NESSUNO TOCCHI CAINO - GIUSTIZIA: MARATONA ORATORIA SU RADIO RADICALE PER AMBROGIO CRESPI

NESSUNO TOCCHI CAINO NEWS

Anno 21 - n. 13 - 27-03-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : GIUSTIZIA: MARATONA ORATORIA SU RADIO RADICALE PER AMBROGIO CRESPI
2.  NEWS FLASH: ASSOLUZIONE O GRAZIE PER AMBROGIO CRESPI, UN UOMO CHE HA AIUTATO A RIABILITARE TANTE PERSONE
3.  NEWS FLASH: MYANMAR, DOPO CENTINAIA DI MORTI PER UN GIORNO HA VINTO LA NONVIOLENZA
4.  NEWS FLASH: IMPRENDITORI CONTRO LA PENA DI MORTE
5.  NEWS FLASH: PAKISTAN: COMMUTATA IN ERGASTOLO LA CONDANNA CAPITALE DI UN MINORE
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


GIUSTIZIA: MARATONA ORATORIA SU RADIO RADICALE PER AMBROGIO CRESPI


Il Comitato di Nessuno tocchi Caino per Ambrogio Crespi organizza sabato 27 marzo, dalle ore 10 alle 18, in diretta dal sito RadioRadicale.it e su Radio Radicale FM (dalle 12/13.30 e 15.30/17) oltre che dai canali social dell’associazione radicale e del Comitato, una Maratona Oratoria dedicata alla campagna per il regista autore di “Spes contra spem-Liberi dentro”, condannato il 9 marzo scorso a 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il Comitato per Ambrogio Crespi, guidato da Andrea Nicolosi (Presidente), Sabrina Renna (Segretario), Antonio Coniglio (Portavoce) e dai Vice Presidenti Alessandro Arrighi e Alessandro Barbano, è nato dalla ferma convinzione, oltre che della sua innocenza, che non sia possibile, costituzionalmente fondata, l’esecuzione di una pena che, ai sensi della nostra Costituzione, dovrebbe essere volta alla riabilitazione e al reinserimento sociale e che invece si impone, dopo molti anni dal fatto, nei confronti di una persona socialmente reinserita e che ha riabilitato persone e non richiede di essere riabilitata.
La maratona di sabato, a cui parteciperanno giuristi, intellettuali, politici, giornalisti amici di Ambrogio Crespi, sarà l’occasione per dar voce a chi ha conosciuto l’uomo Ambrogio e, per questo, condivide il senso di una battaglia per il superamento di un carcere che strutturalmente nasce per arrecare dolore e, nel caso specifico, coglie l’insensatezza della esecuzione di una pena “inutile” che nei confronti di Ambrogio Crespi e moltissimi altri come lui rischia di risolversi in un trattamento degradante e contrario al senso di umanità.
Alla Maratona Oratoria per Ambrogio Crespi porteranno la loro testimonianza, oltre che i massimi rappresentanti del Comitato per Ambrogio Crespi, i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti; l’ex capo del Dap Santi Consolo, l’ex magistrato Gherardo Colombo; i parlamentari Roberto Rampi e Michele Anzaldi; i giornalisti Luigi Amicone, Piero Sansonetti, Luca Telese, Marco Del Freo e Francesco Storace, gli scrittori Pietrangelo Buttafuoco e Annamaria Gallone, gli avvocati Deborah Cianfanelli, Maria Brucale, Marcello Elia, Simona Giannetti, Stefano Giordano, Elisabetta Rampelli, i religiosi Don Luigi Merola e Fratel Carlo Mangione; Raffaele Sollecito e alcuni protagonisti delle opere cinematografiche di Ambrogio Crespi come Giorgia Benusiglio (“Giorgia vive”), Roberto Cannavò e Alfredo Sole (“Spes contra spem-Liberi dentro”) e Benedetto Zoccola (“Terra mia”).

