NESSUNO TOCCHI CAINO - NASCE IL COMITATO DI NESSUNO TOCCHI CAINO PER AMBROGIO CRESPI

Nessuno Tocchi Caino News

Anno 21 - n. 12 - 20-03-2021

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : NASCE IL COMITATO DI NESSUNO TOCCHI CAINO PER AMBROGIO CRESPI
2.  NEWS FLASH: DA OLTRE UN ANNO IN ISOLAMENTO IN UNA CELLA LISCIA. CARTABIA, AIUTACI TU
3.  NEWS FLASH: IN IRAN UNA 19ENNE HA ‘PARTECIPATO ATTIVAMENTE’ ALL’IMPICCAGIONE DELLA MADRE. IN ITALIA LA CARTABIA PROPONE LA ‘GIUSTIZIA RIPARATIVA’
4.  NEWS FLASH: COREA DEL NORD: QUATTRO GIUSTIZIATI IN PUBBLICO PER VENDITA DI 'VIDEO ILLEGALI'
5.  NEWS FLASH: MYANMAR: MILITARI IMPONGONO LA PENA DI MORTE PER TRADIMENTO E DISSENSO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


NASCE IL COMITATO DI NESSUNO TOCCHI CAINO PER AMBROGIO CRESPI
 

L’11 marzo 2021 il regista non è scappato via ma si è consegnato al carcere di Opera dove aveva girato il suo capolavoro, manifesto della lotta alla mafia: Docufilm Spes Contra Spem – Liberi Dentro.

Il comitato nasce per far parlare i fatti, le carte del processo, che si incaricheranno di gridare innocenza. L’iniziativa accompagnerà gli avvocati nella revisione del processo e nel ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo. Il centro del ragionamento è la richiesta di grazia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Sarà l’occasione per raccontare una storia diversa: quella della certezza del diritto, della speranza e della non violenza, raccogliendo l’appello del ministro della giustizia Marta Cartabia al giusto processo. Il sacrificio di Ambrogio Crespi è un appello gandhiano: “sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Il comitato, fortemente voluto da Nessuno Tocchi Caino, ong radicale impegnata nella lotta contro la pena di morte, la pena fino alla morte e la morte per pena, sarà presieduto da Andrea Nicolosi, vice-presidente sarà Alessandro Arrighi, Sabrina Renna segretario, Antonio Coniglio portavoce. L’organizzazione ha una pagina Facebook “comitato Ambrogio Crespi”, Twitter ed Instagram e sarà presente sul sito istituzionale di Nessuno Tocchi Caino. (www.nessunotocchicaino.it)
Per aderire al Comitato, iscriviti a Nessuno tocchi Caino usando il link riportato sotto, specificando nella causale “Comitato per Ambrogio Crespi”.
Per saperne di piu' : https://www.nessunotocchicaino.it/cosapuoifaretu/iscriviti

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

DA OLTRE UN ANNO IN ISOLAMENTO IN UNA CELLA LISCIA. CARTABIA, AIUTACI TU
Rita Bernardini su Il Riformista del 19 marzo 2021

