere, che le cose stanno diversamente. Erano anni che non prendevo un furgoncino per le traduzioni e il giorno 24 gennaio 2025 mi chiamano per una visita ospedaliera. Non era proprio uno di quelli moderni destinati ai detenuti speciali al 41 bis, ma un furgoncino composto da due cellette per i detenuti “normali”, separate l’una dall’altra, di circa 60 centimetri per 60. La salita avviene tramite una porta scorrevole laterale, poiché le cellette sono ubicate dove di solito c’è il bagagliaio e vi si entra tramite una piccola porticina di circa 40 centimetri per 100, anche questa scorrevole, munita originariamente di 10 barrette di ferro alla distanza di circa 2,5 centimetri una dall’altra. Anche se striminzita e scomoda, il progettista l’aveva concepita tutto sommato in modo passabile, poiché l’aria, pur se poca, era la stessa di quella che respiravano gli agenti. Ma, udite, udite, adesso quella piccola apertura striminzita è stata lastricata da uno spesso plexiglass, dove vi hanno fatto, li ho contati, 50 buchini di appena 4 millimetri. Non si respira più. Ecco, quel politico può gioire del fatto che anche nei furgoni con due cellette come quello che ho preso io i detenuti non respirano. Inoltre, proprio perché non si respira, il plexiglass si appanna per la condensa e perciò gli agenti non vedono bene il detenuto, quindi vi hanno installato una telecamera per vedere meglio le sofferenze delle persone che si disperano in quella piccola, asfissiante celletta. Tant’è che appena ho avuto la possibilità di rimanere da solo con uno degli agenti di custodia, ho intavolato un discorso sul perché di quel plexiglass installato, credo abusivamente o meglio fuori norma. L’agente era mortificato e amareggiato. Insomma, era cosciente che quella era un’aberrante indecenza, tanto che lui “non ci avrebbe trasportato neanche i suoi cani in quel modo”, anche perché col disegno di legge del 2022 è stato introdotto nell’articolo 9 la protezione degli animali. E poi mi raccontava che non era il solo agente a pensarla così, ma purtroppo nessuno di loro esprimeva lamentele poiché altri agenti la ritenevano appropriata. E, poi, l’ordine di installare il plexiglass era stato imposto dall’altro. Perciò, ai parlamentari che visitano gli istituti penitenziari dico: appena vi sarà possibile, visitate anche e provate a sedervi su un furgone come quello che ho appena descritto e immaginate una traduzione con un mezzo simile e immaginate poi quella sui furgoni che tolgono il respiro ai detenuti al 41 bis. Ditelo al garante, ditelo a chi può evitare questa istigazione a fare del male e a farsi del male. Ditelo a chi crede ancora nella Costituzione italiana. * Ergastolano detenuto nel Carcere di Opera NESSUNO TOCCHI CAINO: CONFERENZA STAMPA SULL’ANNULLAMENTO DEL CONVEGNO ‘MAI PIÙ TERRORISMO’ Si sarebbe dovuto tenere questa mattina, nell’Aula Magna della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, il convegno "Mai più terrorismo". Tuttavia, l’evento è stato annullato per "motivi di ordine pubblico", secondo il rettore dell’ateneo, Lorenzo Lo Muzio, motivi che però alla questura non risultano. L'incontro intendeva presentare due libri, uno dedicato a Benedetto Petrone, militante comunista barese ucciso nel '77 e l'altro a Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù ucciso nel '75. Sigle locali di PD, Arci, Anpi etc hanno contestato l'iniziativa fino a costringere l'Ateneo a cedere al ricatto di una posizione settaria e circoscritta nel recinto del risentimento. Una posizione rispetto alla quale Nessuno tocchi Caino si pone come radicalmente alternativa e autentico Ateneo da frequentare come una delle più prestigiose Università. Al link riportato sotto è disponibile la registrazione integrale della conferenza stampa che si è tenuta alcune ore fa. Sergio D'Elia ha detto che per i ragazzi presenti all'università sarebbe stato utile sapere che il peccato originale non sia né a destra né a sinistra, ma sta nella concezione della violenza come forma di lotta politica e nella erronea convinzione che i fini giustificano i mezzi. L'università, ha poi detto D’Elia, è "il tempio del sapere e se non c'è il confronto, il dubbio, il dialogo tra saperi diversi diventa un luogo monotono, un cimitero della saggezza. Le persone che oggi non sono venute hanno deciso che quel luogo non andava frequentato perché erano presenti persone diverse da sé, hanno manifestato di non essere liberi, di essere in un recinto ideologico". https://www.youtube.com/watch? (Fonte: Nessuno tocchi Caino, 24/03/2025) IRAN: 61ª SETTIMANA DELLA CAMPAGNA ‘MARTEDÌ DEL NO ALLE ESECUZIONI’ La sessantunesima settimana della campagna “Martedì del No alle esecuzioni” continua con uno sciopero della fame dei detenuti politici in 38 prigioni del Paese. I prigionieri partecipanti hanno rilasciato una