L'intervento di Sergio D'Elia all'Ottavo Congresso di Nessuno tocchi Caino

 

 

Sono un iscritto al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito e a Nessuno tocchi Caino e all'VIII Congresso di Nessuno Tocchi Caino celebrato nel dicembre 2019 dentro al carcere di Opera avrei dovuto partecipare anche io. Poi per colpa del lavoro ho dovuto saltare questo appuntamento a cui tenevo tantissimo. Viviamo momenti bui ma anche di speranza come quella incarnata da Nessuno tocchi Caino, da Sergio D'Elia, Rita Bernardini, Elisabetta Zamparutti e soprattutto di tutti quelli che cambiano, si liberano. A destra come a sinistra è sempre vivo il motto Occhio per occhio Dente per dente, fai fuori il tuo nemico, butta la chiave, non c'è possibilità di redenzione, fateli soffrire, fateli morire. Questo libro raccoglie gli interventi di quel congresso che tra l'altro potete ritrovare integralmente su Radio Radicale.

Ho deciso di trascrivere l'intervento di Sergio perché oltre che un compagno è anche un amico, un esempio di trasformazione.


 

Io dovrei fare una relazione e, in qualche modo, la farò- le parole sono affascinanti per la ricchezza, spesso, del loro significato e per la loro storia, il senso originario e il verso in cui ti conducono. Qui, siamo riuniti in congresso, c'è un ordine de i lavori, ed è prevista la Relazione del Segretario. “Relazione” vuol dire anche dialogo, rapporto, stare insieme. È quello che farò, che sarò: continuare una relazione con voi, essere in relazione con voi, come siamo stati in questi quattro anni. Anche ora, nel momento in cui parlo, le parole che dirò saranno l'espressione di un eco, l'effetto di una risonanza, del suono che mi arriverà dei vostri pensieri, dei vostri sentimenti, del vostro vissuto. Quando dico voi, mi riferisco a questa parte del teatro dove sono seduti i cosiddetti detenuti, quelli diversamente liberi, mentre nell'altra ci sono i cosiddetti liberi, quelli in libertà provvisoria, in libertà condizionale, i diversamente detenuti.

Quattro anni di Laboratori Spes contra spem sono stati un percorso straordinario. Cosa è accaduto, in questi quattro anni di “laboratori del cambiamento”, se non cambiare il nostro modo di pensare, di sentire e di agire? Se non procedere, evolvere insieme, nel tempo, da un livello a un altro di coscienza? Non è stato un percorso lineare, sembrava ritornassimo sempre al punto di partenza. In un certo senso sì, si ritornava allo stesso punto, ma – come in una spirale, non in un circolo chiuso – di un livello superiore: dallo stato reattivo (rettiliano) a quello analitico, poi a quello emotivo e poi a quello della visione di insieme, fino a quello trascendente della scoperta del valore in sé, della fede in se stessi, livello in cui l'essere autentico originario – la libertà di essere, di fare scelte coerenti con la propria coscienza orientata ai valori umani – alla fine è emerso.

Quello che abbiamo vissuto insieme a Orazio, Gaetano, Roberto, Alfredo, Vito, i protagonisti del film di Ambrogio Crespi “Spes contra spem – Liberi Dentro” e molti altri di voi, è stato passare dalla dimensione dell'essere “liberi da”, dell'avere speranza, a quella dell'essere “liberi di”, dell'essere speranza. “Liberi da” è la consapevolezza del danno arrecato: lo sguardo è ancora rivolto al passato. “liberi di” è la nostra coscienza che – magari sepolta dentro di noi – riemerge, risorge: lo sguardo è rivolto al futuro; si cerca, si concepisce e si anticipa una nuova via, una nuova vita, una nuova realtà.