Una cella del carcere di Badu e Carros a Nuoro. Liscia, con unicamente un letto e un armadietto senza ante. Sta lì da più di un anno un uomo di quarant'anni in regime di sorveglianza particolare previsto dall'art. 14-bis dell'Ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti che hanno comportamenti tali da compromettere l'ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari. Il tutto avviene su richiesta della polizia penitenziaria a cui segue una decisione/disposizione del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. La misura può essere disposta per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi.
Di proroga in proroga il detenuto in questione è sottoposto a questo tipo di sorveglianza dal gennaio del 2020. L'ultima è stata disposta il 2 febbraio di quest'anno e dunque terminerà all'inizio di maggio, ma non è detto che non sarà ulteriormente prorogata. Il detenuto si trova nei fatti in isolamento e le uniche persone che incontra sono gli agenti. Già perché non può fare nemmeno i colloqui con i familiari perché sua moglie e i suoi figli vivono in Campania e, oltre alle limitazioni dovute al COVID, non possono permettersi il viaggio per arrivare sull'isola. I difensori hanno chiesto al DAP almeno di trasferirlo sul continente per agevolare i rapporti con la famiglia tenuto conto che due dei suoi figli minori sono anche documentatamente invalidi. Niente. Diniego.
Come se tutto ciò non bastasse, il carcere lo ha privato per tutto questo lungo periodo di isolamento anche del televisore. C'è voluto l'intervento del Tribunale di Sorveglianza di Sassari che con un'ordinanza datata lo scorso 25 febbraio ha accolto il reclamo del detenuto. Il carcere ha fatto un po' di resistenza ma alla fine, a nove giorni di distanza dall'ordine della magistratura, il televisore glielo ha dato.
Interessante è leggere alcuni passaggi di questa ordinanza ragionata e motivata. Il Tribunale di sorveglianza per esempio è costretto a precisare che in regime di sorveglianza particolare “non sono consentite privazioni che non trovino alcuna giustificazione con il comportamento del detenuto oppure, ovviamente, che abbiano una mera finalità afflittiva” e che “nel caso in esame non è dato conoscere il motivo per il quale dalla cella sia stata asportata la televisione, solitamente ancorata con idonei supporti ad una parete, sicché sulla base degli atti deve ritenersi che questa sia una privazione del tutto immotivata e non funzionale alle esigenze di sicurezza”.
Con la saggezza del buon padre di famiglia il Tribunale rileva inoltre che “la privazione dell’apparecchio TV e della possibilità che questo offre al detenuto di occupare del tempo in modo anche interessante e rasserenante, può contribuire a rafforzare nel detenuto, privo di sostanziali interessi, risentimenti e recriminazioni che ben possono, alla lunga, sfociare in ulteriori atteggiamenti irrispettosi e violenti nei confronti del personale della Polizia penitenziaria”.
Siamo di fronte ad un detenuto molto difficile con un passato da dipendenza da cocaina. I magistrati del Tribunale sembrano suggerire che forse quello non è il modo più efficace di trattarlo. Non so quante volte sia stato visitato da uno psicologo o dal Direttore dell'istituto anche se le regole penitenziarie lo prevedono. Se lo chiede e lo chiede al Ministro della Giustizia il deputato Roberto Giachetti che sulla vicenda ha presentato un'interrogazione parlamentare.
Come un cane lo trattano, dice la moglie, che per ben tre volte ha sporto denuncia per pestaggi e maltrattamenti nei confronti del marito. Sarà la giustizia a verificare se le denunce siano fondate o meno, certo è che quest'uomo da più di un anno non ha contatti umani significativi se si escludono quelli con gli agenti. Aggiungo che è costretto a portare un pannolone per le perdite di sangue dovute alle emorroidi per le quali avrebbe dovuto essere operato già due anni fa. Immaginatelo in una cella liscia, in isolamento e con il disagio dovuto alla malattia.
Della situazione ho personalmente interessato il DAP nella persona del Capo, il Dott. Bernardo Petralia. Nessuna risposta, nemmeno di attestazione di ricevuta dell'email inviata la mattina dell'11 marzo. Per coincidenza, proprio due giorni prima la nostra Ministra della giustizia Marta Cartabia, intervenendo al XIV Congresso delle Nazioni Unite a Kyoto, aveva richiamato i “Mandela rules", che stabiliscono regole chiarissime sul divieto di isolamenti prolungati.
Chissà se sia conosciuta all'interno dell'Amministrazione penitenziaria la relazione che il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha redatto a seguito della visita fatta in Italia nel 2019 e dedicata ai vari tipi di isolamento che vengono messi in pratica in Italia, fra cui -ricordiamolo-quello del 41-bis. A proposito del regime di sorveglianza particolare (14-bis OP) scrive di “nutrire seri dubbi riguardo alla sua attuazione pratica, in particolare la mancanza di contatti sociali e le severe restrizioni imposte ai detenuti e la mancanza di un supporto psicologico proattivo e regolare. Inoltre, la durata potenzialmente indefinita di tale misura significa che questi detenuti sono soggetti a periodi prolungati di isolamento.”
Marta Cartabia, aiutaci tu.

