NESSUNO TOCCHI CAINO - USA: SOPRAVVISSUTO ALL’INIEZIONE LETALE MUORE DI CANCRO, IL DRAMMA DI HAMM
Nessuno tocchi Caino News
Anno 21 - n. 45 - 04-12-2021
Contenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : USA: SOPRAVVISSUTO ALL’INIEZIONE LETALE MUORE DI CANCRO, IL DRAMMA DI HAMM
2. NEWS FLASH: MANFREDONIA, DOPO IL COMMISSARIAMENTO IL COMUNE STA ANCORA PEGGIO
3. NEWS FLASH: EGITTO: CORTE DI CASSAZIONE CONFERMA 22 CONDANNE CAPITALI
4. NEWS FLASH: BANGLADESH: 13 CONDANNATI A MORTE PER IL LINCIAGGIO DI SEI STUDENTI
5. NEWS FLASH: MALESIA: ANNULLATA CONDANNA A MORTE PER TRAFFICO DI CANNABIS
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
USA: SOPRAVVISSUTO ALL’INIEZIONE LETALE MUORE DI CANCRO, IL DRAMMA DI HAMM
Valerio Fioravanti su Il Riformista del 3 dicembre 2021
Un film giapponese del 1968, “L’Impiccagione”, raccontava la storia di
un uomo che veniva impiccato, e una volta tirato già dal patibolo si
scopre che il cuore batteva ancora. Lo fanno rinvenire e vogliono
impiccarlo di nuovo. L’uomo però ha perso la memoria, non ricorda il
crimine che ha commesso e, quindi, si crea il dilemma: si può
giustiziare un uomo una seconda volta, soprattutto se non ha più memoria
di quello che ha fatto?
Nel 2013 Nessuno tocchi Caino aveva riportato che una cosa molto simile
era accaduta in Iran: Alireza, impiccato per reati di droga, al momento
del funerale si era risvegliato e anche in quel caso le autorità,
d’impulso, sostenevano che andasse impiccato di nuovo, perché, si disse,
lo Stato deve essere inflessibile. Montarono forti polemiche e l’uomo,
che comunque stava molto male, venne risparmiato “per motivi umanitari”.
Sempre in Iran, nel febbraio di quest’anno, portarono una donna al
patibolo. Prima di lei avevano impiccato altre persone e Zahra Esmaili,
mentre attendeva il suo turno, morì per infarto. Nessuno ritenne di
avere l’autorità di disattendere un ordine del tribunale e la donna fu
impiccata lo stesso, anche se era già morta. E anche un mese fa, sui
siti che seguono la difficile situazione dei diritti umani in Iran, era
comparsa una notizia, non ben delineata, di un uomo che sembra fosse
stato trovato vivo dopo la sua impiccagione.
Il 28 novembre mattina, in Alabama, in una nazione che ritiene di essere
molto più civile dell’Iran, è morto di cancro un uomo, Doyle Hamm, 64
anni, bianco, che tre anni fa era sopravvissuto alla sua esecuzione per
iniezione letale. Non che lui fosse particolarmente forte, anzi. Erano i
suoi “giustizieri” ad aver sbagliato tutto. Hamm era un
tossicodipendente, ed aveva ucciso un uomo durante una rapina. Aveva
ammesso il fatto, limitandosi a chiedere le attenuanti per un’infanzia
sventurata e le ridotte capacità mentali aggravate dall’abuso di
sostanze.
Il lungo passato di tossico e due chemioterapie per un cancro al cranio e
un linfoma in fase terminale avevano indotto molti a prevedere che le
vene di Hamm sarebbero collassate prima di riuscire a veicolare il
cloruro di potassio dentro il cuore, per fermarlo definitivamente.
Il procuratore generale ha disatteso il parere di tutti i medici
consultati, limitandosi a sostenere che nel corpo umano le vene sono
tante e una adatta doveva pur esserci. In fin dei conti doveva
resistere, la vena, solo due o tre minuti. E a chi consigliava allo
Stato che sarebbe stato più semplice attendere l’ormai imminente morte
naturale del reo, le corti di grado più alto risposero che quello non
era un argomento “giuridico” e, quindi, non sospesero il mandato di
esecuzione.