dichiarazione che fa riferimento alle scioccanti statistiche delle esecuzioni nell'anno iraniano 1403 (dal 21 marzo 2024 al 20 marzo 2025), affermando che oltre 1.150 persone, tra cui 38 donne e 7 giovani, sono state impiccate. Il comunicato completo della sessantunesima settimana della campagna “No to Execution Tuesday” è il seguente: Rapporto statistico sulle esecuzioni nel 1403 (21 marzo 2024 - 20 marzo 2025) “Martedì del No alle esecuzioni": La sessantunesima settimana della campagna in 38 carceri Impiccagione di oltre 1.150 detenuti nel 1403 Nella prima settimana del 1404 (ultima settimana di marzo), la campagna “No to Execution Tuesday” annuncia le brutali statistiche di esecuzione del regime per l'anno 1403: oltre 1.150 detenuti, tra cui 38 donne, sono stati impiccati. Tra questi, 135 erano connazionali di etnia baluca e 104 connazionali curdi. Inoltre, sono stati giustiziati cinque prigionieri politici e otto detenuti sono stati impiccati in pubblico in modo medievale. È da notare che circa l'85% delle esecuzioni del 1403 è avvenuto durante la presidenza di Pezeshkian. Ciò indica che le fazioni di questo regime non mostrano alcuna differenza nel massacrare il popolo iraniano. Noi, membri della campagna “No to Execution Tuesday”, siamo uniti e risoluti contro la disumana sentenza di esecuzione. Invitiamo tutti i partiti, le organizzazioni, i gruppi e gli attivisti che hanno a cuore il “diritto alla vita e i diritti umani” e si oppongono alle esecuzioni a intraprendere azioni più concrete ed efficaci contro le esecuzioni nel nuovo anno, sperando che il 1404 sia l'anno della fine della repressione e delle esecuzioni e l'inizio della libertà per l'Iran. Nella sessantunesima settimana della campagna “No to Execution Tuesday”, martedì 5 Farvardin 1404 (25 marzo 2025) si terrà uno sciopero della fame in 38 prigioni, tra cui: Prigione di Evin (reparto femminile, reparti 4 e 8), prigione di Qazalhesar (unità 3 e 4), prigione centrale di Karaj, prigione della Grande Teheran, prigione di Khorin Varamin, prigione di Chubin Dar Qazvin, prigione di Arak, prigione di Khorramabad, Prigione Asadabad Isfahan, Prigione Dastgerd Isfahan, Prigione Shiban Ahvaz, Prigione Sepidar Ahvaz (reparti femminili e maschili), Prigione Nezam Shiraz, Prigione Adelabad Shiraz (reparti femminili e maschili), Prigione Borazjan, prigione di Ramhormoz, prigione di Bam, prigione di Kahnouj, prigione di Tabas, prigione di Jowin, prigione di Mashhad, prigione di Gonbad Kavous, prigione di Qaemshahr, prigione di Rasht (reparti femminili e maschili), prigione di Rudsar, prigione di Haviq Talesh, prigione di Dieselabad Kermanshah, prigione di Ardabil, prigione di Tabriz, prigione di Urmia, prigione di Salmas, prigione di Khoy, prigione di Naqadeh, prigione di Miandoab, prigione di Saqqez, prigione di Baneh, prigione di Marivan e prigione di Kamyaran. Sessantunesima settimana Martedì 5 Farvardin 1404 (25 marzo 2025) Campagna “Martedì del No alle esecuzioni”. Nota: le statistiche sulle esecuzioni qui riportate si basano esclusivamente sulle dichiarazioni rilasciate dai detenuti. Questi numeri seguono una metodologia diversa rispetto ai rapporti ufficiali di Iran HRM, che si basano sull'anno solare gregoriano. (Fonte: Iran HRM, 25/03/2025) GIAPPONE: 46 ANNI DI BRACCIO DELLA MORTE PER ERRORE, RISARCITO CON 1,2 MILIONI DI EURO Iwao Hakamada, 89 anni, ha ottenuto il 25 marzo 2025 un risarcimento di 1,2 milioni di euro circa, dopo aver trascorso erroneamente 46 anni nel braccio della morte giapponese. L’anziano ex pugile era stato prosciolto nel settembre 2024 in una revisione del suo processo. Il risarcimento complessivo equivale a 12.500 yen (77 euro) per ogni giorno trascorso in cella, ha comunicato il portavoce del tribunale nipponico. Lo ha riferito l’agenzia di stampa France Presse. Si tratta del massimo risarcimento previsto dalla legge giapponese, una cifra in realtà non necessariamente commisurata allo stress esistenziale subito da Hakamada, che ha potuto ottenere la revisione del processo grazie anche alla battaglia pluriennale condotta da una sorella, che oggi si prende cura di lui. Hakamada era stato condannato a morte nel 1968 per un quadruplice omicidio. Da tempo le prove che erano state prodotte per indurre la sua condanna erano screditate. “Al richiedente verranno concessi 217.362.500 yen”, pari a circa 1,2 milioni di euro, ha precisato all’AFP un portavoce del tribunale distrettuale di Shizuoka, commentando la sentenza. Durante la revisione del processo, il giudice aveva stabilito che le prove contro Hakamada erano state costruite ad arte e che gli interrogatori cui era stato sottoposto erano stati “disumani”, volti a infliggere “sofferenza fisica e mentale” e a estorcere “dichiarazioni sotto costrizione”. (Fonte: Askanews, 25/03/2025) |
Commenti
Posta un commento