IN IRAN UNA 19ENNE HA ‘PARTECIPATO ATTIVAMENTE’ ALL’IMPICCAGIONE DELLA MADRE. IN ITALIA LA CARTABIA PROPONE LA ‘GIUSTIZIA RIPARATIVA’ 

Valerio Fioravanti

In Iran una ragazza di 19 anni ha “partecipato attivamente” all’impiccagione della madre. La notizia risulta talmente stridente da meritare un approfondimento.
La storia è stata pubblicata il 15 marzo da Iran Human Rights, una Ong che per comprensibili motivi di sicurezza non identifica mai i propri corrispondenti, ma asserisce di pubblicare le notizie provenienti dall’Iran solo dopo averne ricevuto conferma da almeno due fonti diverse. Quindi sì, è molto verosimile che una giovane donna, Maryam Karimi, sia stata impiccata il 13 marzo nella prigione di Rasht, e che la figlia abbia partecipato attivamente all’esecuzione.
Così IHR ha ricostruito la vicenda: “Maryam Karimi era accusata di aver ucciso il marito, un uomo violento, che abusava di lei, e che non voleva concederle il divorzio. Il padre della donna, Ebrahimi Karimi, che non aveva altro modo per salvare la figlia, l’aveva aiutata nell’omicidio”. Entrambi vennero condannati a morte 13 anni fa. All’epoca i coniugi avevano una figlia di 6 anni, alla quale era stato detto che tutt’e due i genitori erano morti.
Poche settimane fa, per prepararla psicologicamente all’esecuzione, alla giovane è stata detta la verità. Dopo l’esecuzione della figlia, Ebrahimi Karimi è stato portato al patibolo perché potesse vederla penzolare, ma poi, per motivi che la fonte non è stata in grado di specificare, è stata riportato in isolamento, e non giustiziato a sua volta. Sembra anzi che nell’arco delle prossime 48 ora verrà tolto dall’isolamento e riportato al reparto “normale”.
L’Iran, come è noto, ha modellato il proprio codice penale sull’interpretazione sciita del Corano. I reati di sangue sono normati dal concetto di “Qisas”, termine che in Occidente viene tradotto come “restituzione dello stesso tipo” oppure, più colloquialmente, "legge del taglione”. La famiglia della vittima può richiedere “qisas”, oppure può concedere il proprio “perdono”. A volte il perdono è gratuito, quasi sempre fa seguito ad un risarcimento, detto “diya”, che letteralmente sarebbe “prezzo del sangue”. Le trattative economiche per il “prezzo del sangue” generano a volte delle “esecuzioni abortite”: il condannato viene sottoposto a tutti i preparativi per l’esecuzione, compreso l’ultimo colloquio con i familiari, e all’alba viene portato al patibolo, e gli viene infilato il collo nel cappio. A quel punto il direttore del carcere annuncia che sono in corso ulteriori trattative, e l’esecuzione viene sospesa. Sono riportati casi di persone che hanno subito queste “esecuzioni abortite” anche più di una volta. Se l’accordo viene raggiunto, il condannato lascia il braccio della morte, e in alcuni casi viene anche scarcerato. Altrimenti i parenti delle vittime vengono sollecitati a compiere loro stessi alcune delle manovre relative all’impiccagione. Nei resoconti delle esecuzioni capita di leggere che il “parente” ha scalciato personalmente lo sgabello da sotto le gambe del giustiziando.
Questo coinvolgimento delle “vittime”, nella sensibilità contemporanea, appare molto controverso. Lo stesso IHR, che da 5 anni edita un rapporto annuale, sul “perdono” ha un atteggiamento ambivalente. Nell’ultima edizione (2020) notava con favore che per ogni 2 esecuzioni effettuate, 3 erano state annullate grazie al “perdono”, e che la tendenza a perdonare sta crescendo al ritmo del 10% l’anno.
Il direttore di IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, però, commentando l’esecuzione di Maryam, ha messo in luce anche l’altra faccia della medaglia: “Le leggi della Repubblica islamica fanno di una ragazza il cui padre è stato ucciso quando era bambina, la carnefice di sua madre. La Repubblica Islamica è oggi il principale promotore della violenza all’interno della società iraniana. Porre la responsabilità dell'esecuzione sulle spalle dei parenti delle vittime favorisce il perpetuarsi di ulteriori violenze e crudeltà”.
Noi europei, con il nostro “stato di diritto”, ci sentiamo molto lontani dal meccanismo tribale iraniano che assegna potere di vita o di morte al privato cittadino. Eppure, ci si passi la lettura paradossale, forse tra le nostre culture c’è un punto di contatto. La ministra Cartabia sta proponendo l’introduzione della “giustizia riparativa” nei nostri codici. Sarebbe una misura altamente innovativa.
Speriamo ci riesca, così anche in Italia la parte lesa, se si riterrà soddisfatta dal percorso riabilitativo del reo, potrà aiutarlo ad ottenere uno sconto di pena. Come dire, la parte buona del Qisas. A volte il progresso segue percorsi ben strani.


