NESSUNO TOCCHI CAINO - A FURIA DI TESTE MOZZATE A COLPI DI SPADA, L’ARABIA DI MOHAMMED BIN SALMAN DIVENTA PRIMATISTA MONDIALE DI ESECUZIONI CAPITALI
NESSUNO TOCCHI CAINO – SPES CONTRA SPEM |
Associazione Radicale Nonviolenta |
Anno 25 - n. 38 - 22-11-2025 |
| LA STORIA DELLA SETTIMANA A FURIA DI TESTE MOZZATE A COLPI DI SPADA, L’ARABIA DI MOHAMMED BIN SALMAN DIVENTA PRIMATISTA MONDIALE DI ESECUZIONI CAPITALI NEWS FLASH 1. 'È DIVENTATO NORMALE CREDERE CHE UN DETENUTO NON ABBIA PIÙ DIRITTO ALLA SALUTE' 2. XI CONGRESSO DI NESSUNO TOCCHI CAINO 3. LA 72A RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE CONDANNA LE GRAVI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN IRAN 4. USA: REPORT DELL’ACLU SUGLI ERRORI GIUDIZIARI NEI CASI CAPITALI I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA PRESENTAZIONE DEL LIBRO ‘NON GIUDICARE!’ A MOTTA SANT'ANASTASIA E ACIREALE A FURIA DI TESTE MOZZATE A COLPI DI SPADA, L’ARABIA DI MOHAMMED BIN SALMAN DIVENTA PRIMATISTA MONDIALE DI ESECUZIONI CAPITALI
Sergio D’Elia La prigione della città di Tabuk si trova nell’estremo nord dell’Arabia Saudita, ha le pareti colorate di rosa, il muro di cinta è basso, dietro il muro spicca una palma e qua e là sulla facciata si aprono piccole finestre irregolari. Se non fosse per le camionette, i blocchi di cemento e il filo spinato, non diresti che è una prigione. E che nella prigione c’è un reparto molto isolato, soprannominato “ala della morte”. Un anno fa le autorità hanno iniziato a trasferire i condannati a morte e la sezione si è subito affollata. Lì i prigionieri aspettano la fine dei loro giorni che può arrivare improvvisa ogni giorno. Nel braccio della morte l’aria è ferma, il respiro sospeso, il silenzio tombale. La prigione si anima di tetre presenze nei momenti della mietitura mortale, quando sulla piazza della moschea il boia ha già sguainato la spada per falciare le teste sul ceppo in nome di Allah. Quando i guardiani montano in sezione più numerosi del solito, le anime in pena sanno che è giunta l’ora per uno di loro. Lo squadrone della morte irrompe nella cella, a bassa voce chiama un detenuto, gli sussurra qualcosa all’orecchio e lo accompagna fuori. Alcuni scoppiano in lacrime, altri chiedono perdono, chi rimane tira un sospiro di sollievo e spera in un altro giorno di vita, in attesa della morte. Questo è il destino di centinaia di cittadini stranieri condannati a morte in Arabia Saudita per reati di droga non violenti. Non tutti sono dei narcotrafficanti internazionali, alcuni hanno accettato di portare la droga in cambio della miserabile promessa di poche centinaia di dollari. Molti erano probabilmente innocenti o ignoranti costretti a trafficare. Migranti egiziani detenuti nell’ala della morte del carcere di Tabuk hanno denunciato confessioni forzate, torture e l’impossibilità di permettersi avvocati per difendersi. Una sospensione temporanea delle esecuzioni per casi di droga, annunciata nel 2021 sotto il governo di Mohammed bin Salman, ha fatto sperare in una riforma. Con questo annuncio, il principe ereditario si è fatto bello agli occhi del mondo. Invece, il divieto è stato revocato un anno dopo, seguito da un’ondata terrificante di esecuzioni. Dall’inizio del 2024, secondo i dati condivisi da Reprieve, almeno 264 stranieri sono stati giustiziati per droga. Si trattava per lo più di persone povere, emarginate, abbandonate da dio e dagli uomini. Dal 1° gennaio al 3 novembre di quest’anno, il Regno saudita ha giustiziato altre 319 persone, di cui 219 per reati di droga non violenti, 57 per omicidio, 29 per reati di terrorismo non letali, 9 per reati letali di terrorismo, 3 per reati sessuali e 2 per stregoneria. In passato, le guardie avvisavano in anticipo i detenuti dell’imminente esecuzione, permettendo loro di fare la doccia, le abluzioni prima della preghiera, chiamare i propri cari per un ultimo saluto. Ma alcune famiglie affermano di essere state informate solo in seguito. La maggior parte dei condannati è stata sicuramente