Per questo congresso abbiamo scelto di conservare e rimettere ai lati del palco i due manifesti del congresso del 2015, l'ultimo congresso di Marco Pannella. Da un lato, l'immagine di San Paolo e un passo della sua lettera ai Romani: “Egli ebbe fede, sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli”. Dall'altro, l'immagine di una cella di isolamento, dove dalle sbarre filtra un fascio di luce e il motto Spes contra spem.

Quindi San Paolo e Spes contra spem, la luce che squarcia le tenebre. Quante volte avete detto: non vedo la luce in fondo al tunnel, ve lo ricordate? Mentre io vi dicevo: non aspettate di vedere una luce in fondo al tunnel che vi attiri, accendete voi una luce che è dentro di voi, la luce della coscienza, ancora più potente e capace a illuminare la via e orientare all'uscita. Questo vuol dire “essere speranza, piuttosto che avere speranza”. Lo avete fatto, lo siete stati, non ho dubbi.

Prendo Roberto Cannavò come esempio. Nel 2015 stava seduto da questa parte, tra i detenuti, ora siamo nel 2019 ed è seduto di là tra i liberi. Roberto è un caso emblematico della storia di questi quattro anni di Laboratori del Cambiamento: dalla consapevolezza del male arrecato in passato, alla coscienza di oggi orientata ai valori umani, al bene, all'amore da offrire come forma di riparazione. Nel 2015, a Opera, Roberto partecipa al film di Ambrogio Crespi, Spes contra Spem-Liberi dentro e racconta la sua seconda vita, il suo nuovo modo d'essere. Il giorno dopo – il congresso era iniziato da due ore – Roberto arriva qui, chiede la parola, si rivolge a voi e, in lacrime, annuncia: mi hanno dato dieci ore di permesso! Del gruppo dei protagonisti del film, Roberto è stato il primo a uscire fuori dal carcere. Essendo speranza contro speranza ed essendo già libero dentro, si è liberato anche dalla realtà del carcere e del fine pena mai.

Gli eventi creativi di qualcosa di nuovo, nei processi naturali come nei rapporti umani e sociali, non sono meccanici né lineari, non esiste effetto determinato da una causa che non determini a sua volta effetti sulla causa originaria, così come non esiste un mezzo giustificato da un fine che non prefiguri o pregiudichi il fine stesso. Siamo immersi in un grande campo di energia dove i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti possono avere effetto, fare eco, risuonare nel mondo in cui viviamo. Se è accaduto a Roberto quel che è accaduto, è perché lui ha invocato, evocato e visto avvenire negli altri il cambiamento che era avvenuto in lui.

Alfredo Sole, che oggi non è qui, è un altro che, fosse stato qui, in questa sala, non sarebbe stato da questa parte, quella dei detenuti, ma dall'altra, quella dei liberi, perché lui oggi è libero, anzi, semi libero: un altro effetto di Spes contra spem. Poi c'è Gaetano, ve lo ricordate nel film? Diceva: ogni volta che esco dal carcere per fare una visita non vedo l'ora di rientrare. Ora, che esce in permesso, non vede l'ora di uscire e rimanere fuori. Cosa vuol dire? Vuol dire che il suo sguardo oggi è volto al futuro, non più solo al passato: ora è più “libero di” piuttosto che “libero da”.


Cosa c'entra tutto questo – san Paolo, Spes contra spem, Marco Pannella – con la notizia di questi mesi, la rivoluzione copernicana della sentenza, prima, della Corte Europa e, poi, della Corte Costituzionale sull'ergastolo ostativo? Io non ho dubbi, la senza Viola contro Italia della Corte di Strasburgo e la sentenza della Consulta sui casi Cannizzaro e Pavone, si spiegano veramente solo se pensiamo a come abbiamo vissuto in questi ultimi quattro anni qui a Opera. Perché il vissuto non è solo il nostro passato, è anche il nostro futuro, il destino di cui noi stessi siamo artefici. Cosa abbiamo fatto in questi ultimi quattro anni se non pensare, sentire e agire – in una parola. Vivere – nel modo e nel senso in cui volevamo andassero le cose.