COREA DEL NORD: QUATTRO GIUSTIZIATI IN PUBBLICO PER VENDITA DI 'VIDEO ILLEGALI'

Quattro cittadini nordcoreani sono stati giustiziati pubblicamente a Pyongyang il 2 marzo 2021 con l'accusa di aver venduto "materiale video illegale", ha appreso il Daily NK.
Una fonte in Corea del Nord ha riferito l'11 marzo al Daily NK che l'esecuzione è avvenuta il 2 marzo presso il poligono di tiro di Daewon-ri, nel distretto Sadong di Pyongyang.
Le quattro persone, tra cui tre uomini e una donna, sono state giustiziate dal plotone di esecuzione di fronte ai residenti del luogo e ai capi di tutti gli inminban di Pyongyang (organizzazioni di sorveglianza di quartiere).
I quattro erano residenti di Hadang-dong, un'area del distretto Hyongjae a Pyongyang.
Guidati da un uomo sulla cinquantina insieme a sua moglie, di circa quarant’anni, il gruppo era accusato di aver trasferito film, programmi di intrattenimento e musica sudcoreani su schede SD e di averli distribuiti in tutto il Paese.
Nell’area di Hadang-dong sono molte le persone che producono sigarette contraffatte chiamate gadaegidambae. La coppia aveva lavorato a lungo nella produzione di sigarette contraffatte, acquistando componenti di sigarette da una vicina fabbrica di sigarette attraverso accordi sottobanco e importando carta per il confezionamento attraverso tutto il confine sino-nordcoreano.
Le sigarette contraffatte sono simili a quelle originali per aspetto e confezionamento, tuttavia costano la metà, il che significa che c'è forte domanda nelle aree fuori dalla capitale.
Dall'agosto dello scorso anno, la coppia aveva attirato l'attenzione delle persone nel loro distretto quando aveva aggiunto un altro piano alla loro casa, pagando inoltre i vicini affinché si trasferissero in modo da disporre della loro abitazione.
La coppia avrebbe anche creato una mini-fabbrica piena di attrezzature di produzione vicino alla loro abitazione, che impiegava da 30 a 40 persone.
I vicini trovarono strano che improvvisamente la coppia fosse diventata così benestante, dato che in genere è difficile fare tanti soldi vendendo sigarette contraffatte.
Anche un'altra coppia che gestiva un veicolo per la consegna delle sigarette contraffatte in tutto il Paese pensò che le novità relative alla coppia vicina fossero strane.
Notarono in particolare che la coppia di produttori aveva aggiunto una scatola in più alle spedizioni.
A gennaio, la coppia che gestiva il veicolo aprì una delle scatole extra per dare un'occhiata all'interno. Scoprirono che la scatola era piena di schede SD nascoste sotto due confezioni di sigarette. Dopo aver verificato che le schede SD contenevano video sudcoreani, segnalarono la coppia al Ministero per la Sicurezza dello Stato.
"Dopo l’introduzione della legge contro il pensiero reazionario, [le autorità] hanno istituito 'centri di comando combinati per l’eliminazione degli anti-socialisti e non socialisti', e dall'inizio di febbraio questi centri di comando sono operativi in ogni provincia, città amministrata direttamente e città speciale nel Paese ", ha detto la fonte.
"Il caso della coppia è stato inviato dal Ministero per la Sicurezza dello Stato al centro di comando di Pyongyang, e in seguito altri due lavoratori sulla trentina che erano stati pagati dalla coppia per duplicare le schede SD sono stati arrestati".
Secondo quanto riferito, le autorità hanno trovato grandi quantità di schede SD di fabbricazione cinese a casa della coppia. Il centro di comando di Pyongyang ha chiesto alla coppia chi avesse dato loro le schede SD, tuttavia la coppia ha affermato che dall'agosto dello scorso anno aveva ricevuto scatole con diversi dispositivi USB in due occasioni, insieme a carta per sigarette importata da oltre confine, e che non aveva idea di chi li avesse inseriti nelle scatole.
La coppia ha ammesso che nelle USB c'erano video che non avevano mai visto prima e che hanno pensato di venderli per guadagnare un po' di soldi. Successivamente hanno inserito i video su schede SD e li hanno venduti al mercato di Hadong, scoprendo che i video erano popolari. In seguito hanno preso a vendere i video in tutto il Paese.
"Il caso è stato segnalato a Kim Jong Un ed è stato ordinato che fossero giustiziati come traditori della nazione", ha detto la fonte. "Gli esami preliminari di solito richiedono circa sei mesi, ma la coppia è stata giustiziata pubblicamente in tempi rapidi affinché il loro caso fosse d’esempio".
Gli esami preliminari includono l'intero processo di interrogatorio prima che i sospetti vengano incriminati.
L'articolo 27 della legge contro il pensiero reazionario stabilisce che chiunque venga sorpreso a importare o vendere film, musica o opere pubblicate dalla Corea del Sud debba scontare l’ergastolo ai lavori forzati o l’esecuzione capitale, secondo i documenti ottenuti dal Daily NK.
I figli adolescenti della coppia sono stati mandati nel campo di concentramento di Bukchang 18, nella provincia di South Pyongan, gestito dal Ministero per la Sicurezza Sociale. I familiari stretti delle altre persone giustiziate che vivevano a Pyongyang sono stati tutti esiliati in altre regioni del Paese.
(Fonti: Daily NK, 12/03/2021)


