NESSUNO TOCCHI CAINO - NESSUN RISCATTO PER LE NOSTRE CARCERI, SENZA UNA RIVOLUZIONE ARCHITETTONICA COPERNICANA E COSTITUZIONALE DELLA PENA

 

NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM

Associazione Radicale Nonviolenta
Transnazionale Transpartitica

Anno 25 - n. 25 - 12-07-2025

LA STORIA DELLA SETTIMANA

NESSUN RISCATTO PER LE NOSTRE CARCERI, SENZA UNA RIVOLUZIONE ARCHITETTONICA COPERNICANA E COSTITUZIONALE DELLA PENA

NEWS FLASH

1. QUELLA INNOCENTE EVASIONE ANCHE DELLA PAROLA CHE IN CARCERE SI VUOLE IMPEDIRE PER ‘MOTIVI DI SICUREZZA’
2. CARCERI: LABORATORIO NESSUNO TOCCHI CAINO A REBIBBIA PER LIBERAZIONE ANTICIPATA
3. ARABIA SAUDITA: GIUSTIZIATI PIÙ DI 100 STRANIERI DA INIZIO ANNO
4. IRAN: 76ª SETTIMANA DELLA CAMPAGNA ‘MARTEDÌ DEL NO ALLE ESECUZIONI’




NESSUN RISCATTO PER LE NOSTRE CARCERI, SENZA UNA RIVOLUZIONE ARCHITETTONICA COPERNICANA E COSTITUZIONALE DELLA PENA
Cesare Burdese

Recentemente, ho visitato insieme a Nessuno tocchi Caino e alle Camere penali liguri le carceri di Genova-Pontedecimo, Sanremo e Genova-Marassi. Al di là di compiere un’opera di misericordia corporale laica, entro in carcere per constatare le condizioni delle strutture detentive e della vita al loro interno, da molti decenni oggetto del mio impegno di architetto. Quello che ogni volta mi appare è il risultato plastico di azioni che hanno nel tempo contribuito a configurare uno scenario materiale detentivo contraddittorio e negativo, fuori dal dettato costituzionale. Su tutto prevale la disumanità delle soluzioni architettoniche per rispondere al bisogno legittimo di contenere in sicurezza esseri umani che, privati della loro libertà, per un periodo di tempo limitato o per sempre, scontano una pena disumana. In nessun caso i valori fondanti dell’architettura appartengono ai nostri edifici carcerari, frutto di una progettistica insensibile ai temi della qualità e al benessere ambientale. A questo si assomma un degrado edilizio generalizzato per la cronica mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria.
I nostri edifici carcerari rimandano a una concezione afflittiva della pena che umilia e penalizza quanti il carcere a vario titolo lo frequentano. Il tutto è condito da un tasso di sovraffollamento che limita il pieno esercizio delle attività trattamentali, già di per sé penalizzato dalla carenza di spazi. Il risultato finale sono condizioni di vita e di lavoro al limite dell’inciviltà e lontane dall’esecuzione penale della riforma e delle raccomandazioni di organismi internazionali o nazionali.
Nelle tre carceri visitate, chi più chi meno, l’ambiente materiale è sconfortante: per i muri scrostati e malsani; per i letti ammassati nelle celle; per le finestre che oltre la fila di sbarre sono schermate da una fitta rete metallica e a volte (come a Pontedecimo) anche sigillate da pannelli di plexiglas che impediscono la vista; per gli spazi detentivi all’aperto carenti e per i cortili dell’aria completamente privi verde; per le docce che funzionano a intermittenza e per l’acqua potabile che scarseggia; per la mancanza negli ambienti di vita e di lavoro di luce naturale, di ventilazione e di accorgimenti per gestire il rumore.
Ulteriori significative criticità si rilevano per la localizzazione degli Istituti di Sanremo e di Genova Pontedecimo. Il primo è collocato in una valle impervia, tra un cimitero e una discarica, distante parecchi chilometri dal centro abitato e malissimo servito dai mezzi pubblici. Il che costringe i parenti dei detenuti in visita, se privi di auto propria, all’uso del taxi con costi significativi. Il secondo si colloca in un’area marginale della città, con una strada di accesso fortemente in salita, che causa disagio e difficoltà ai visitatori, in particolare se anziani o disabili. Tali circostanze riducono il poco margine di relazione esistente con il contesto sociale di appartenenza, limitando, se non addirittura annullando, le opportunità per un percorso vero di risocializzazione delle persone detenute. Nel carcere ottocentesco di Genova Marassi, un istituto inserito in pieno contesto urbano, il problema endemico del sovraffollamento vanifica i pur buoni rapporti dell'Istituto con l’esterno testimoniati dalle molte attività trattamentali realizzate con la collaborazione della società civile, ma che potrebbero essere ancora maggiori se non esistesse una ridotta disponibilità di spazi. Nota dolente è l’impossibilità ovunque in Liguria, ancora per mancanza di spazio, di dare corso alla ormai famigerata sentenza della Corte Costituzionale in tema di affettività in carcere.
Realisticamente, rimedi di natura architettonica non sono possibili visti i limiti culturali, amministrativi ed economici da sempre presenti. La connotazione architettonica del nostro carcere, da un lato, lo stato di conservazione, dall’altro, condanneranno a lungo l'esecuzione penale a essere di fatto incostituzionale e indegna. La questione architettonica non è risolvibile se non con l’avvento improbabile di una rivoluzione copernicana nella nostra progettistica carceraria; lo stato dei fabbricati potrebbe essere migliorato destinando maggiori risorse per la manutenzione e ristrutturazione.
In questi torridi giorni estivi, si susseguono da più parti gli appelli alle più alte cariche dello Stato per la situazione delle carceri. Il Presidente della Repubblica e il Presidente del Senato hanno riconosciuto le drammatiche condizioni di detenzione. Il rischio dell’Italia di subire una ulteriore condanna da parte della Corte europea dei diritti umani è elevato. Per questo, Rita Bernardini ha ripreso lo sciopero della fame di dialogo rivolto innanzitutto al Parlamento perché prima di andare in ferie faccia il suo dovere: affrontare la questione del sovraffollamento carcerario che è la causa primaria delle condizioni inumane e degradanti di vita dei detenuti e di lavoro dei detenenti.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