Non voglio togliere valore e merito ad Andrea Pugiotto che ha scritto un “atto di promovimento” che ha poi messo a disposizione di giudici e magistrati che avrebbero potuto rimettere all'attenzione delle Corti superiori la questione di costituzionalità del 4 bis. È un testo straordinario e so quanto abbia contribuito alle decisioni della Corte Edu e della Corte Costituzionale, come pure il testo di Davide Galliani, l'Amicus curiae a sostegno del caso Viola contro Italia. E che dire della tecnica di Antonella Mascia che ha tradotto a Strasburgo il vissuto dell'ergastolano Marcello Viola. Grande valore e merito a questa scienza! Eppure, se non ci fosse stato il vissuto di voi detenuti, il vostro cambiamento nel modo di pensare, nel modo di sentire, non ci sarebbe stata la sentenza Viola contro Italia! Non ci sarebbe stata la sentenza della Corte Costituzionale! Se non ci fosse stato il congresso con Marco Pannella nel 2015, se non ci fosse stato il film di Ambrogio Crespi Spes contra spem-Liberi dentro, se non ci fossero stati i Laboratori del cambiamento, non ci sarebbe stata Viola contro Italia!

A Spes contra spem ha corrisposto esattamente Viola contro Italia: “spes”, l'essere speranza, la speranza soggetto – quella incarnata dal condannato alla pena senza speranza – è “Viola”; “Spem”, l'avere speranza, la speranza oggetto – quella negata o concessa dal potere – è “Italia”. Spes uguale Viola, Spem uguale Italia. Cosa ci siamo detti in questi quattro anni? Non aspettiamo che sia l'Italia a darci speranza e non aspettiamo neanche che sia l'Europa a darci speranza. Se questo avverrà, se speranza vi sarà – come diritto umano fondamentale della giustizia in Italia e in Europa – sarà perché avrà prevalso la Spes contra spem di San Paolo-Pannella e il “siate innanzitutto voi il cambiamento che volete vedere nel mondo” del Mahtma Gandhi.

Ecco, se è accaduto quello che è accaduto è perché Opera ha risuonato su Strasburgo, è perché i condannati, cambiando se stessi, hanno cambiato il mondo in cui vivono. Questo sono, vogliamo che siano i “Laboratori del cambiamento” - quelli già costruiti a Opera, Voghera, Parma, Rebibbia, Secondigliano e quelli che vorremmo fare anche a Lecce e in Sicilia -, laboratori in cui si compie un'opera colossale di conversione, che possiamo anche definire “religiosa”, ma nel senso etimologico del termine, di religo, legare, tenere insieme, ad esempio i detenuti e i detenenti, come amava dire Marco Pannle, che continua a essere per noi – il suo metodo, la sua vita, le sue opere – fonte di ispirazione. E quando si dice “spirito”, “spirituale”, vuol dire l'essenza, il dato essenziale, come gli oli essenziali: vale per un frutto, per una pianta, per le cose, vale anche per le persone. Lo spirito di una persona è quel che resta di una intera esistenza, è l'essenza, la traccia indelebile che ha lasciato nel corso della sua vita.

Una vita – anch'essa – da tenere, legare, vedere nel suo insieme. Quante volte ci siamo detti, qui, nel laboratorio di Opera: non dissociamo la nostra vita, non facciamola a pezzi: la parte brutta che buttiamo via, la parte buona che salviamo! Abbandoniamo questa schizofrenia, ogni idea di dissociazione, se non vogliamo – dal 41 bis, dall'ergastolo ostativo, dall'isolamento, dal carcere – finire al manicomio! L'esperienza va tenuta insieme, tutta, anche quella cattiva, anche quella malevola, quella dolorosa, perché anche quella del male è un'esperienza preziosa. Bisogna mettere a frutto tutte le esperienze.