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

ASSOLUZIONE O GRAZIE PER AMBROGIO CRESPI, UN UOMO CHE HA AIUTATO A RIABILITARE TANTE PERSONE
Andrea Nicolosi* su Il Riformista del 26 marzo 2021

L’idea di un Comitato Per Ambrogio Crespi è germogliata naturalmente, dall’attività di Nessuno Tocchi Caino, la notte del 9 marzo 2021, quando non si dormiva, per la condanna in Cassazione di Ambrogio Crespi, a 6 anni di reclusione per “concorso esterno in associazione mafiosa”.
Il Comitato è nato dalla ferma convinzione che Ambrogio Crespi sia innocente. Che sia innocente, nonostante la pronuncia definitiva della Corte Suprema. La sua innocenza la dicono i fatti di causa, le registrazioni usate dai giudici come prove nel processo, le perizie disposte dal Tribunale che hanno rivelato l’inattendibilità dei testimoni, la dice chi lo ha falsamente accusato ed ha poi ritrattato, autodefinendosi un mentitore e un millantatore, la dice il mutato atteggiamento della stessa pubblica accusa che, prima della pronuncia definitiva, ha chiesto l’assoluzione di Ambrogio per il reato di associazione mafiosa e il rinvio per il reato di voto di scambio.
Al di fuori del processo, l’incompatibilità tra Ambrogio e il reato che gli viene attribuito è sancita dalla sua vita, dalle sue opere cinematografiche, dalla opinione di chi lo conosce persona per bene, sensibile, generoso, pacifico, contro ogni violenza e, ancor più, contro le violenze delle organizzazioni criminali, alle quali ha opposto la forza della sua arte, la sua ferma condanna, la sua lotta culturale a viso aperto, a rischio della sicurezza e della propria vita.
Ho conosciuto per primo, tra le opere di Ambrogio, il capolavoro artistico di Spes Contra Spem – Liberi Dentro, manifesto della lotta alla mafia, cominciamento di rivoluzione culturale e giuridica, che testimonia realisticamente, senza finzioni né sofisticazioni, il percorso di maturazione interiore e rieducazione al senso etico e sociale dei condannati al “fine pena mai” detenuti nel carcere di Opera.
Un capolavoro artistico che ha contribuito senz’altro alla fioritura della sentenza Viola contro Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo, la sentenza che ha ribadito il divieto inderogabile di trattamenti inumani e degradanti e riconquistato ai condannati all’ergastolo senza speranza il diritto alla speranza.
Qualche giorno fa, Gaetano Puzzangaro, uno dei protagonisti di Spes Contra Spem, ha incontrato la voce di Ambrogio, detenuto nello stesso carcere di Opera, in una cella nei pressi della sua. Chissà quale tuffo al cuore, quale commozione a sentire l’uomo che si era piegato sulle sue sofferenze di detenuto senza speranza, riuscendo a farla emergere una speranza, nei lievi bagliori di bellezza che cominciavano a sbucare, come timidi fiori di campo, dalle “macerie della sua esistenza”.