QUELLA INNOCENTE EVASIONE ANCHE DELLA PAROLA CHE IN CARCERE SI VUOLE IMPEDIRE PER ‘MOTIVI DI SICUREZZA’
Fabio Falbo

In un silenzio totale e senza difesa alcuna, quello che accade nelle carceri e di rispecchio nella società libera, non ha niente di ordine o sicurezza. Stiamo assistendo a quella censura velata che ostacola la libertà d’espressione non solo delle persone detenute. La nonviolenza è condannata in nome di una legge fatta a proprio piacimento. Più che mai deve essere vero che il fine giustifichi i mezzi e che la violenza sia levatrice della storia. Una storia scritta dal più forte che non ha letto il saggio di Lev Nikolaevic Tolstoj “Il regno di Dio è in voi”, che espone la dottrina della «non-resistenza al male per mezzo del male».
In carcere può succedere che tu sia isolato per circa 5 mesi nel reparto “per motivi di sicurezza”, con ciò privando la persona del diritto allo studio anche universitario. Può accadere che tu sia scelto dal Cappellano di Rebibbia per consegnare il dono a Papa Francesco in occasione dell’apertura della Porta Santa ma tu venga bloccato da chi non ha il potere a farlo visto che la Casa del Signore non è un luogo carcerario, anche se la stessa è ubicata in carcere. Per “motivi di sicurezza” non si è tenuto conto del Papa, dei Cardinali, del Vescovo e dei Cappellani che non solo hanno il governo assoluto sulla propria casa ma hanno scelto una persona affidabile che non ha mai tradito la fiducia nei suoi 20 anni di detenzione e di osservazione accurata. È consuetudine che gli articoli giornalistici scritti da persone detenute che svolgono un’opera trattamentale e non d’intrattenimento, non possano essere firmati con nome e cognome. Si assiste increduli e impotenti all a soppressione della presentazione del libro dell’Emerito Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato e dell’ex responsabile comunicazione della Corte costituzionale Donatella Stasio. Succede anche d’impedire a una persona detenuta da oltre 30 anni e attualmente nel carcere di Spoleto la pubblicazione del suo ultimo libro, il precedente era stato pubblicato con la Casa Editrice Castelvecchi. Nel rispetto della legge che deve fare il suo corso, si assiste increduli a come alcuni Cappellani, Suore, Psicologi o operatori in genere siano indagati. “Forse” perché hanno criticato il “sistema” e quindi il “codice del silenzio”? Il tempo sarà galantuomo per questi operatori che si crede non hanno mai tradito la fiducia nelle istituzioni.
Quello che succede in carcere succede nella società libera, ‘‘per motivi di sicurezza” sono vanificati diritti fondamentali. Purtroppo il carcere è uno specchio, spesso si giudicano le persone carcerate e i loro familiari, ma tale giudizio si estende sulla società libera che consapevole o meno, del carcere, riflette pregi e difetti. Non si vuole capire che più le “voci di dentro” vengono silenziate e più si screditerà un qualunque Stato di diritto. Queste sono voci che evadono per incontrare chi non conosce questi luoghi che fanno parte di tutta la comunità. Anche perché la voce della persona detenuta non è un pericolo, è un diritto, è un bene, è un atto di libertà. Basti pensare che nel carcere tutto è limitato: lo spazio, il tempo, i gesti. Ma con tutto ciò, c’è qualcosa che può ancora attraversare le barriere fisiche e simboliche: la voce, che non teme abusi che non hanno niente di diritto o di sicurezza. Proprio perché è una voce che racconta, che r iflette, che sogna e che è innocente. È la voce che non evade per fuggire, ma evade per farsi ascoltare. Le nostre parole che nascono da un luogo chiuso e arrivano fuori, sono una forma di resistenza al male per mezzo del bene, una prova di umanità, una richiesta di giustizia. Non zittitele, non temetele, viceversa, ascoltatele. Perché una società che sa ascoltare chi è recluso è una società che non ha paura della verità. La parola è l’unica evasione che non va fermata, va accolta, amplificata e protetta. Si ricorda che l’unica restrizione legittima è la privazione della libertà, ogni altro diritto negato, conculcato con il pretesto “sicurezza”, è un’offesa alla dignità della persona detenuta. Non è consentito, né al legislatore né all’amministrazione, di togliere insieme alla libertà la dignità e la speranza. In questi 20 anni di carcere ho capito che più mi censurano e più volo in alto dove tira più vento, lo stesso vento che non spira in un carce re dove sono ammassate persone come fossero cose.



