NESSUNO TOCCHI CAINO - IL CORPO DEI DETENUTI, IL NOSTRO CORPO PER UN CARCERE UMANO
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 32 - 04-10-2025 |
LA STORIA DELLA SETTIMANA IL CORPO DEI DETENUTI, IL NOSTRO CORPO PER UN CARCERE UMANO NEWS FLASH 1. IL CONTRIBUTO CHE LA MAGISTRATURA, VIOLANDO LA LEGGE, DÀ AL SOVRAFFOLLAMENTO 2. COREA DEL NORD, DOVE SOLO GUARDARE UN FILM COMPORTA UN RISCHIO MORTALE 3. IRAN: 187 ESECUZIONI A SETTEMBRE (195 SECONDO NESSUNO TOCCHI CAINO), IL NUMERO PIÙ ALTO IN VENT'ANNI 4. TENNESSEE (USA): L'AUTOPSIA RIVELA IL MOTIVO DELLA DOLOROSA ESECUZIONE DI BYRON BLACK IL CORPO DEI DETENUTI, IL NOSTRO CORPO PER UN CARCERE UMANO SCIOPERO DELLA FAME A STAFFETTA La nonviolenza non si arresta, anzi si rafforza proprio ora che la popolazione carceraria ha superato le 63.000 unità, a fronte di una capienza regolamentare inferiore di ben 16.000 posti. In queste condizioni, il rispetto della legalità e della Costituzione viene gravemente compromesso. Nessuno tocchi Caino invita tutti coloro che leggono questo messaggio ad aderire allo sciopero della fame a staffetta, promosso dagli avvocati Valentina Alberta e Maria Brucale, insieme ai magistrati Stefano Celli e Marta Zavatta. Questo sciopero collettivo raccoglie il testimone da Rita Bernardini, che per 30 giorni – durante la pausa estiva dei lavori parlamentari – ha portato avanti il suo digiuno, per denunciare il colpevole silenzio delle istituzioni di fronte alla drammatica realtà vissuta da detenuti e operatori penitenziari. Nel frattempo, il numero dei suicidi tra i detenuti è salito a 65. Più in basso il testo dell’appello con le indicazioni per aderire (anche per un solo giorno) allo sciopero della fame. “50 anni fa il Parlamento varava il nuovo ordinamento penitenziario, iniziando l’attuazione della pena come disegnata dalla Costituzione. Una base solida sulla quale, grazie a una visione strategica e illuminata, si è innestata la riforma Gozzini, che con strumenti ideati e progressivamente ampliati ha condotto a uno straordinario abbattimento della recidiva. La realtà, purtroppo, non si fa carico di celebrare ricorrenze e attuare buone idee e così il 31 agosto, nelle carceri italiane, ci sono 63.167 detenuti, il 140% della capienza effettiva. La situazione è sempre più drammatica e mentre scriviamo dobbiamo aggiornare il conto dei suicidi: 61 dall’inizio dell’anno. Eppure ci sono soluzioni possibili, anche nell’immediato. Una parte della politica ha finalmente cominciato a considerare la necessità di interventi rapidi, primo fra tutti il progetto di legge Giachetti sull’ampliamento temporaneo della liberazione anticipata, accanto a ragionamenti a medio e lungo termine. Rita Bernardini ha ripreso lo sciopero della fame dal 20 agosto e proseguirà sino alla ripresa dei lavori parlamentari, il 10 settembre. Dal giorno dopo intendiamo raccogliere il testimone di una protesta non violenta che proseguirà sino a che il numero di persone detenute non sarà adeguato agli standard di minima civiltà che oggi mancano. Intendiamo replicare l’iniziativa lanciata l’8 luglio, alla quale hanno aderito 500 persone, di digiuno a staffetta. Ciascun aderente, nel giorno liberamente scelto, si impegna a non assumere cibi solidi. Chiediamo innanzitutto a chi ha già partecipato alla nostra iniziativa di aderire nuovamente e convincere, ciascuno, altre nove persone. È una sfida per arrivare dall’insperato numero di 500 adesioni a quello di 5000. E’ importante supportare un’iniziativa che, nuovamente, attende il segnale di un provvedimento prioritario rispetto a qualsiasi altro, che possa alleviare le sofferenze e disagi gratuiti per chi vive e lavora nelle carceri. Per aderire scrivete una mail a peruncarcereumano@gmail.com, indicando nome cognome e professione, nonché un giorno di adesione a partire