Così lui stesso ha definito la sua vita dopo l’omicidio del giudice beato Rosario Livatino, per il quale oggi prega e con il quale oggi parla: “Ci parlo anche col dottor Livatino: di notte faccio lunghe chiacchierate con lui…”. Chissà quale senso di separazione interiore a vedere uno Stato, l’Italia, che – dopo aver rinunciato, in nome dell’emergenza, alla dignità del condannato al carcere ostativo ed a valorizzarne i segni reali di cambiamento – incarcera un uomo che ha contribuito così fortemente a riabilitare la speranza nella risocializzazione sua e dei condannati come lui. Chissà cosa avrà provato Gaetano Puzzangaro a vedere uno Stato che cade nel gigantesco errore e misfatto di divenire Caino (come lo è stato lui del beato Livatino) di un innocente Abele, di processare e condannare Ambrogio Crespi. A vedere uno Stato eseguire una pena – che ai sensi della Costituzione dovrebbe essere volta alla riabilitazione – nei confronti di una persona come Ambrog
 io che ha riabilitato persone e non richiede di essere riabilitata.
Ho conosciuto l’uomo Ambrogio, la sera della pronuncia della Cassazione. Un uomo oppresso dal dolore ma che teneva alta la sua grande dignità e si diceva grato, infinitamente grato, per la solidarietà che riceveva in quel momento così drammatico. Ambrogio era incredulo, stupefatto, smarrito per la condanna ma bisognoso di voler capire, di sperare, di poter credere ancora nella giustizia: “…perché, perché?!...Non capisco perché!?”, continuava a chiedere con una voce rotta dal pianto, senza mai proferire parole di squalifica o sdegno verso i giudici, nonostante si sentisse ingiustamente offeso, tradito, pugnalato. Un colpevole non chiede mai perché, sa la sua colpa e sa il perché della sua condanna. Un I-N-N-O-C-E-N-T-E chiede perché, chiede il perché della sua condanna senza poterne trovare le ragioni!
La verità è che questa drammatica storia non riguarda solo Ambrogio e la sua famiglia ma ciascuno di noi: a ogni innocente può capitare lo stesso destino infausto. La condanna di Ambrogio è una ferita
sociale – proprio come quella di “Enzo Tortora, una ferita italiana” – trasversale, che mina i principi del giusto processo e la certezza del diritto e può pericolosamente rompere la fiducia collettiva nelle istituzioni e nella giustizia. Insinuare una insicurezza sociale che smarrisce e paralizza. La condanna di un innocente è un dramma universale che fa sobbalzare l’intero ordinamento costituito e tremare le coscienze. Tremano le coscienze, nel silenzio della notte, anche quelle di chi giudica, dinanzi alla condanna di un innocente.
Il Comitato per Ambrogio Crespi ha lo scopo di coltivare la speranza e ripristinare la verità. Di collaborare con Ambrogio, i suoi legali, la sua famiglia per far riemergere la sua innocenza, con tutti i mezzi possibili contemplati dall’ordinamento giuridico, per ottenere una pronuncia di assoluzione o la grazia del Presidente della Repubblica.
Ravvisa, per altro verso, la necessità di aprire un pacifico e approfondito dibattito collettivo che miri alle riforme della Giustizia strumentali a ripristinare in via più sostanziale lo stato di diritto, una giustizia più giusta, informata al senso di umanità, protesa al rispetto del valore universale della dignità umana. La necessità è posta dal senso di considerazione e tutela dei tanti Ambrogio Crespi che scontano condanne carcerarie in via preventiva o definitiva e che, sconosciuti ai più, non hanno alcun comitato che li sostenga, alcuna cassa di risonanza che faccia risuonare il silenzioso lamento di un innocente.