Altro che Antimafia. L'antimafia, quella che Sciascia direbbe fondata sulla terribilità, l'antimafia di regime e dei regimi speciali, l'antimafia fondata sul regime dei processi speciali, del “doppio binario”, del “diritto del nemico”, l'antimafia del regime del 41-bis, del regime dell'ergastolo ostativo, del regime dell'isolamento, è un'antimafia perdente. Anzi, ha già perso. L'antimafia che ha vinto, anzi, ha con-vinto, è quella fondata – come diceva Sciascia – non sulla terribilità, ma su Diritto, è l'antimafia della nonviolenza, del vita del diritto per il diritto alla vita.

Spes contra spem non è solo un motto, è anche un metodo, un progetto, una teoria dell'organizzazione e della prassi politica. Per questo proponiamo, da subito, un cambio nella denominazione della nostra associazione: rimanga Nessuno tocchi Caino – motto bellissimo, evocativo di tutto – ma ci sia anche Spes contra spem. Nel nostro simbolo, alla scritta Nessuno tocchi Caino aggiungiamo Spes contra spem. Nel nostro statuto, stiano insieme il Nessuno tocchi Caino e “la speranza contro ogni speranza”, due motti che in questi anni hanno rivelato una forza creativa straordinaria.

Nessuno tocchi Caino è rivolto allo Stato, al Potere che cede, degrada alla aberrante violenta logica dell'emergenza per la quale, nel nome di Abele, per difendere Abele, diventa esso stesso Caino, uno Stato-Caino che pratica la pena di morte, la pena fino alla morte e la morte per pena. Noi siamo i primi difensori dello Stato, se ha i connotati di uno Stato di Diritto. Per questo noi diciamo: Nessuno tocchi Caino!

Spes contra spem è rivolto a Caino, al condannato che decide di cambiare se stesso, convertire la sua vita dal male al bene, dalla violenza alla nonviolenza, perché sia appunto il cambiamento del suo modo d'essere – di pensare, di sentire e di agire – profetico del cambiamento del mondo in cui vive, dell'ambiente in cui vive, del carcere in cui vive, del magistrato da cui dipende.

Questo connubio felice tra la nonviolenza che abbiamo praticato e la speranza che abbiamo incarnato, è stata la nostra forza, la chiave del nostro successo. Si dirà: questa è filosofia! Poi arriva Roberto Cannavò che ci ricorda – come nel docufilm – che “filosofia non è filosofeggiare, ma è azionare”. A ben vedere, a con-vincere – non a vincere – è stata la vostra conversione da una prima vita, violenta, a una seconda vita, nonviolenta – è accaduto anche a me, è stata anche la mia vita. Contro l'illusione della forza materiale, bruta e, alla fin fine, impotente del potere, abbiamo scelto di incarnare la speranza e la forza della nonviolenza, immateriale e gentile ma più potente delle bombe che abbiamo lanciato, delle armi che abbiamo impugnato. Su questo, sulla forza gentile della nonviolenza e la visione profetica della speranza, Marco Pannella ha costruito un partito, il Partito Radicale, ispirato e incarnato da quel preambolo straordinario allo statuto che conferisce all'imperativo del “non uccidere” valore di leggere storicamente assoluta, senza eccezioni, nemmeno quello della legittime difesa.

Di fronte al disordine e alla violenza del Potere, alla Ragion di Stato e agli stati di emergenza, gli ergastolani hanno manifestato, incarnato una visione alternativa: l'ordine e la nonviolenza del Diritto, l'Armonia e la coerenza dei Diritti Umani Universali, l'emergenza dello Stato di Diritto e di uno stato elevato di coscienza.