dall’11 settembre e almeno sino alla fine di ottobre." Valentina Alberta e Maria Brucale, avvocati, Stefano Celli e Marta Zavatta, magistrati NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH IL CONTRIBUTO CHE LA MAGISTRATURA, VIOLANDO LA LEGGE, DÀ AL SOVRAFFOLLAMENTO Oliviero Mazza* Quali sono le cause della drammatica situazione carceraria italiana, che vede in costante aumento tanto il sovraffollamento quanto il numero dei suicidi a esso certamente correlati? Quesito impegnativo, al quale è difficile dare risposta univoca. Si potrebbe fare riferimento al sempiterno e massiccio ricorso alla custodia cautelare, alle politiche penali sempre più repressive, che fanno registrare vertiginosi aumenti di pena oltre a nuove incriminazioni, ai reati molto diffusi, come quelli in materia di stupefacenti, per i quali si è scelta la sola risposta punitiva carceraria, ai tempi dei processi, alla mancanza di alternative reali al carcere, al fallimento della rieducazione e alla conseguente recidiva, alle ostatività, all’innalzamento dei minimi edittali, per finire con i criteri bloccanti nel calcolo della pena. Si tratta solo di spunti, ma servono per comprendere come nel discorso pubblico non si faccia mai cenno all’atteggiamento della magistratura. Eppure, i giudici, e non solo quelli di sorveglianza, hanno concretamente nelle loro mani le chiavi del carcere. È quindi legittimo, e addirittura doveroso, denunciare le responsabilità della magistratura non tanto nella causazione diretta del fenomeno del sovraffollamento, quanto nella omissione di quegli interventi, doverosi o discrezionali, che potrebbero quantomeno alleviare la situazione attuale. Nell’immediato e a legislazione invariata, la magistratura potrebbe operare una formidabile supplenza della inerte politica, secondo uno schema già praticato e predicato in passato in settori dell’ordinamento meno rilevanti di quello penitenziario. I giudici potrebbero, in tempi rapidissimi e senza attendere improbabili risposte legislative clemenziali, incidere sia nella fase di cognizione, grazie a una più ragionevole dosimetria sanzionatoria che guardi anche alle ricadute nella fase esecutiva, sia nel procedimento di sorveglianza, con un approccio diverso alle misure alternative alla detenzione che tenga conto del surplus di afflittività rappresentato dall’endemico sovraffollamento carcerario. Se anche l’auspicio di una supplenza della magistratura può sembrare velleitario nell’attuale contesto storico, quello che certamente risulta intollerabile è l’inosservanza delle regole vigenti in una situazione drammatica che vede la popolazione carceraria tornata ai livell i pre-Torreggiani. Segnalo al lettore, a mero titolo esemplificativo, la questione della liberazione anticipata pre-esecutiva, di fatto abrogata da prassi devianti. L’art. 656 comma 4-bis c.p.p. impone al pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, di trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza per l’eventuale applicazione della liberazione anticipata sul presofferto cautelare o in caso di fungibilità della pena. La ratio sottesa al meccanismo del comma 4-bis è quella di evitare l’inutile e dannoso ingresso in carcere di soggetti la cui esecuzione, per il residuo in concreto da espiare, al netto del riconoscimento della liberazione anticipata sul presofferto, può essere sospesa, in quanto inferiore ai limiti previsti dal comma 5, principalmente i 4 anni di detenzione dell’affidamento in prova ordinario. Ebbene, nella prassi il pubblico ministero viene meno al preciso dovere di chiedere al magistrato di sorveglianza la previa determinazione dei periodi di liberazione anticipata, emette così l’ordine di esecuzione non sospeso e chi potrebbe evitare l’ingresso in carcere, accedendo alle misure alternative da libero, si vede