* Presidente Comitato di Nessuno tocchi Caino per Ambrogio Crespi
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/assoluzione-o-grazie-per-ambrogio-crespi-un-uomo-che-ha-aiutato-a-riabilitare-tante-persone-206362/
 

MYANMAR, DOPO CENTINAIA DI MORTI PER UN GIORNO HA VINTO LA NONVIOLENZA
Sergio D’Elia su Il Riformista del 26 marzo 2021

Ai primi di marzo, il semplice gesto di una donna inerme, in ginocchio con le mani giunte in segno di preghiera, ha fatto il giro del mondo. La foto di suor Ann Nu Thawng genuflessa davanti alla polizia del Myanmar in tenuta antisommossa ha richiamato alla mente quella scattata trent’anni fa in piazza Tiananmen a un uomo inerme in piedi davanti ai carri armati dell’esercito cinese.
Due persone inermi ma non inerti, due simboli della nonviolenza, esempi del metodo gentile e della forza intelligente con cui si può, anzi, si deve condurre una lotta politica. Soprattutto quando si è di fronte a un potere militare fondato sulla violenza, soggetti alle forze di un ordine costituito sul terrore. La nonviolenza, prima che un metodo di lotta politica, è innanzitutto questo: preghiera e invocazione dei senza potere rivolte al potere, dialogo e amore nei confronti del proprio “nemico”. Quando il “potere nemico” si presenta a te con la faccia feroce e il pugno di ferro, è proprio quello il momento di sfoderare sul viso un sorriso e nel pugno una rosa.
A metà marzo, nell’escalation di violenza per le strade di Yangon, l’esercito ha deciso di introdurre la legge marziale e con questa anche la pena di morte come possibile punizione per tradimento, dissenso e altri reati contro il governo. Inoltre, il Consiglio di Amministrazione dello Stato, istituito dalle forze armate in seguito alla presa del potere il 1° febbraio scorso, ha dichiarato che avrebbe assunto anche l’amministrazione dei tribunali di Yangon. Al fine di reprimere le proteste contro il colpo di stato, la giunta militare ha dunque detto che imporrà pene severe, comprese lunghe pene detentive e anche la morte, per reati tra cui tradimento e dissenso, ostacolo al servizio militare o civile, diffusione di notizie false e della paura. La legge di guerra è stata prima dichiarata in due municipalità di Yangon, Hlaingthaya e Shwepyithar, il 14 marzo, dopo che i militari avevano aperto il fuoco sui manifestanti uccidendo almeno 38 persone. Il giorno dopo sono seguiti ordini analoghi per altre quattro municipalità di Yangon.
Nel frattempo, suor Ann Nu è tornata a Myitkyina dove ha sede il suo istituto. Non sappiamo dire se la sua preghiera in ginocchio davanti alla polizia in assetto di guerra sarà considerata un’azione di “dissenso” o di “ostacolo” al servizio militare o civile. Sta di fatto che sono ben 23 le categorie di reati che, secondo il recente decreto, comportano un processo davanti alla corte marziale, senza possibilità di appello per sentenze o riconoscimenti di colpevolezza. In base al decreto militare, una domanda per annullare una condanna a morte potrà essere presentata solo al generale Min Aung Hlaing, presidente del Consiglio di Amministrazione dello Stato, entro 15 giorni dalla condanna.
La mossa dei militari ha attirato critiche da Stati Uniti, Europa e altri paesi. Ovviamente, tutti hanno chiesto di porre fine alle repressioni sui manifestanti da parte delle forze di sicurezza che avevano già causato decine di vittime. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è detto “sgomento per l’escalation di violenza a Myanmar per mano dei militari” e ha rilanciato gli appelli del Consiglio di Sicurezza “per la moderazione, il dialogo e un ritorno al percorso democratico del Myanmar”.
Sul suo profilo Facebook, anche il nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha chiesto come tutti la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella ex Birmania. Ha aggiunto però una considerazione meno scontata che mi è piaciuta. “Il gesto di pace di Suor Ann Nu Thawng porta con sé la forza di un popolo che deve essere rispettato. L’energia della non violenza che non si piega alla brutalità dei violenti”.
La supplica nonviolenta di suor Ann Nu ha fermato la violenza almeno per un giorno a Myanmar. Quel giorno la polizia ha smesso di sparare sui civili che manifestavano contro il colpo di stato dei militari e per la loro libertà e i diritti umani. Quella ottenuta dalla piccola suora dell’ordine di San Francesco Saverio è stata solo una piccola tregua, una breve moratoria nella brutale, perdurante repressione militare. Ma noi sappiamo che la via della tregua è quella che in una guerra poi porta alla pace, che la via della moratoria è quella che sulla pena di morte porta alla sua abolizione.
Per saperne di piu' : https://www.ilriformista.it/myanmar-dopo-centinaia-di-morti-per-un-giorno-ha-vinto-la-nonviolenza-206380/

