NESSUNO TOCCHI CAINO - È LA PENA DI MORTE LA GUERRA PIÙ SANGUINOSA CHE IL REGIME IRANIANO HA MOSSO CONTRO IL PROPRIO POPOLO E CHE IL MONDO IGNORA


 

NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM

Associazione Radicale Nonviolenta
Transnazionale Transpartitica

Anno 25 - n. 26 - 19-07-2025

LA STORIA DELLA SETTIMANA

È LA PENA DI MORTE LA GUERRA PIÙ SANGUINOSA CHE IL REGIME IRANIANO HA MOSSO CONTRO IL PROPRIO POPOLO E CHE IL MONDO IGNORA

NEWS FLASH

1. CARCERARE, CARCERARE! QUEL DESIDERIO CARNIVORO DELLA POLITICA DI RISOLVERE TUTTI I MALI
2. ARABIA SAUDITA: GIUSTIZIATO PER TRAFFICO DI DROGA
3. FLORIDA (USA): MICHAEL BERNARD BELL GIUSTIZIATO
4. AFGHANISTAN: DUE PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO A KABUL E GHAZNI




È LA PENA DI MORTE LA GUERRA PIÙ SANGUINOSA CHE IL REGIME IRANIANO HA MOSSO CONTRO IL PROPRIO POPOLO E CHE IL MONDO IGNORA
Elisabetta Zamparutti

Grande è l’attenzione sulla guerra tra Iran e Israele o sul programma nucleare di Teheran. Totale la distrazione sull’impressionante numero di esecuzioni compiute dal regime clericale nei confronti dei propri cittadini. Cifre destinate ad aumentare e che non possiamo ignorare.
È connotato costitutivo di questo regime, sin dalla sua nascita con la Rivoluzione del 1979, rispondere alle minacce alla propria autorità con brutali repressioni del dissenso interno. Come nel caso delle manifestazioni seguite alla morte di Masha Amini, uccisa per mano della polizia morale di Teheran nel settembre 2022, quando cittadini iraniani si sono riversati nelle città di tutte le 31 province del Paese. Secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, coalizione di gruppi di opposizione pro-democrazia, di cui i Mojahedin del Popolo dell’Iran (MEK) sono la componente principale, circa 750 manifestanti sono stati uccisi durante quella rivolta del 2022. Nello stesso periodo si sono registrati oltre 30.000 arresti – una cifra poi di fatto confermata anche dai media statali iraniani. I procedimenti giudiziari successivi hanno portato a un numero non precisato di condanne a morte, di cui circa una dozzina già eseguite.
Chi allora è sceso in piazza sapeva a cosa andava incontro. Meno di tre anni prima, nel novembre 2019, un’altra ondata di proteste aveva portato all’uccisione di circa 1.500 manifestanti. Tanto più il regime si sente minacciato, tanto più efferata è la repressione. Come quando nell’estate del 1988, la teocrazia dei Mullah si trovò ad affrontare sia la crescita dell’opposizione interna che l’umiliante conclusione della guerra durata otto anni con il vicino Iraq. Allora, la Guida Suprema Khomeini, emanò una fatwa dichiarando che l’opposizione, in particolare il MEK, erano “nemici di Dio” e pertanto andavano puniti con la morte. Si istituirono nelle carceri le “commissioni della morte” per interrogare i prigionieri politici. Dopo circa tre mesi di questi procedimenti, oltre 30.000 detenuti – il 90% dei quali affiliati al MEK – furono giustiziati e sepolti in fosse comuni segrete.
Con le debite distinzioni in termini numerici, emerge oggi dal passato quel massacro del 1988. I media di Stato iraniani hanno apertamente riportato che circa 700 persone sono state arrestate o durante il conflitto iraniano-israeliano, mentre alcuni attivisti per i diritti umani stimano che il numero reale superi i 1.000.
In modo allarmante, l’agenzia Fars News – affiliata al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) – il 7 luglio ha esplicitamente invocato la ripetizione del massacro del 1988.
La gravità della situazione è stata sottolineata da dieci esperti delle Nazioni Unite il 4 luglio, i quali hanno espresso profonda preoccupazione per l’intensificarsi della repressione, affermando che “l’Iran non deve permettere che la storia si ripeta ricorrendo agli stessi oscuri modelli repressivi che hanno devastato il suo popolo nei periodi successivi ai conflitti del passato.” La nuova ondata repressiva contro il dissenso coincide con un’impennata di esecuzioni, iniziata come estensione della repressione legata alla rivolta del 2022. Nel 2023 è stato riportato che oltre 850 iraniani sono stati giustiziati per una vasta gamma di accuse, molte delle quali infondate o pretestuose. Una cifra ampiamente superata nel 2024, quando sono state eseguite circa 1.000 esecuzioni – il numero più alto degli ultimi vent’anni.
Tragicamente, le esecuzioni sono diventate parte integrante del DNA del regime attuale. E le previsioni per il 2025 sono ancora più allarmanti. Mentre scrivo, Nessuno tocchi Caino ha contato almeno 700 esecuzioni compiute quest’anno. E siamo solo a poco più di metà anno!
Sappiamo quanto sia fallimentare la politica dell’accondiscendenza. Come è evidente che la guerra esterna non rappresenti una soluzione. Per Maryam Rajavi, eletta dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) come presidente per il periodo di transizione dopo la caduta dei mullah, la soluzione definitiva sta in un cambiamento di regime a opera del popolo iraniano e della sua resistenza organizzata.
Cosa possiamo fare noi? Non concentriamoci esclusivamente sulla questione nucleare, ma guardiamo all’arma della pena di morte usata contro il popolo iraniano. Cerchiamo di disinnescare questo ordigno. Facciamoci forti di quello sciopero della fame dei condannati a morte in Iran, a cui danno corpo ogni martedì da un numero sempre crescente di carceri. Io lo faccio ogni martedì. Sarebbe bene farlo in molti, magari aderendo ogni martedì. Prendiamo atto che nel piano in dieci punti per l’Iran libero di Maryam Rajavi è prevista l’abolizione della pena di morte. Riconosciamola come un interlocutore politico e il regime iraniano cadrà.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

