"Devozione" di Antonella Lattanzi (Einaudi)

 


 Mi sveglio presto anche se non sto lavorando. La sveglia della mia compagna suona alle 5. Ma io sono già sveglio da molto prima. Verso le 4, 430. Mi sono sempre svegliato presto ma ormai ho la testa programmata sugli orari del lavoro. 

Mi alzo, faccio colazione, controllo le notizie, leggo e in queste mattine sono affogato dentro "Devozione" di Antonella Lattanzi (Einaudi). Ho fatto trascorrere undici anni prima di farmi salire la voglia di aprirlo. Me ne avevano parlato benissimo. Un'amica con un passato da eroinomane e lettrice forte mi aveva scritto che l'autrice era riuscita a rendere gli odori, i tempi, le paure, i sogni, le menzogne, i corpi del mondo dei tossici. Aveva aggiunto che "Devozione" era un romanzo figlio di anni di indagini, camuffamenti, ricerche effettuate nelle piazze di di spaccio, nei Sert, fianco a fianco coi consumatori. Ma c'era qualcosa che mi aveva frenato, non ricordo nemmeno cosa e poi nei giorni scorsi nei miei vagabondaggi fra gli scaffali della biblioteca l'ho trovato quasi per caso e ho deciso di prenderlo in prestito. A distanza di undici anni non posso che dare ragione alla mia amica. "Devozione" è un romanzo potentissimo, ossessionante, senza lieto fine, fatto di una lingua pastosa, martellante che restituisce tutto il mondo della tossicodipendenza romana/barese/napoletana/mondiale: l'eroina come Devozione, il primo buco, la ricerca di soldi, la smania di bucarsi, le crisi di astinenza, l'assunzione di metadone, famiglie sfasciate, l'epatite, il Sert, gli ospedali (straordinarie le paginecon l'infermiera che cerca, senza successo, nelle braccia di Nikita una vena per un prelievo e ogni vena è la custode di una storia di dipendenza), i furti, i pestaggi, Christiane F., la vita per strada, i progetti campati per aria, le vene distrutte, le amicizie fasulle, la discesa inarrestabile verso la morte. Un bellissimo e convincente romanzo d'esordio, con la protagonista femminile, Nikita, che vorresti abbracciare e portare al sicuro.

Dopo aver letto, io poi esco per fare due passi, mi dirigo verso il centro, il parco con quelle due panchine occupate da un gruppo di tossici. Ogni mattina che passo vedo due miei coetanei pippare cocaina dal bordo di un bidone dell'immondizia. Ogni mattina, verso le 845. Come se fosse il momento di timbrare il cartellino. Ma il cartellino è (forse) la prima dose giornaliera. E quando ritorno verso casa ecco arrivare due ragazze, il fisico distrutto ma vestite come se dovessero andare a fare l'aperitivo, che si dirigono impazienti con la birra in mano per recuperare la dose. Come quando lavoravo al cinema che se uscivo a spazzare il piazzale alle 11 di mattina trovavo sempre la solita tossica e il solito tossico che uscivano dalle case popolari e si dirigevano verso i punti di spaccio. Precisi, metodici, sudati, smaniosi. Ci salutavamo e ci auguravamo buona giornata. 

Una volta, tanti anni fa, trovai la ragazza che stava fumando una sigaretta dopo essersi bucata. La lasciai tranquilla ma piu' tardi le chiesi di non rifarlo. Era una donna dal volto dolcissimo, con qualche anno meno di me. Lei sorrise e si scusò. Da allora ci siamo sempre salutati e qualche volta le ho dato dei popcorn appena preparati. In questi ultimi mesi l'ho ritrovata che è uno scheletro. Solo gli occhi e il sorriso sono rimasti gli stessi. Quando mi vede ci sorridiamo sempre. E quando me la chiede un po' di moneta gliela dò sempre.

Qualcuno nemmeno vuole parlarci.

Li considerano zecche, coglioni, rifiuti umani, feccia, gente che se l'è cercata, che se la merita la merda che stanno masticando.

Ne ho conosciuti tanti di tossici e alcolizzati nella mia vita e due miei carissimi amici quasi ci lasciavano la pelle per colpa dell'eroina. Solo per una serie di circostanze non sono diventato un eroinomane. Quando ho visitato il carcere ho trovato persone della zona dove sono cresciuto (un paio sono cresciuti proprio a duecento metri da casa mia e conoscevano benissimo la mia famiglia) e quasi tutti erano dentro per problemi legati alle sostanze stupefacenti e la maggior parte dei carcerati avevano l'epatite. Pure io ho le mie dipendenze di cui fatico a liberarmi.

Ma sono tutti donne e uomini come me, come te, come tutti noi con le nostre paure, tentazioni, devozioni e vene piene di vita e morte.

 

(Violet)

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