costretto a una permanenza in detenzione di circa un anno (questo è il tempo medio di decisione) in attesa che sia il tribunale di sorveglianza a pronunciarsi contestualmente sulla misura alternativa e sulla liberazione anticipata. Perché l’art. 656 comma 4-bis c.p.p. viene troppo spesso disapplicato? Per ragioni puramente burocratiche, perché il pubblico ministero non vuole assumersi la responsabilità del differimento dell’ordine d’esecuzione e perché il magistrato di sorveglianza, senza titolo esecutivo, non ritiene di doversi occupare del tema della liberazione anticipata. Il risultato è che da un’ingiustificabile violazione di legge deriva un non secondario contributo al sovraffollamento. Se non possiamo pretendere la supplenza della magistratura, che implicherebbe una particolare sensibilità per il tema dei diritti fondamentali dei detenuti, dobbiamo almeno far sì che vegano rispettate quelle (poche) regole che sono espressamente volte a ridurre gli accessi al carcere. * Ordinario di Procedura penale Università di Milano-Bicocca COREA DEL NORD, DOVE SOLO GUARDARE UN FILM COMPORTA UN RISCHIO MORTALE Stefano Caliciuri In Corea del Nord anche un gesto quotidiano, come guardare un film o una serie televisiva straniera, può trasformarsi in una condanna a morte. È la spietata realtà descritta da un nuovo rapporto delle Nazioni Unite che getta luce su un Paese sempre più chiuso, affamato e tenuto sotto il giogo del terrore. Coprendo i dieci anni successivi alla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite del 2014, le ultime scoperte indicano l’introduzione di ulteriori leggi, politiche e pratiche che sottopongono i cittadini a una maggiore sorveglianza e controllo in ogni ambito della vita. Dal 2015 il regime di Kim Jong Un ha introdotto anche almeno sei nuove leggi che permettono la pena di morte. Tra i reati più “pericolosi”, secondo la dittatura, c’è l’accesso a contenuti culturali provenienti dall’estero: un film sudcoreano, un dramma televisivo occidentale, persino un semplice file condiviso di nascosto tra amici. Le testimonianze raccolte dall’Onu raccontano di esecuzioni pubbliche davanti a folle terrorizzate ma obbligate ad assistere. Una giovane fuggitiva ha ricordato il processo di un suo amico, appena 23 anni, condannato a morte per aver visto contenuti sudcoreani. “Era processato insieme ai trafficanti di droga. Ora la cultura straniera è trattata come un veleno da eliminare”. Quando nel 2011 Kim Jong Un salì al potere, molti auspicavano in un futuro migliore. Il giovane leader prometteva prosperità e cibo a sufficienza, assicurando che il popolo non avrebbe più dovuto “stringere la cinghia”. Quelle speranze si sono trasformate in illusioni bruciate. Dal 2019, dopo il crollo dei negoziati con l’Occidente, il regime ha puntato tutto sul nucleare, lasciando i cittadini a fare i conti con la fame. La maggior parte degli intervistati dall’Onu ha dichiarato che mangiare tre volte al giorno è diventato un lusso. Durante la pandemia, la situazione è precipitata: intere famiglie sono morte di stenti, mentre il governo soffocava i mercati informali, unica ancora di sopravvivenza per molti. Alla fame si aggiunge il peso del lavoro coatto. Migliaia di nordcoreani, soprattutto giovani provenienti da famiglie povere, vengono arruolati in “brigate d’urto” per lavorare in miniere o cantieri, spesso senza protezioni e in condizioni letali. La morte sul lavoro non viene nascosta, ma celebrata come sacrificio eroico per la nazione. Il rapporto Onu conferma anche l’esistenza di almeno quattro campi di prigionia politica, luoghi dove il dissenso sparisce e i prigionieri vengono logorati da torture, malnutrizione e fatiche estreme. “Il governo – scrive l’Onu – ha raggiunto un controllo quasi totale sulla vita delle persone, privandole di ogni possibilità