decapitata, alcuni sono stati passati per le armi di un plotone di esecuzione. Ma non c’è certezza poiché i corpi non vengono restituiti, ai parenti arriva solo un certificato di morte. Il quotidiano britannico The Guardian ha raccolto le testimonianze di famigliari di condannati a morte egiziani detenuti a Tabuk. Ahmed Younes Al-Qayed lavorava in un hotel quando fu arrestato nel novembre 2016, all’età di 32 anni, con l’accusa di traffico di droga. Nel dicembre dello scorso anno, era uno dei 33 egiziani detenuti per droga nell’ala della morte del carcere. Dopo che Mohammed bin Salman ha annunciato la sua moratoria delle esecuzioni, un avvocato d’ufficio ha comunicato alla famiglia che la sua condanna sarebbe stata commutata in ergastolo. Ahmed ha iniziato a credere di poter sopravvivere. Ma subito dopo il suo arrivo nel reparto dei condannati a morte, le esecuzioni sono iniziate. Era chiaro che nessuno sarebbe stato risparmiato. Per Ahmed, la fine è arrivata il 3 dicembre 2024, un mese dopo l’inaugurazione del braccio della morte di Tabuk. Quando la porta della cella si è aperta, il cuore dei detenuti è salito in gola. Le guardie si sono avvicinate ad Ahmed e altri due egiziani. Con calma i tre sono stati incatenati e portati al patibolo. Gli altri sono rimasti paralizzati ma ancora in vita, nella cella della morte. Ahmed è stato il primo del gruppo a morire. Dei 33 egiziani condannati a morte per traffico di droga, che erano vivi nel reparto un anno fa, 25 sono stati poi giustiziati, gli ultimi due il 21 ottobre di quest’anno. È così che, in poco tempo, l’Arabia di Bin Salman ha raggiunto un triste primato mondiale. A furia di teste mozzate a colpi di spada, il suo Regno è salito sul podio poco olimpico dei primi paesi boia al mondo. Al terzo posto, dopo la Cina e l’Iran. NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH 'È DIVENTATO NORMALE CREDERE CHE UN DETENUTO NON ABBIA PIÙ DIRITTO ALLA SALUTE' L’opera di misericordia corporale di “visitare i carcerati” e quella di “curare gli ammalati”, hanno sempre connotato l’azione di Nessuno tocchi Caino. Innanzitutto nei luoghi detti di privazione della libertà, ma che spesso sono di privazione di molto altro: affetti, salute, la stessa vita. Ne parleremo al Congresso di Nessuno tocchi Caino, il 18, 19 e 20 dicembre a Milano presso il Teatro Puntozero del Carcere Beccaria. Chiara Lenzi “Dopo gli articoli de La Stampa il rampollo della Roma bene Costacurta è finito in manette.” Così rivendica il giornale, dopo che Francesca Fagnani, in una lunga intervista su Sigfrido Ranucci, aveva deciso di citare anche Matteo che nulla ovviamente ha a che vedere con quella vicenda, parlando del suo come un caso di “impunità” e insinuando che invece di stare in carcere era in una “clinica di lusso”. Questa narrazione è stata ripresa da altre testate e nel giro di poche ore mio marito è stato portato a Regina Coeli. Quando è accaduto che il diritto alla cura per un detenuto è visto come un privilegio? O peggio: quando abbiamo accettato che un detenuto debba per forza soffrire per placare la sete di giustizia collettiva? È diventato normale credere che un detenuto non abbia più diritto alla dignità, alla salute, al rispetto. Come se la sofferenza altrui fosse uno spettacolo utile a sfogare la rabbia di chi guarda da fuori. Ma nessuno si chiede mai quanto davvero una persona possa soffrire. Matteo alla prima anca ha avuto una necrosi, uno stato che comporta dolori atroci, perdita di mobilità e un lento, inesorabile peggioramento. Si è sottoposto a due interventi complessi – non di “routine” come scrive il giornale – e la riabilitazione era parte integrante del percorso indicato dai sanitari. Curarsi, per lui, non è mai stato un privilegio: era una necessità. Si è preferito costruire un racconto di “favori” e “lusso”, ignorando la realtà più semplice: Matteo ha solo usufruito del diritto, riconosciuto da referti e perizie, sottoscritte da medici nominati dai Giudici, di essere curato in una