CARCERARE, CARCERARE! QUEL DESIDERIO CARNIVORO DELLA POLITICA DI RISOLVERE TUTTI I MALI
Bernard Bolze

La festa è finita! Gli Incontri estivi sul confinamento, dal nome Concertina*, hanno appena smontato, a Dieulefit, nella provincia francese della Drôme, il loro tendone. Si va avanti verso il 2026 e alla sesta edizione!
“Appetiti” è stato il tema di questa quinta edizione, così pensata: “Negli Appetiti c’è il desiderio. L’esperienza della privazione della libertà è infinitamente più complessa di come ci viene rappresentata. I luoghi di confinamento celano le più grandi frustrazioni e gli appetiti più sfrenati. La prigionia li acuisce, privando di tutto. L’alterazione dei sensi può anche portare alla perdita dell’appetito. Orco o passero, a ciascuno il suo (...)”
Come dovremmo considerare un evento dalla connotazione poco alettante – la privazione della libertà – quando la maggior parte dei media, compresi i più progressisti, guardano dall’altra parte? In tre parole: la gioia di stare insieme, l’intelligenza collettiva, la speranza della diffusione. I soggetti più cupi invitano a evocarli nell’amicizia e nella solidarietà e quindi nella gioia. Questo è il paradosso vertiginoso che dobbiamo affrontare.
Pinar Selek, Presidente dell’edizione 2025, ha dato la tonalità degli Incontri in un discorso di apertura potente e caloroso che il suo passaggio nelle prigioni turche e la tortura associata hanno rafforzato di tutto il loro peso. Sociologa e autrice, rifugiata in Francia, è ancora perseguita dal governo del suo paese nonostante le ripetute assoluzioni. Ecco cosa ci dice nel preambolo: “Non è facile agire d’urgenza prendendosi il tempo di pensare. Eppure questi due movimenti devono coesistere, articolarsi, nutrirsi. Ecco perché sono così commossa ad aprire questa quinta edizione di Concertina, Incontri estivi intorno al confinamento, che si iscrivono nelle lunghe lotte contro le logiche del confinamento, incrociando resistenze militanti, creazione artistica e riflessione sui diritti delle persone private della libertà. A partire da questi luoghi di reclusione, ci prenderemo il tempo per pensare insieme, per cogliere meglio i dispositivi di potere che ci circondano, ma anc he per innaffiare, nutrire, abbellire il mondo poetico che stiamo costruendo da tanto tempo”.
L’intelligenza collettiva risiede nell’accettazione della diversità dei punti di vista (accademici, militanti, o quelli degli «utenti»), del loro confronto a volte ruvido e della presenza di personale dell’amministrazione penitenziaria o della salute che se ne prendono il rischio. I cinquanta eventi programmati sono stati altrettante occasioni per ascoltare: Mohamedou Ould Slahi, ex detenuto di Guantanamo e quattordici anni di detenzione e tortura per nulla; Antoine Chao, con Alla partenza, c’è Guernica, una storia familiare e radiofonica della resistenza al fascismo; Ramla Dahmani, la sorella di un avvocato tunisino rinchiusa a causa del suo lavoro a favore dei migranti subsahariani a Tunisi; i membri del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa Alan Mitchel, Kristina Pardalos ed Elisabetta Zamparutti, intervenuta anche come esponente di Nessuno tocchi Caino.
