"Primitivo" di Pedro Lenz (Gabriele Capelli Editore, traduzione di Amalia Urbano)

 

"Dal primo incontro al giorno dell'incidente era passato esattamente un anno. Ma poi, quando è morto, mi era sembrato di conoscerlo da molto prima. Ci siamo raccontati a vicenda tantissimo su di noi; lo faceva soprattutto lui visto che io, per motivi d'età, avevo molto meno da raccontare. Intendo dire che non ero ancora mai uscito dall'Europa e anche in Europa avevo visto solo pochi posti. Di conseguenza non avevo molto da raccontare sui paesi stranieri. Lo stesso valeva anche per il tema guerra, non potevo certo competere. Primitivo aveva vissuto in prima persona due guerre, mentre io non sapevo nemmeno cosa significasse una guerra tra bande combattuta nel bosco di Schoren. Ma avevo comunque idee e pensieri di cui poter parlare. Per avere esperienza bisogna avere una certa età, ma per avere idee non è indispensabile. Primitivo stesso diceva che l'esperienza viene sopravvalutata, soprattutto da coloro che credono di aver già visto e capito tutto. L'esperienza da sola non serve a nulla. L'esperienza serve solo quando da essa si riescono a trarre le giuste conclusioni. Ma per farlo bisogna saper riflettere e riflettere risulta troppo faticoso per la maggior parte delle persone. Diceva anche che si dovevano leggere libri, perché i libri aiutano a riflettere, e questo me lo ripeteva continuamente, anche se a dire il vero a me non c'era bisogno di dirlo, visto che leggevo spesso e volentieri." (pp. 19-20)

"Primitivo" ultima prova dello scrittore svizzero Pedro Lenz (Gabriele Capelli Editore, traduzione di Amalia Urbano) è un magnifico e struggente romanzo, ambientato nel 1982 a Langenthal e dintorni, sull'amicizia fra Charly, un giovane apprendista muratore  (dietro cui è facile scorgere lo stesso Lenz) che ha sete di ribellione (la madre in particolare non ha gradito il suo percorso formativo)  e vive di sogni, libri, avventure con gli amici, e Primitivo, un anziano e schivo muratore spagnolo, che lavora sin da quando è bambino, ha combattuto durante la Guerra Civile Spagnola ed è un vorace lettore di poesie. Nelle prima pagine del romanzo Primitivo muore sul lavoro e questa tragedia diventa lo spunto per Charly di raccontare la sua amicizia con Primitivo fatta di consigli sottovoce, spunti di lettura, silenzi che nascondono tragedie e zone d'ombra, riflessioni sull'emigrazione, racconti di guerra o su fantomatici matrimoni in Uruguay che coinvolgono il criminale nazista Josef Mengele e poi monete d'oro e intanto Charly lavora duramentee si spacca la schiena sui cantieri (bellissime le pagine sul lavoro), impara a farsi rispettare dai colleghi e dagli insegnanti, s'innamora, si ubriaca (fantastici gli U-Boot e sono una vita che non bevo una pinta simile: "In quegli anni, gli U-Boot erano molto in voga tra noi giovani. Erano delle pinte di birra in cui si faceva affondare un bicchierino di grappa alla frutta. Qualcuno preferiva la grappa alle erbe, ma alla frutta scendeva giù meglio") , si ribella, organizza il funerale del suo caro amico scomparso con un prete sui generis e per la prima volta si sporca le mani accorgendosi, come gli diceva Primitivo, che la vita non è fatta di purezza, di bianco e nero ma è molto più confusa e nessuno non commette mai errori.

"Primitivo" è soprattutto un grande atto d'amore verso la narrazione, quella popolare ma non banale di cui Pedro Lenz è un vero maestro, quella che non ha paura di sporcarsi, di contaminarsi, di mescolare realtà e fantasia, di raccontare i bassifondi, i perdenti, gli sconfitti, gli esiliati, i lati oscuri della nostra vita, la durezza del lavoro e la dignità di tutti i lavori, di far sognare, di tenerti compagnia e di prenderti a schiaffi, di farti piangere, di abbracciarti nei momenti neri e di bussare alle porte del tuo cuore. 

È un romanzo che mi ha colpito nel profondo perché anche i miei genitori non hanno mai gradito che io lasciassi l'università e che finissi a lavorare in fabbrica e adesso a fare pulizie e popcorn in un cinema e anche perché ci sono tantissime volte da quando lavoro in Svizzera che mi sento straniero, senza una patria, di essere solo un lavoratore pagato quel tanto che basta e nient'altro e ogni volta che torno in Italia mi accorge che vivo nel passato e cerco nel paesaggio, nelle città, nel mio paese qualcosa che è scomparso e mi sento estraneo, lontano, distante e tanti non mi riconoscono nemmeno più e quando si mettono a parlare con me, finite le chiacchiere sulla Svizzera non abbiamo nulla da dirci perché non sappiamo nulla e finisce che ci salutiamo pieni di imbarazzo e silenzi.

E perché come Charly anche io mi sono accorto di essere diventato adulto quando mi sono sporcato le mani per la prima volta e sono rimasto per ore a guardarmi nello specchio senza quasi riconoscermi.

"Infatti, molti operai stranieri, presi dalla nostalgia e accecati dal ricordo della patria, non riescono più a ragionare. Organizzano tutta la loro vita in funzione del grande rientro in patria. Sognano di quando verranno accolti come figli perduti o valorosi guerrieri. Si vedono, al ritorno nei loro paesi, come degli eroi acclamti che sono andati per il mondo e ora tornano per raccontare tutto quello che hanno visto. Ed è così che il ritorno a casa normalmente diventa un flop. E lo deve diventare, perché la realtà, non riuscirà mai ad eguagliare la fantasia." (pag. 44)

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