struttura idonea, come ogni cittadino dovrebbe poter fare. La Fagnani, nella sua intervista, si chiede se un altro detenuto senza disponibilità economiche avrebbe avuto lo stesso trattamento. Invece di denunciare la carenza di assistenza sanitaria nelle carceri, la mancanza di personale, l’impossibilità per il sistema di garantire cure adeguate, ha preferito accanirsi contro Matteo. Il suo percorso riabilitativo richiede anche una piscina terapeutica, non disponibile nelle carceri, dove si curano malati; invece, in maniera allusiva, negli articoli è stata richiamata quasi fosse utilizzata per svago. Mio marito, al Nomentana Hospital, ci stava perché né il DAP né Regina Coeli hanno individuato una struttura per consentirgli tre sedute a settimana. Si scrive di “impunità” ma si tace l’ingiustizia più grande: impedirgli di guarire. Si parla di “clinica di lusso” e si ignora volutamente che il Nomentana Hospital è una struttura pubblica convenzionata. I cosiddetti “giardini all’inglese” non sono mai esistiti, e il richiamo fatto negli articoli, come se lui ci potesse passeggiare liberamente, quasi fosse in vacanza, rispetto alla situazione di un detenuto che è in terapia per poter riprendere a camminare, si commenta da solo. E così, invece di lasciar proseguire una cura a un detenuto malato, di fronte al clamore della stampa e contro il parere dei medici, hanno scelto di interrompere tutto, perché da quando è tornato a Regina Coeli il programma terapeutico non è stato rispettato. Oggi Matteo rischia di regredire nel suo processo di riabilitazione. Si insinua, si distorce, si alimenta la rabbia della gente. E mentre le parole corrono, la sofferenza resta, reale, quotidiana. Per mio marito ogni movimento è dolore, ogni notte è una sfida. I referti parlano chiaro: necrosi ossea, doppia protesi d’anca, patologie articolari. Tutto riconosciuto e certificato ma le carte non fanno notizia, il dolore non fa audience. È più semplice dipingerlo come uno che “sfugge alla giustizia” piuttosto che una persona ancora in attesa di sentenza definitiva, che non solo lotta per la sua innocenza ma anche, solo, per restare in piedi e non diventare invalido a vita. E allora mi chiedo: cos’è diventato il giornalismo? Un tribunale parallelo dove si decide chi merita umanità e chi no? Perché la vittoria, oggi, sembra essere solo quella di averlo fatto tornare in carcere, e nessuno che si chieda se riesca a camminare, se provi dolore, se stia peggiorando. Ma non c’è vittoria nella sofferenza di un uomo. Non c’è soddisfazione nel dolore di chi già paga. Matteo non chiede favoritismi, chiede solo di poter guarire. Io, come moglie, chiedo solo che si torni a guardare le persone, non le etichette. Perché dietro ogni nome c’è una storia, una vita, una famiglia. E nessuna storia merita di essere trasformata in un titolo crudele. XI CONGRESSO DI NESSUNO TOCCHI CAINO Ti invitiamo a partecipare al XI Congresso di Nessuno tocchi Caino che si svolgerà nei giorni 18, 19 e 20 dicembre 2025 presso il Teatro Puntozero del Carcere Minorile Cesare Beccaria di Milano, in Via Dei Calchi Taeggi 20. La scelta del luogo ha per noi un alto valore simbolico. Per la visione del carcere che ci appartiene, è anche un modo di contribuire al dialogo, alla convivenza civile e alla cura, anche delle ferite che possono crearsi in quella che comunque rimane per noi una “comunità” non solo di detenuti, ma anche di “detenenti”, come Marco Pannella usava dire. Inizieremo i lavori nel primo pomeriggio del 18, li continueremo per tutto il 19 e li chiuderemo nel primo pomeriggio del 20 dicembre. Abbiamo previsto tre sessioni di dibattito generale sui seguenti temi: · “Morte per pena: Non solo privazione della libertà” · “I luoghi della pena: Visitare i carcerati” · “La fine della pena: Non giudicare!” È prevista anche una sessione di dibattito dal titolo “Quando Prevenire è peggio che Punire”. Sono questi i temi che hanno connotato l’iniziativa di Nessuno tocchi Caino fin dalla sua fondazione oltre