“Appetiti”, uno splendido titolo inciso come una medaglia, con il suo dritto e il suo rovescio. Da un lato c’è la carcerazione come sollecitazione del desiderio carnivoro di politici che la propongono come LA soluzione. Un modo crudele per camuffare il rifiuto di condividere la ricchezza, il tradimento dei valori dell’accoglienza, minare la giustizia. Inizia sempre imponendosi sui prigionieri di diritto comune e finisce col reprimere gli spiriti liberi. L’appetito per la reclusione favorisce il manganello che colpisce, il controllo degli individui, il passaggio dal controllo sui loro corpi al controllo sulle loro menti. Da un altro lato, c’è l’incontro di persone che hanno trascorso molto tempo in prigione o in un reparto psichiatrico e che frequentano o si occupano di carcere. Sono coloro che manifestano fame di resilienza, filosofia, fraternità, apprendimento, buon cibo e ci aiutano a comprendere il loro percorso. La differenza risiede proprio in questo punto, cosà ¬ ben definito da Stig Dagerman, sensibile scrittore e anarchico svedese: “Il mio potere è formidabile finché riesco a opporre la forza delle mie parole a quella del mondo, perché chi costruisce prigioni si esprime meno bene di chi costruisce la libertà”.
Restano da immaginare le prospettive, quelle dello svolgimento degli Incontri, che non hanno interesse alla massificazione nella loro culla d’origine ma la cui espansione deve essere pensata verso altre città e altri paesi. Perché non un giorno a Ginevra, Bruxelles, Roma? Coloro che non hanno il coraggio di sognare non hanno la forza di combattere!

* La concertina è uno strumento musicale a fiato, simile alla fisarmonica. Ha dato il suo nome al filo spinato che arrotolato in grandi bobine che possono espandersi come lo strumento. Questo filo è diventato il simbolo del confinamento.



ARABIA SAUDITA: GIUSTIZIATO PER TRAFFICO DI DROGA
Il Ministero dell'Interno dell'Arabia Saudita ha annunciato il 13 luglio 2025 l’avvenuta esecuzione di un uomo nella provincia della Mecca, dopo la sua condanna per un secondo reato di traffico di droga.
In un comunicato ufficiale pubblicato dall'Agenzia di Stampa Saudita, il Ministero ha identificato il giustiziato come Mansour bin Saad bin Ayyad Al-Harthy, cittadino saudita.
Era stato condannato per traffico di pillole di anfetamine e hashish.
A seguito di un'indagine, l’uomo era stato incriminato e deferito al tribunale speciale, che ha ritenuto le accuse fondate e lo ha condannato a morte per ta'zir.
Nella legge islamica, ta'zir si riferisce alla punizione per reati a discrezione del giudice (Qadi) o del sovrano.
Il Ministero ha osservato che il verdetto è diventato definitivo dopo l'appello e la conferma da parte della Corte Suprema. Successivamente è stato emesso un ordine reale per l'esecuzione della sentenza capitale.
L'Arabia Saudita è costantemente classificata tra i Paesi che maggiormente praticano la pena di morte.
Sebbene vi sia stata una moratoria di fatto sulle esecuzioni per reati di droga tra gennaio 2021 e novembre 2022, questa è stata bruscamente revocata senza una spiegazione ufficiale. Da allora, organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Reprieve hanno segnalato un aumento significativo di tali esecuzioni, con il 2024 che ha registrato un numero record di esecuzioni e il 2025 sulla buona strada per superarlo.
Questi gruppi criticano frequentemente l'Arabia Saudita per il suo ricorso alla pena di morte per reati di droga non violenti, sostenendo che ciò violi lo standard del diritto internazionale sui diritti umani secondo cui la pena capitale dovrebbe essere riservata solo ai "reati più gravi", che riguardano l'omicidio intenzionale.
(Fonte: Royanews, 14/07/2025)