MYANMAR: MILITARI IMPONGONO LA PENA DI MORTE PER TRADIMENTO E DISSENSO

Tra le crescenti violenze in Myanmar a seguito del colpo di stato del 1° febbraio 2021, l'esercito il 16 marzo ha imposto la pena di morte come possibile punizione per tradimento, dissenso e altri reati contro il governo.
Sulla base dell’ordine che stabilisce la legge marziale, il Consiglio di Amministrazione dello Stato delle forze armate, istituito in seguito alla presa del potere, ha dichiarato che assumerà anche l'amministrazione dei tribunali di Yangon, ha riportato l’agenzia Kyodo News.
Tra i suoi crescenti tentativi di reprimere le proteste contro il colpo di stato, la giunta militare ha detto che avrebbe imposto pene severe, comprese lunghe pene detentive e la morte, per reati tra cui tradimento e dissenso, ostacolo al servizio militare o civile, diffusione di notizie false e della paura, secondo i media locali. Sono 23 le categorie di reati che, secondo l'ordine, comportano un processo davanti alla corte marziale, senza possibilità di appello per sentenze o riconoscimenti di colpevolezza.
Tuttavia, una domanda per annullare una condanna a morte potrà essere presentata al generale Min Aung Hlaing, presidente del Consiglio di Amministrazione dello Stato, entro 15 giorni dalla condanna, secondo l'ordine.
La legge marziale è stata dichiarata in due township di Yangon, Hlaingthaya e la vicina township di Shwepyithar, il 14 marzo, dopo che i militari avevano aperto il fuoco sui manifestanti anti-colpo di Stato, uccidendo almeno 38 persone.
Il 15 marzo sono seguiti ordini analoghi per altre quattro township di Yangon.
(Fonti: Business Standard, 17/03/2021)

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