di scelta”. “Nessun’altra popolazione è soggetta a tali restrizioni nel mondo odierno”, afferma il rapporto, citando le osservazioni di un fuggitivo che ha raccontato: “Per bloccare gli occhi e le orecchie della gente, hanno rafforzato le misure repressive. Si tratta di una forma di controllo volta a el iminare anche il più piccolo segno di insoddisfazione o di protesta”. Oggi, il Paese si mostra più chiuso che in qualsiasi altro momento della sua storia, si legge nel rapporto che considera come “il panorama dei diritti umani non può essere disgiunto dal più ampio isolamento che lo Stato sta attualmente perseguendo”. Dalla chiusura delle frontiere con la Cina, scappare dalla Corea del Nord è diventato quasi impossibile. I soldati hanno perfino l’ordine di sparare a chiunque tenti di attraversare il confine. Il rapporto chiede che la situazione venga portata davanti alla Corte penale internazionale de L’Aia, accusando il regime di crimini contro l’umanità. Ma per arrivarci serve il via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove Cina e Russia continuano a bloccare ogni sanzione contro Pyongyang. Non a caso, solo qualche giorno fa, Kim Jong Un è apparso sorridente accanto a Xi Jinping e Vladimir Putin in una parata militare a Pechino: un’immagine che vale più di mille parole sul sostegno, anche tacito, di questi due giganti al suo regime. Volker Türk, Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha concluso con un monito: “I nordcoreani sono intrappolati in un sistema di paura e repressione, ma la nostra indagine mostra un forte desiderio di cambiamento, soprattutto tra i giovani”. Un desiderio che, per ora, resta soffocato dal silenzio delle armi e dal controllo asfissiante di un regime che trasforma persino un film in una minaccia mortale. IRAN: 187 ESECUZIONI A SETTEMBRE (195 SECONDO NESSUNO TOCCHI CAINO), IL NUMERO PIÙ ALTO IN VENT'ANNI L'Iran ha giustiziato almeno 187 prigionieri nel mese di settembre (195 secondo Nessuno tocchi Caino). Si tratta del numero più alto di esecuzioni capitali effettuate in un solo mese nella Repubblica Islamica negli ultimi due decenni. I 187 prigionieri giustiziati nel settembre 2025 rappresentano un aumento del 140% rispetto al settembre 2024, quando erano state registrate 78 esecuzioni. Sulla base dei dati raccolti dal Centro di statistica e documentazione dell'Organizzazione Hengaw per i diritti umani, l'identità di 181 prigionieri giustiziati è stata confermata, mentre quella di altri sei è ancora in fase di verifica. Tra le esecuzioni figurano tre prigionieri politici - Mehran Bahramian di Semirom, Babak Shahbazi di Karaj e Bahman Choubi-Asl - e due prigionieri di coscienza: Mohammad Kashfi di Bandar Khamir ed Eskandar Bazmandegan di Khur, nella provincia di Fars. Tra le persone giustiziate c'erano almeno sei donne. Tra i casi figuravano Gohar Taheri Aghdam, Zahra Fotouhi, Mehnaz Dehghani, Jeyran Zaheri e una donna non identificata, tutte condannate per omicidio, nonché Hadigheh Abadi, cittadina afghana giustiziata con l'accusa di reati legati alla droga. Nonostante la portata senza precedenti, solo otto esecuzioni - circa il 4% del totale - sono state riportate dai media statali iraniani o dai media affiliati alla magistratura. Almeno 14 prigionieri sono stati giustiziati in segreto, senza avvisare le loro famiglie o concedere loro un'ultima visita. Ripartizione etnica e nazionale Hengaw ha registrato l'esecuzione di: 35 prigionieri curdi (19%); 23 prigionieri lor (12%); 15 prigionieri turchi; 14 prigionieri baluchi; 8 prigionieri gilak; 4 prigionieri arabi; 10 cittadini afghani; 57 prigionieri fars; 21 prigionieri di etnia non confermata. Ripartizione delle accuse Quasi la metà di tutte le esecuzioni era legata a reati di droga: Prigionieri politici: 3; Prigionieri religiosi: 2; Reati