FLORIDA (USA): MICHAEL BERNARD BELL GIUSTIZIATO
Michael Bernard Bell, 54 anni, nero, è stato giustiziato il 15 luglio in Florida.
E’ stato dichiarato morto alle 18:25 dopo aver ricevuto un'iniezione letale nella prigione statale di Starke.
Bell era stato condannato a morte il 2 giugno 1995 per un duplice omicidio commesso il 9 dicembre 1993. Quella notte aveva ucciso Jimmy West, 22 anni, e Tamecka Smith, 18 anni, fuori da un locale, nell'auto che credeva fosse quella dell'assassino di suo fratello.
I pubblici ministeri hanno affermato che Bell aveva giurato pubblicamente di vendicare suo fratello, Lamar Bell, e che aveva pianificato il delitto per mesi. Lamar Bell era stato ucciso pochi mesi prima, a giugno, da Theodore Wright, che non era stato arrestato perchè la polizia aveva ritenuto fondata la sua affermazione di aver agito per legittima difesa.
A dicembre, Bell aveva individuato, parcheggiata all'esterno di un locale, la Plymouth gialla che Wright era solito guidare, quindi aveva chiamato altri due amici e si era armato di un AK-47, e dopo un appostamento aveva aperto il fuoco sulla giovane coppia che era salita in macchina. West e Smith non avevano alcuna responsabilità nella morte di suo fratello, poiché Wright aveva venduto l'auto a West, suo fratellastro. West morì sul posto, Smith mentre veniva trasportata in ospedale, mentre un terzo passeggero, una donna, riuscì a fuggire illesa. Bell, prima di fuggire, aprì anche il fuoco su un gruppo di persone che stava guardando.
Fu arrestato più tardi quello stesso anno, e gli furono attribuiti anche altri 3 omicidi. Il 25 settembre 1989 aveva ucciso a colpi di pistola una donna, Lashawn Cowart, e suo figlio Travis di due anni. Il 19 agosto 1989 aveva anche ucciso Michael Johnson, il fidanzato di sua madre, secondo le autorità.
“Grazie per non avermi lasciato passare il resto della mia vita in prigione”, ha detto Bell quando un funzionario del Dipartimento di Correzione gli ha chiesto se voleva fare un'ultima dichiarazione.
Bell è l'ottavo detenuto nel braccio della morte della Florida giustiziato quest'anno, il 114° in totale da quando lo Stato ha ripreso le esecuzioni capitali nel 1979, la 26° persona giustiziata negli Stati Uniti quest'anno e la 1.632° in totale da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni nel 1977.
(Fonte: jacksonville.com, 15/07/2025)



AFGHANISTAN: DUE PERSONE FRUSTATE IN PUBBLICO A KABUL E GHAZNI
I Talebani hanno frustato nei giorni scorsi due persone, tra cui una donna, nelle province di Kabul e Ghazni, ha riportato il sito KabulNow l'11 luglio 2025.
Secondo la Corte Suprema dei Talebani, una donna a Kabul è stata condannata a 39 frustate e a un anno di carcere il 7 luglio per "fuga da casa e adulterio".
In un comunicato distinto, la Corte ha affermato che un'altra persona, il cui genere non è stato specificato, è stata frustata 30 volte nel distretto di Jaghori, nella provincia di Ghazni, l'8 luglio, dopo essere stata riconosciuta colpevole di "adulterio". Anche questa persona è stata condannata a un anno di carcere.
Gli episodi rientrano nel numero crescente di fustigazioni pubbliche praticate dal regime talebano.
A giugno, più di 80 persone, tra cui diverse donne, sono state frustate pubblicamente in tutto il Paese.
Da quando, nel 2021, i Talebani sono tornati al potere in Afghanistan, almeno 10 uomini sono stati giustiziati pubblicamente per omicidio.
Le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani hanno condannato queste punizioni come crudeli e in violazione del diritto internazionale, esortando i Talebani a porre fine a tali pratiche.
(Fonte: KabulNow, 11/07/2025)



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