trent’anni fa e che non ha avuto mai sosta. Negli ultimi tre anni, in particolare, insieme alle Camere penali, a Sindaci e amministratori locali, ai Garanti dei detenuti e, sempre più spesso, anche a Magistrati requirenti e giudicanti, Nessuno tocchi Caino ha fatto oltre 300 visite agli Istituti. Con la nostra opera laica di “visitare i carcerati” e i nostri Laboratori “Spes contra spem”, abbiamo cercato – nei momenti e nei luoghi in cui è facile prevalgano violenza e disperazione – di far vivere il metodo “rivoluzionario” della nonviolenza e la forza liberatrice della speranza. Comunicaci la tua partecipazione al Congresso e, almeno una settimana prima, invieremo l’ordine dei lavori. Se non lo hai ancora fatto, ti chiediamo di iscriverti per partecipare al Congresso anche con la tessera di Nessuno tocchi Caino – Spes contra spem. Ti aspettiamo!! Un caro saluto, Rita Bernardini – Presidente Sergio D’Elia – Segretario Elisabetta Zamparutti – Tesoriera Tel 335 8000577 – email: e.zamparutti@gmail.com ISCRIZIONE A NESSUNO TOCCHI CAINO (almeno 100 euro) · Bollettino postale: intestato a Nessuno tocchi Caino, C/C n. 95530002 · Bonifico bancario: intestato a Nessuno tocchi Caino, IBAN IT22L0832703221000000003012 · PayPal: attraverso il sito a questa pagina www.nessunotocchicaino.it/ · Con carta di credito telefonando al 335 8000577 N.B. I contributi a Nessuno tocchi Caino sono deducibili dalle tasse in base al D.P.R. 917/86 5x1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO · Firma nel riquadro “Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale” · E riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587 TEATRO PUNTOZERO BECCARIA · Dove si trova Il Teatro Puntozero Beccaria si trova in Via dei Calchi Taeggi 20, all’interno dell’Istituto Penale Minorile “C. Beccaria” di Milano. Ma con ingresso autonomo per il pubblico – portone bianco a sinistra dell’ingresso principale. Apri in Google Maps · Come raggiungerlo Metro: M1 – Bisceglie (poi 4 min a piedi) Bus: linee 63 – fermata “Beccaria” (10 min a piedi) Auto: Ampio parcheggio su strada nei pressi dell’Istituto. Libero dopo le 19. · Indirizzo & contatti Teatro Puntozero Beccaria Via dei Calchi Taeggi 20 – 20152 Milano (MI) Tel. 340 8036703 info@puntozeroteatro.org http://www.puntozeroteatro. · Controlli e accessibilità Per gli eventi pubblici si accede normalmente come in un teatro cittadino. La sala si trova al secondo piano senza ascensore. È dotata di un montascale compatibile con alcuni modelli di carrozzine. Chiama il 340 8036703 per verificare la compatibilità. · Pernottamento Opzioni da perfezionare in base alle proprie esigenze, prenotando online, telefonando alla struttura o tramite Booking Amedia Hotel Milano **** Indirizzo: Via Bisceglie 96, 20152 Milano MI (1,1 Km dal Teatro del Carcere Beccaria, 13 minuti a piedi) Telefono: 02 8295 4020 OstellOlinda Milano Indirizzo: Via Ippocrate 47, 20161 Milano (circa 20 minuti di Metro dal Teatro del Carcere Beccaria) Mail: ostello@olinda.org Telefono: 02.917.017.18 - 335 763 1906 Prenotazione online: https://ostellolinda.org/it/ Tel 335 8000577 – email: e.zamparutti@gmail.com LA 72A RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE CONDANNA LE GRAVI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN IRAN La Terza Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 19 novembre 2025 ha adottato una risoluzione che condanna la grave e sistematica violazione dei diritti umani in Iran, con 79 voti a favore e 28 contrari. Si tratta della 72ª risoluzione delle Nazioni Unite che condanna i crimini del regime clericale in Iran. La risoluzione condanna con forza l'allarmante e significativo aumento delle esecuzioni e esprime grave preoccupazione per l'uso della pena di morte come strumento di repressione politica e di silenziamento degli oppositori e dei manifestanti, nonché per il crescente numero di esecuzioni di donne e minori. La risoluzione condanna le azioni del regime volte a reprimere le proteste, comprese quelle