legati alla droga: 92 (49%); Omicidio: 90. (Fonte: Hengaw) TENNESSEE (USA): L'AUTOPSIA RIVELA IL MOTIVO DELLA DOLOROSA ESECUZIONE DI BYRON BLACK L'autopsia ha rivelato il motivo della dolorosa esecuzione di Byron Black, giustiziato in Tennessee con un'iniezione letale il 5 agosto 2025. L’esecuzione era stata preceduta da forti polemiche perché Black era portatore di un defibrillatore che le autorità non hanno voluto venisse disattivato, esponendo così Black a possibili “tentativi di rianimazione” da parte del defibrillatore stesso. Durante l'esecuzione, Black ha emesso gemiti inaspettati e ripetuti per diversi minuti e ha detto chiaramente al suo assistente spirituale che stava soffrendo. L'autopsia, resa nota il 10 settembre 2025, fornisce alcune spiegazioni. Sono state riscontrate prove di “congestione polmonare ed edema”, definiti come un accumulo anomalo di liquido nei polmoni che può produrre sensazioni di “disperazione, panico, annegamento e asfissia”, secondo il dottor Mark Edgar, patologo e direttore dell'autopsia presso la Mayo Clinic in Florida fino alla sua morte all'inizio di quest'anno. La sofferenza del signor Black non era senza precedenti. Nel 2016, il dottor Edgar e il dottor Joel Zivot, allora entrambi alla Mayo Clinic, hanno iniziato a esaminare i referti autoptici dei prigionieri giustiziati e hanno notato che molti dei loro polmoni erano due volte più pesanti di quanto avrebbero dovuto essere. Dopo aver raccolto ulteriori dati, hanno riscontrato un edema polmonare in circa tre quarti delle persone che erano state giustiziate. Il loro lavoro ha portato nel 2020 a un'analisi della National Public Radio su oltre 200 autopsie di detenuti nel braccio della morte giustiziati con iniezione letale. Lo studio ha rilevato che l'84% mostrava segni di edema polmonare, una condizione in cui i polmoni di una persona si riempiono di liquido, creando una sensazione di soffocamento o annegamento che alcuni esperti hanno paragonato al waterboarding. I loro risultati erano coerenti indipendentemente dallo Stato che aveva eseguito l'esecuzione o dal protocollo farmacologico ut ilizzato. I risultati dell'autopsia hanno mostrato la presenza di edema polmonare nelle iniezioni letali che prevedevano l'uso di tiopentale sodico, pentobarbital, midazolam ed etomidato. Prima dell'esecuzione del signor Black, i suoi avvocati hanno segnalato che l'esecuzione con un solo farmaco, il pentobarbital, aumentava il rischio che egli soffrisse di edema polmonare, violando l'ottavo emendamento che proibisce punizioni crudeli e inusuali. Tuttavia, l'esperto dello Stato ha testimoniato nelle udienze precedenti all'esecuzione che il signor Black avrebbe perso rapidamente conoscenza sotto l'effetto del pentobarbital, entro 20 secondi. I testimoni dell'esecuzione del signor Black hanno notato che era ancora sveglio e gemeva di dolore cinque minuti dopo l'inizio dell'esecuzione, dicendo: “Fa così male”. Nonostante la pubblicazione dell'autopsia del signor Black, i suoi avvocati stanno ancora cercando ulteriori informazioni. Parlando al Nashville Banner delle domande ancora senza risposta dall'autopsia, gli avvocati hanno osservato che il rapporto “non documenta le condizioni delle vene ... e non documenta i risultati dell'ECG”. I suoi avvocati sono anche preoccupati per la somministrazione del pentobarbital, in particolare per sapere se il personale della prigione sia riuscito a individuare una vena o se abbia iniettato il farmaco nel muscolo, cosa che avrebbe causato una ferita nel punto dell'iniezione. Il team di Black ha presentato una richiesta di accesso alle informazioni al Dipartimento di Correzione del Tennessee, alla quale si aspetta una risposta entro dicembre. (Fonte: DPIC, 17/09/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |
Commenti
Posta un commento