Nei limiti bui e nei silenzi metallici delle celle d'isolamento, del 41-bis, della pena fino alla morte, molti di voi, condannati a vita, siete riusciti a liberare nella mente – come nella poesia di Leopardi – il pensiero dell'infinito e il silenzio dell'eternità. In questo immenso mare vi è stato il dolce naufragar. E questa immensità – come nella poesia di Ungaretti – una mattina vi ha risvegliato, e illuminato di una luce, quella della coscienza, che vive in ognuno di noi, che a volte può spegnersi e poi riaccendersi, ma che non muore mai, perché è una luce infinita e perpetua come l'universo.

Non a caso si dice “diritti umani universali”, perché hanno una dimensione sconfinata e una vita eterna. Se illuminiamo la nostra mente e i nostri pensieri di questa immensità, è possibile che accada – per riflesso o per risonanza – che la luce della nostra mente e dei nostri pensieri illumini anche le menti e i pensieri dei giudici di Strasburgo e dei giudici della Consulta. Opera ha illuminato Strasburgo, a Spes contra spem ha fatto eco Viola contra Italia. Ora, però, di fronte ai limiti della nuova sentenza della Corte Costituzionale, non mettiamoci nell'ordine di idee di aspettare “cosa accade adesso”: perché “non basta dimostrare la buona condotta in carcere, la partecipazione ai programmi di trattamento volti al reinserimento sociale”, perché spetterebbe al detenuto “l'onere di allegazione” circa la rottura dei collegamenti con la criminalità passati presenti e futuri. Non cadiamo nell'errore della mera osservanza della norma che dalla sentenza deriverebbe, del soddisfare tutte le condizioni, perché sottomettersi alla sequenza di atti di fede di cui dare prova significherebbe ricadere nel rapporto mercantile, nella dimensione dell'avere speranza piuttosto che essere speranza, dell'essere “liberi da” piuttosto che “liberi di”. L'atto di fede che conta è quello in se stessi, quel che conta è far riemergere l'essere autentico, la coscienza universale orientata ai valori umani che abita in ognuno di noi.

L'ultima parola spetterà ovviamente ai magistrati di sorveglianza. Ci saranno non solo valutazioni diverse del singolo magistrato sui singoli casi, ci saranno anche, in casi apparentemente analoghi, diversificazioni di vedute e giudizi da un magistrato all'altro. Ma, alla fine, quello che convincerà i magistrati sarà il loro prendere coscienza della emergenza della vostra coscienza, del vostro essere autentico, sarà appunto il vostro essere cambiati. Quindi, ora, non fate l'esercizio delle istanze, delle domandine – le dovrete anche fare – ma fidatevi più di voi stessi. “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza”, questo deve essere il vostro motto.

La pena di morte è ormai diventata un ferro vecchio della storia dell'umanità. Cosa dire ancora sulla pena di morte, sulla necessità della campagna di Nessuno tocchi Caino per abolire la pena di morte? È un ferro arrugginito e per ciò – non solo in Italia, anche nel mondo – tutti stanno attenti a maneggiarlo: tantissimi stati hanno cancellato del tutto la pena di morte, alcuni non la usano più da decenni, altri si vergognano a usarla e la praticano in segreto, altri ancora l'hanno mascherata con il “fine pena mai”, l'ergastolo senza via d'uscita.

Ora, anche questa realtà della pena fino alla morte” è in via di superamento. Rimane la “morte per pena” da superare, quel modo di pensare che, nel campo penale, riflette il principio di causa ed effetto della fisica classica. Il processo (penale), forse non a caso, si chiama anche “causa”, perché origina da un fatto e ha come necessario effetto il giudizio e poi una pena.

Questa concezione della natura e dell'universo non è stata solo superata dalle scoperte della fisica quantistica di un secolo fa, era già superata da intuizioni e saggezze di duemila anni fa: dal pensiero buddista e da quello taoista nell'estremo Oriente, come da quello di Eraclito, in Occidente, pensieri che nello stesso tempo – 500 o 600 anni prima di Cristo e a riprova dell'esistenza delle connessioni di pensiero non locali – coltivavano la stessa visione dell'universo fondata, non sul materialismo, il determinismo, il meccanicismo del principio di causa ed effetto, ma sulla immaterialità e spiritualità di un altro principio, l'armonia universale, il principio d'ordine da cui tutto origine e a cui tutto tende.