 
IMPRENDITORI CONTRO LA PENA DI MORTE
 
Un gruppo di importanti imprenditori ha lanciato una campagna per chiedere la fine della pena capitale.
Richard Branson, amministratore delegato del Virgin Group, ha annunciato l'iniziativa al festival virtuale South By Southwest il 18 marzo, dicendo: “La pena di morte è un meccanismo irrimediabilmente rotto, e chiaramente non riesce a fornire giustizia in alcun modo ragionevole. È segnata da crudeltà, sprechi, inefficacia, discriminazione e da un inaccettabile rischio di errore. ... Parlando in questo momento cruciale, i dirigenti d’azienda hanno l'opportunità di contribuire a porre fine a questa pratica disumana e difettosa".
Ventuno leader d'azienda di diversi settori, tra cui tecnologia, telecomunicazioni, moda e cibo, hanno esortato i leader mondiali a porre fine alla pena di morte. Tra i firmatari ci sono Branson, la co-fondatrice di The Huffington Post Arianna Huffington, i co-fondatori di Ben & Jerry's Ice Cream Ben Cohen e Jerry Greenfield e l'ex CEO di Tiffany & Co. Alessandro Bogliolo.
"Siamo uniti nella nostra fede in un mondo più giusto ed equo, lo stato di diritto e i diritti umani universali", inizia la dichiarazione. “In quanto forma di punizione irreversibile ed estrema, la pena di morte è disumana ed è inconciliabile con la dignità umana. La sua abolizione a livello mondiale è un imperativo morale che tutta l'umanità dovrebbe sostenere". La dichiarazione espone quattro ragioni principali per abolire la pena di morte: il pregiudizio razziale nella sua applicazione, l'assenza di qualsiasi effetto deterrente, il rischio di giustiziare persone innocenti e l'alto costo della pena di morte.
Celia Ouellette, fondatrice e CEO della Responsible Business Initiative for Justice, che ha organizzato la dichiarazione e sostiene le imprese nel chiedere la riforma della giustizia penale, ha collegato lo sforzo al movimento globale per la giustizia razziale innescato dall'uccisione di George Floyd da parte della polizia nel maggio 2020 "Questo è un momento completamente nuovo nel movimento", ha detto.
"Possiamo creare rapidamente molti cambiamenti. "I leader aziendali hanno esplicitamente collegato la pena capitale alla giustizia razziale, scrivendo: "L'abolizione della pena capitale è un passo fondamentale nel movimento verso l'uguaglianza razziale e sociale". I fondatori di Ben & Jerry, Cohen e Greenfield, hanno aggiunto in una dichiarazione separata: “I leader aziendali devono fare di più che dire semplicemente Black Lives Matter. Alle parole dobbiamo far seguire i fatti, dobbiamo essere determinanti nell’abbattimento di tutti i simboli del razzismo strutturale nella nostra società. La pena di morte ha una lunga storia di oppressione e deve finire. Adesso."
Branson ha detto che intende lavorare per espandere il numero di firmatari da qui fino al 10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte. "Parte del nostro lavoro è trovare il tempo per istruirli, fornire loro i fatti, convincerli e conquistarli", ha detto. “Serve pazienza. Per alcuni servirà fornire più dati e argomenti, dovranno essere educati. Ma per gli altri, e credo sarà la stragrande maggioranza, sarà ragionevolmente facile. Le porte sono aperte e penso che possiamo coinvolgere la stragrande maggioranza delle persone".
(Fonti: DPIC, 22/03/2021)


PAKISTAN: COMMUTATA IN ERGASTOLO LA CONDANNA CAPITALE DI UN MINORE

La Corte Suprema del Pakistan il 22 marzo 2021 ha commutato in ergastolo la condanna a morte di un uomo che era stato riconosciuto colpevole di omicidio da minorenne.
La Corte ha applicato al caso in questione una notifica presidenziale del 2001, che attribuisce effetto retroattivo all'Ordinanza sul Sistema di Giustizia Minorile del 2000, che vieta la pena di morte per i minori.
Muhammad Anwar era stato accusato di aver ucciso un uomo di nome Israr Ahmed nel marzo 1993 ed era stato arrestato nello stesso mese. Da allora si trova dietro le sbarre.
Era stato condannato a morte da un tribunale nel 1998 e la decisione era stata confermata nel 2002 dall'Alta Corte di Lahore per poi essere ribadita dalla Corte Suprema nel 2007.
Il condannato ha presentato due appelli sulla base della notifica presidenziale, che sono stati respinti. Il tribunale aveva sostenuto che poiché la condanna era stata confermata dalla Corte Suprema, non era possibile alcuna interferenza da parte del tribunale.
L'avvocato Anwaar Hussain, a nome del ricorrente, ha sostenuto che mentre la colpevolezza è stata confermata dalla Corte Suprema, era certo che la notifica presidenziale fosse di natura retroattiva. Ha detto che il test medico condotto nel 2002 ha mostrato che il condannato aveva un'età compresa tra 16 e 21 anni al momento del crimine. Pertanto, ha detto il legale, il condannato aveva il diritto di beneficiare della notifica senza rinviare la questione al tribunale per la determinazione della minore età.
Presieduto dal giudice Manzoor Ahmad Malik, un collegio di tre giudici della Corte Suprema ha così osservato che gli stessi documenti presentati dal governo mostravano la fascia di età del condannato, il che deve essere interpretato con clemenza a favore del condannato.
(Fonti: The News, 23/03/2021)

 

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