iniziate nel settembre 2022, in particolare l'uso della pena di morte contro le persone associate alle proteste. La risoluzione esprime seria preoccupazione per la mancanza di responsabilità del regime iraniano per le violazioni dei diritti umani di lunga data, come le continue sparizioni forzate, le esecuzioni extragiudiziali e la distruzione di prove e cimiteri. Sottolinea che la mancanza di responsabilità dei funzionari, così come l'impunità sistematica e continua per le violazioni dei diritti umani, consente il ripetersi e il protrarsi di tali abusi. La risoluzione esprime inoltre preoccupazione per l'incitamento alla discriminazione, all'ostilità e alla violenza nei media statali, che ricorda le esecuzioni di massa e arbitrarie del 1988. La signora Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, ha accolto con favore la risoluzione, che riflette solo una parte dei crimini del regime. Ha affermato che, a seguito dell'enfasi posta dalla risoluzione della Terza Commissione dell'Assemblea Generale sul massacro del 1988 e sul recente aumento delle esecuzioni in Iran, e considerando l'uccisione di migliaia di persone durante le rivolte del 2009, 2017, 2019 e 2022, il caso del regime deve essere immediatamente deferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ha aggiunto che i suoi leader devono essere assicurati alla giustizia per quattro decenni di crimini contro l'umanità e genocidio. Dall'inizio del 2025, almeno 1.700 detenuti sono stati giustiziati, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. La signora Rajavi ha aggiunto che, come indicato nella risoluzione, l'impunità di cui godono i capi del regime per i crimini commessi negli ultimi 47 anni consente il ripetersi e il protrarsi di atrocità come il massacro del 1988. Ha sottolineato che il Relatore Speciale, nella sua relazione del luglio 2024, ha dichiarato che si tratta di un chiaro caso di crimini contro l'umanità e genocidio, sottolineando che i responsabili, tra cui la Guida Suprema del regime, Ali Khamenei, ricoprono ancora posizioni chiave nel governo. La signora Rajavi ha sottolineato che il responsabile delle esecuzioni, del terrorismo e del bellicismo non rappresenta in alcun modo il popolo iraniano e deve essere espulso dalle Nazioni Unite e da altri forum internazionali. Questa non è solo una richiesta del popolo iraniano, ma anche una necessità per la pace e la tranquillità nel mondo di oggi. (Fonte: ncr-iran.com) USA: REPORT DELL’ACLU SUGLI ERRORI GIUDIZIARI NEI CASI CAPITALI L'American Civil Liberties Union, probabilmente la più importante, storica, associazione per i diritti civili negli Stati Uniti, ha pubblicato il 19 novembre “Fatal Flaws: Innocence, Race and Wrongful Convictions” (Difetti fatali: innocenza, razza e condanne ingiuste), un nuovo rapporto che denuncia come il razzismo, l'errore umano e le falle sistemiche abbiano reso le condanne ingiuste, e in particolare quelle nei confronti di uomini di colore, una conseguenza inevitabile del sistema della pena di morte. Fatal Flaws sottolinea il costo umano devastante e irrevocabile di un sistema imperfetto, che priva le persone di decenni di vita in attesa di un'assoluzione o, nel peggiore dei casi, costa la vita a persone innocenti. Nonostante la crescente opposizione dell'opinione pubblica alla pena di morte, quest'anno ci sono state più esecuzioni che in qualsiasi altro anno dell'ultimo decennio. “Ogni condanna ingiusta rivela non solo un fallimento individuale, ma i modelli di ingiustizia sistemica insiti nella pena di morte stessa”, ha affermato Megan Byrne, avvocato senior dell'ACLU Capital Punishment Project. “La pena di morte è stata costruita su basi razziste, e quelle radici continuano a plasmare il suo funzionamento odierno. Se si combina questa storia con i pregiudizi umani e le pressioni politiche per ottenere condanne in casi di alto profilo, diventa chiaro perché le condanne a morte ingiuste non sono incidenti rari, ma il risultato prevedibile di un sistema