CARCERI: LABORATORIO NESSUNO TOCCHI CAINO A REBIBBIA PER LIBERAZIONE ANTICIPATA
Il prossimo 'Laboratorio Spes contra spem', che da oltre otto anni e con cadenza mensile Nessuno tocchi Caino anima nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, si svolgerà sabato, 12 luglio, dalle 10 alle 12:30, nel reparto G8, e sarà interamente dedicato alla questione del sovraffollamento. Alla fine del Laboratorio, verso le 13:30, i partecipanti terranno una conferenza stampa davanti all’ingresso principale dell’Istituto di Via Majetti.
Oltre ai dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Presidente, Sergio D’Elia, Segretario, ed Elisabetta Zamparutti, Tesoriera, parteciperanno iscritti all’Associazione e parlamentari di quasi tutti i gruppi politici, tra i quali Roberto Giachetti (Italia Viva), Walter Verini (Partito Democratico), Marco Scurria (Fratelli d’Italia), Simonetta Matone (Lega), Tommaso Calderone (Forza Italia), Andrea Orsini (Forza Italia), Valentina Grippo (Azione) e Benedetto Della Vedova (Più Europa).
Nel Laboratorio del 12 luglio, alla presenza dei detenuti, si discuterà in particolare della proposta di legge di Nessuno tocchi Caino sulla Liberazione anticipata speciale, presentata alla Camera da Roberto Giachetti e recentemente ripresa e rilanciata dal Presidente del Senato Ignazio La Russa che ha annunciato l’invio di un suo messaggio ai partecipanti al Laboratorio di Rebibbia.
A sostegno di questa proposta, Rita Bernardini ha ripreso lo sciopero della fame di dialogo con chi ha il potere-dovere di intervenire, a partire dal Parlamento che negli intenti di Nessuno tocchi Caino “potrebbe su questo registrare la più ampia convergenza politica, essendo una misura non tanto di clemenza quanto di buon governo della grave emergenza in atto che è causa di gravi sofferenze non solo per le persone private della libertà, ma anche per tutti gli operatori, a partire dagli agenti della polizia penitenziaria”.
(Fonte: Adnkronos, 10/07/2025)



ARABIA SAUDITA: GIUSTIZIATI PIÙ DI 100 STRANIERI DA INIZIO ANNO
L'Arabia Saudita ha giustiziato due cittadini etiopi il 10 luglio 2025, portando il numero di stranieri giustiziati quest'anno nel Regno a oltre 100.
I due sono stati giustiziati per reati di droga, ha dichiarato il Ministero degli Interni di Riad, portando il numero di stranieri giustiziati dall'inizio dell'anno ad almeno 101, sulla base di un conteggio tenuto dalla AFP.
"Khalil Qasim Muhammad Omar e Murad Yaqub Adam Siyo, entrambi di nazionalità etiope, sono stati giudicati colpevoli di traffico di hashish", si legge nel comunicato pubblicato dall'Agenzia di Stampa Saudita.
"Dopo il deferimento al tribunale competente, è stato emesso un verdetto di conferma delle accuse a loro carico e di condanna a kmorte".
In totale, 189 persone sono state finora giustiziate in Arabia Saudita nel 2025, secondo l’AFP, tra cui 88 sauditi.
Nel 2024, il traguardo delle 100 esecuzioni di stranieri era stato superato nel Paese solo a novembre.
Secondo un precedente conteggio dell'AFP, almeno 338 persone sono state giustiziate lo scorso anno, rispetto alle 170 del 2023 e alle 196 del 2022.
(Fonte: AFP, 10/07/2025)