È la “morte per pena” che dobbiamo radicalmente mettere in discussione. Devo a Luciano Eusebio la scoperta dell'origine di una frase che Aldo Moro amava ripetere. La frase è di Gustav Radbruch, filosofo del diritto, Ministro della Giustizia nel governo di Weimar, esule in Inghilterra dopo l'avvento del nazismo in Germani: “La verità è che lo scopo insopprimibile del progresso penalistico rimane il codice penale senza pene: non è cioè il miglioramento del diritto penale, ma il suo superamento con qualcosa di meglio del diritto penale, mediante un diritto di miglioramento e di tutela” “che sia più ragionevole e più umano del diritto penale”. Di solito si sintetizza così come la richiamava Aldo More: “Non abbiamo bisogno di un diritto penale migliore, ma di qualcosa che sia meglio del diritto penale”.

È il diritto penale quello che dobbiamo superare. Occorre rompere quella “catena perpetua”, l'ergastolo mentale che ci costringe a pensare ancora che alla violenza e al dolore del delitto debbano necessariamente corrispondere una violenza e un dolore eguali e contrari, quelli inflitti dal giudizio e dal castigo propri del diritto penale.

Abolita la pena di morte, superata la pena fino alla morte, la nuova frontiera della missione di Nessuno tocchi Caino è quella di pensare a qualcosa che sia meglio del diritto penale e della sua appendice penale ultima, il carcere, che è il luogo dove – Pannella diceva – esistono nuclei consistenti di shoah, cioè un luogo strutturalmente di tortura, sofferenza, dolore, patimenti. Questa è la nuova frontiera della lotta di Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem.

Poi ci sono quelli che dicono: come si fa a fare meno della necessità del carcere? Se non esiste più il carcere, come facciamo? Rispondo: come abbiamo sempre fatto, a partire dagli albori dell'umanità.

C'è uno splendido testo di Andrea Camilleri che è uscito – una coincidenza straordinaria! - nel trentennale della morte di Leonardo Sciascia. È il monologo “Autodifesa di Caino”, nel quale il Caino difeso da Camilleri, da radice del male, diviene artefice di riscatto. Nessuno tocchi Caino, scrive Camilleri nel suo Monologo, quindi nessun marchio d'infamia, nessuna pena, nessun patibolo, nessuna violenza, nessuna sofferenza. L'errante è “condannato” a errare, andare ramingo per terre sconosciute e, per ciò, a divenire “costruttore di città”. Nessuna prigione, non pene alternative, ma alternative alla pena. Caino-costruttore-di-città, questa fu la soluzione, attualissima, concreta, trovata alle origini e nei “principi” della Storia dell'umanità. Nella Genesi, eravamo più civili, più umani, più giusti di oggi. Ritorniamo all'Antico Testamento, alla letteralità del passo della Genesi: “il Signore pose su Caino un segno perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato”. Non si tratta di inventare nulla di nuovo, perché processi di riconciliazione, esperienze di giustizia riparativa, opere volontarie di pubblica utilità, forme di reinserimento o di esilio dalla società o comunità di appartenenza, tutto ciò esiste nel nostro tempo ed è sempre esistito nella storia dell'umanità.

L'Africa, ad esempio, è la terra dove le forme e i pezzi penali e patibolari di amministrazione della giustizia erano sconosciuti, dove penitenziari e forche sono stati edificati dai coloni “civilizzatori” che hanno abolito forme e mezzi di una traduzione millenaria molto più civile.