fondamentalmente imperfetto che delude gli imputati e la comunità in generale. L'unico modo per prevenire le condanne ingiuste è porre fine alla pena di morte una volta per tutte”. Da quando è iniziata l'era moderna della pena di morte nel 1973, almeno 200 persone sono state scagionate dal braccio della morte in tutti gli Stati Uniti, e almeno altre 21 persone che probabilmente erano innocenti sono state giustiziate. Il rapporto esamina i fattori che hanno portato a queste condanne ingiuste e mette in evidenza le storie umane che si celano dietro di esse, tra cui quella di Glynn Simmons, che ha trascorso 48 anni in carcere ingiustamente, la più lunga incarcerazione ingiusta conosciuta nella storia degli Stati Uniti. I risultati principali del rapporto includono: La condotta scorretta da parte della polizia o dei pubblici ministeri, tra cui la coercizione dei testimoni, l'occultamento di prove a discarico, la falsificazione di rapporti o l'approvazione della falsa testimonianza, è il fattore più comune nelle condanne ingiuste alla pena di morte, in particolare per le persone di colore. Il rapporto evidenzia alcune contee note per questo tipo di condotta scorretta. Le false testimonianze o le false dichiarazioni si verificano in quasi il 70% dei casi di condanne a morte ingiuste e sono il fattore più comune per i prosciolti (nel lessico statunitense, vengono definiti “esonerati” o “prosciolti” coloro che vengono condannati a morte e solo in un secondo tempo, spesso dopo molti anni, riescono ad ottenere prima un annullamento della condanna, e poi una assoluzione) di colore e latini. L'errata identificazione da parte di testimoni oculari ha contribuito a 1 su 5 condanne a morte ingiuste. Le identificazioni errate sono particolarmente probabili quando il testimone e il sospettato sono di razza diversa. Prove forensi inaffidabili giocano un ruolo in circa 1 caso su 3 di assoluzione. Molte tecniche forensi screditate, come l'analisi dei segni dei morsi, e dei capelli, continuano ad essere utilizzate nei casi di pena di morte e portano a condanne ingiuste. Il pregiudizio razziale nella selezione della giuria popolare mette gli imputati in una posizione di svantaggio. La scelta da parte della pubblica accusa di puntare ad una condanna a morte, e il pregiudizio razziale che porta all'esclusione dei giurati di colore producono giurie inclini a condanne che non rappresentano la comunità. Il rapporto invita i parlamentari e i dirigenti statali ad abrogare la pena di morte, ampliare le possibilità di ricorso post-condanna, garantire giurie popolari eque e diversificate, creare rimedi significativi e sostegno riparatorio per le persone che sono state condannate ingiustamente e rafforzare le commissioni esecutive di clemenza e revisione dell'innocenza. “Fatal Flaws: Innocence, Race and Wrongful Convictions” è il secondo volume di una serie in più parti sulla pena di morte. Il primo volume, Fatal Flaws: Revealing the Racial and Religious Gerrymandering of the Capital Jury (Difetti fatali: rivelare la manipolazione razziale e religiosa della giuria popolare capitale), espone come il processo di “qualificazione alla pena di morte” distorca le giurie popolari nei processi capitali. (Fonte: aclu.org, 19/11/2025) I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA PRESENTAZIONE DEL LIBRO ‘NON GIUDICARE!’ A MOTTA SANT'ANASTASIA E ACIREALE Motta Sant'Anastasia Presentazione del libro “NON GIUDICARE!” 29 novembre 2025 Auditorium dell'Istituto Comprensivo Gabriele d'Annunzio Ore 10:00 Acireale Presentazione del libro “NON GIUDICARE!” e ASSEMBLEA di Nessuno tocchi Caino 1°dicembre 2025 Sala “Pinella Musumeci” Villa Belvedere Ore 16:00 – 20:00 Info 335 6153305 NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS è un servizio di informazione gratuito distribuito dalla associazione senza fini di lucro Nessuno Tocchi Caino - Spes contra spem. Per maggiori informazioni scrivi a info@nessunotocchicaino.it |


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