IRAN: 76ª SETTIMANA DELLA CAMPAGNA ‘MARTEDÌ DEL NO ALLE ESECUZIONI’
Martedì 8 luglio 2025 si è svolta la 76ª settimana della campagna di protesta “Martedì del No alle esecuzioni”, con la partecipazione di detenuti in 47 prigioni in tutto il Paese.
Il testo completo della dichiarazione per la 76ª settimana della campagna è il seguente:
“La campagna “Martedì del No alle esecuzioni” continua nella sua 76ª settimana in 47 prigioni.
“Non lasciamoci intimidire; difendiamo il diritto alla vita dei nostri concittadini”.
Iniziamo con il rendere omaggio alla memoria di coloro che hanno perso la vita nella rivolta studentesca del luglio 1999. Sebbene brutalmente repressa, quella rivolta ha gettato le basi per le proteste che sono seguite nel 2009, 2017, 2019 e 2022, e continuerà fino a quando il popolo non otterrà la libertà e rivendicherà il proprio diritto all'autodeterminazione.
I membri della campagna esprimono la loro profonda preoccupazione e la loro crescente indignazione per la nuova ondata di esecuzioni e l’intensificarsi della repressione statale in tutto il Paese. Dall'inizio del mese di Tir (22 giugno 2025), almeno 24 persone sono state giustiziate in Iran, portando il numero totale delle esecuzioni dall'inizio dell'anno 1404 (21 marzo 2025) a 428. Queste cifre terribili riflettono solo una parte delle violazioni diffuse e sistematiche dei diritti umani in Iran.
Oltre alla nuova ondata di esecuzioni, questa settimana si sono verificati ulteriori episodi di violenza mortale e repressione, tra cui l'uccisione di due giovani uomini a Hamedan da parte delle forze statali e un attacco armato contro alcune donne nel villaggio di Gonich, vicino a Khash, che ha provocato la morte di due donne del luogo. Si tratta di chiari esempi della natura misogina del regime, della sua paura delle proteste popolari e dei suoi tentativi di intimidire la società.
In questo contesto, il 4 luglio 2025, la signora Mai Sato, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, ha lanciato un severo monito riguardo allo sfruttamento dei conflitti regionali da parte del governo iraniano come pretesto per reprimere le minoranze etniche e religiose e i dissidenti politici. Ha sottolineato l'urgente necessità di salvaguardare i diritti fondamentali di tutti i cittadini sulla base del diritto internazionale e ha accusato il governo iraniano di continuare la repressione sistematica.
I membri della campagna “Martedì del No alle esecuzioni” condannano inoltre con forza la condanna a morte di cinque detenuti politici curdi – Rezgar Beigzadeh Babamiri, Pejman Soltani, Sooran Ghasemi, Kaveh Salehi e Teyfour Salimi Babamiri – arrestati durante la rivolta del 2022. Queste sentenze inumane, pronunciate senza un processo equo, portano a un totale di 12 condanne a morte per queste cinque persone.
Questa campagna invita la comunità internazionale, le organizzazioni per i diritti umani e le persone libere e consapevoli a non rimanere in silenzio di fronte alla difficile situazione dei detenuti con doppia cittadinanza, come Ahmadreza Djalali, che è stato rapito in modo disumano dalle forze di sicurezza la notte dell'attentato alla prigione di Evin e, dopo anni di prigionia, è ora a rischio imminente di esecuzione in base a una sentenza medievale. Esortiamo tutti a resistere ai tentativi di intimidazione del regime e a difendere con fermezza il diritto alla vita di tutti i cittadini e dei detenuti condannati a morte.
La campagna esorta inoltre tutte le istituzioni e gli attivisti per i diritti umani a intensificare i loro sforzi per chiarire lo status dei detenuti, chiedere l'accesso alle prigioni e cercare un dialogo diretto con i prigionieri politici. Le rivelazioni fatte dai prigionieri politici esiliati nella prigione di Greater Tehran e nella prigione di Qarchak rivelano solo una parte delle condizioni disumane che prevalgono nelle prigioni iraniane. Se questo è lo stato delle prigioni nella capitale, la situazione in altre strutture, in particolare per i detenuti comuni e meno noti, non può che essere peggiore.
Chiediamo l'immediata revoca di tutte le condanne a morte in Iran e crediamo fermamente che il popolo iraniano, in solidarietà con le altre nazioni oppresse, continuerà su questa strada di resistenza e perseveranza fino alla vittoria e alla liberazione.”
La dichiarazione si chiude con l’elenco delle 47 prigioni i cui detenuti sono in sciopero della fame martedì 8 luglio, nella 76ª settimana della campagna.
(Fonte: Iran HRM)



I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA




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