Tutti ricordiamo l'esperienza del Sudafrica con la sua Commissione Verità e Riconciliazione. Io voglio ricordare Mario Oriani Ambrosini, che ci ha lasciato cinque anni fa, è stato uno dei fondatori di Nessuno tocchi Caino, ha partecipato al congresso di Bruxelles. Mario Oriani Ambrosini, deputato del Sudafrica post apartheid, a una certo punto, ha deciso di togliersi la vita perché stava male, di un male incurabile. Una persona straordinaria che è stata, pur non essendo Caino, costruttore di città, di civiltà. La Costituzione del Sudafrica è frutto anche della sua scienza e della sua coscienza. Se nella Costituzione del Sudafrica del 1994 è stata espunta la pena di morte, lo si deve anche a a Mario Ambrosini.

Costruire e ricostruire, costruire e ricostruire. È quello che anche noi stiamo cercando di fare: riparare quel che si è rotto, riconciliare quel che si è separato, unire quel che si è diviso, ricucire quel che si è strappato, ricostruire quel che si è distrutto. Quanto al riparare, ci sono fatti e misfatti a cui non è possibile porre rimedio; se v'è riparazione, è sempre in termini diversi, non può esservi coincidenza esatta, una corrispondenza pari al male commesso. La risposta al male, creativa, che tiene insieme ed eleva tutti a un livello di coscienza orientata ai valori umani, universali, è il bene. La risposta alla violenza, all'odio, al dolore, sta nella nonviolenza, nell'amore, nel piacere di guarire.

È questa la storia del Partito Radicale. È questa la storia di Marco Pannella. Ve lo ricordate, nel 2015, in questo teatro? È partito tutto da lì... “Ce n'est q'un dèbut, continuons le combat”. E voi ad applaudire e a ritmare con lui: “Ce n'est q'un dèbut, continuons le combat”. Da lì è iniziato tutto: senza quel congresso, senza quel motto. Spes contra spem, senza la visione di Marco, non saremmo oggi a celebrare, non la vittoria, ma – ripeto – il successo delle sentenze sull'ergastolo. Ma, come in tutti i successi, sono cose già accadute: le cose più importanti – le sentenze, le ordinanze che rifletteranno il cambiamento del modo d'essere che voi siete e sarete innanzitutto stati – devono ancora accadere.

Non smettiamo di essere visionari, non perdiamo questo potere di diventare creatori di nuove realtà, perché i visionari sono i veri realisti. Giordano Bruno diceva: “non è la materia che genere il pensiero, è il pensiero che crea la materia”. Non è la realtà delle cose a generare il nostro pensiero, è il nostro pensiero a creare la realtà delle cose. È importante, perché per secoli ci hanno fatto credere che il nostro destino fosse già segnato da qualcosa al di fuori e al di sopra di noi, Dio o chi per lui. Scopriamo invece che i creatori siamo noi, che il divino abita in noi, che la scintilla di Dio può scoccare se noi lo vogliamo, perché siamo noi a modificare e creare la realtà, non solo la nostra realtà, persino la realtà, l'ambiente, lo spazio che ci circonda.

Possono, le semplici parole, i pensieri, le emozioni, vibrare, inviare onde e segnali tali da modificare la materia che nella sua dimensione infinitesimale, subatomica, proprio da onde e vibrazioni di energia è connotata. Basta pensare – osservare, prestare attenzione, manifestare intenzione – e avere una visione di ciò che si vuole vedere realizzato, quindi agire coerentemente coi propri pensieri e visioni: è questo il segreto, il mistero, il cammino incantato di un processo creativo. In altre parole, il segreto è vivere nel modo e nel senso in cui desideriamo vadano e accadano le cose.

Ritorniamo al modo di pensare, di sentire e di agire di Marco Pannella – Spes contra spem – e del Mahatma Gandhi – sii innanzitutto tu il cambiamento... Se siamo consapevoli che i nostri pensieri possono risuonare, vibrare, comunicare nel mondo che ci circonda, allora possiamo, sappiamo di potere cambiare non solo noi stessi, ma anche il mondo.


(Sergio D'Elia che consegna Prima Linea al Partito Radicale)

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