Alle 9 di sera, il 22 febbraio 2018, Hamm è stato legato a una barella e
gli agenti hanno iniziato a inserire aghi nelle sue vene, vene che
regolarmente si rompevano, riempiendo il condannato di ematomi, ma
soprattutto rendendo chiaro che i 3 farmaci, prima un narcotico leggero,
poi uno pesante e infine il veleno, non avrebbero circolato. Dopo 2 ore
e mezzo, dopo aver perforato per sbaglio anche la vescica, dopo aver
danneggiato tutte le vene, gli agenti hanno mostrato segni di fortissimo
stress (così narrano le cronache, che non accennano a un altro stress
che si presume non fosse lieve, quello di Hamm), ed è intervenuto un
funzionario: la mezzanotte era ormai prossima e la legge vuole che il
condannato muoia nel giorno prefissato, non in un altro. L’esecuzione è
stata sospesa, o come dicono in America, “abortita”.
Un gruppo di giornali ha fatto causa allo Stato, chiedendo di avere più
informazioni su come viene selezionato e formato il personale, ed altre
cose che invece le amministrazioni preferiscono tenere segrete. Una
giudice federale assegnò il primo round della contesa ai media: “Il modo
in cui l’Alabama compie le sue esecuzioni è una questione di grande
interesse pubblico, e, valutando le leggi del nostro stato, il diritto
che ha l’opinione pubblica di conoscere è superiore al diritto
dell’Amministrazione di nascondere”.
Lo Stato, in difficoltà, ha raggiunto un accordo “informale” con i
media: per Hamm si sarebbe attesa la morte naturale e loro, almeno per
un po’, avrebbero smesso di fare domande scomode. I giornali, che almeno
loro hanno mostrato un poco di pietà per Hamm, avevano accettato il
compromesso. Ma dalle ultime parole di Hamm capiamo che qualcun altro
aveva avuto compassione: la dottoressa Connie Uzel, l’oncologa,
paracadutista, canoista, madre di tre figlie, che Hamm ha voluto
ringraziare per averlo assistito gratuitamente in questi ultimi anni. E,
così come Pannella avrebbe ringraziato quel giudice che ha scritto che
il diritto a conoscere è superiore al diritto a nascondere, Nessuno
tocchi Caino ringrazia, qui, la dottoressa Uzel, in parte per la sua
scienza, ma molto di più per la sua coscienza.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
MANFREDONIA, DOPO IL COMMISSARIAMENTO IL COMUNE STA ANCORA PEGGIO
Angelo Riccardi* su Il Riformista del 3 dicembre 2021
Doveva essere la campagna elettorale per analizzare e proporre la città del futuro, ma si è invece trasformata nella più squallida campagna di diffamazione e mistificazione mai vista prima.
I tre temi fondamentali, mafia e organizzazioni criminali, conti e risorse per fare le cose promesse, futuro e sviluppo della città, sono stati affrontati come inutili slogan elettorali, con incredibili strafalcioni e grande improvvisazione.
Non si può sottacere l’approssimazione riservata al tema più eclatante che ha colpito la città negli ultimi anni, ovvero quello dello scioglimento per infiltrazioni mafiose. Evidentemente ai tanti sfugge che per sciogliere un Comune non è necessario l’accertamento di reati penali, ma è sufficiente che emergano rapporti, relazioni o frequentazioni con soggetti affini alla criminalità organizzata, anche a prescindere dal fatto che i politici abbiano voluto assecondare le richieste mafiose. Occorre ricordare, ad esempio, che decine di Comuni, dopo essere stati sciolti per mafia una prima volta, tornano a esserlo per la seconda e, in alcuni casi, anche per la terza volta. Lo “Stato” si è preoccupato di allontanare il ceto politico, ma ha lasciato fermi al proprio posto i dirigenti, chiamati alla gestione concreta della macchina amministrativa. Nessun sindaco può prescindere dal loro operato, nessun atto può essere sottratto alla loro competenza. Spesso in uffici a “rischio” il dirigente si trova a fungere da “cerniera” tra il consenso del politico e la pressione del mafioso.
Se il Governo ha scelto di sciogliere il consiglio comunale di Manfredonia, ritenendo valida la narrazione del Prefetto di Foggia, se la giustizia amministrativa direttamente dipendente dal Governo, in tutti i gradi di giudizio, ha ritenuto valide le supposizioni che hanno portato allo scioglimento, nessuno può prescindere dalle 365 pagine della commissione di accesso. Chi fa finta di non capirlo si ritroverà a pagare un prezzo altissimo per sé e per tutta la comunità.
Io credo che la norma vada profondamente rinnovata, anche perché il procedimento è esclusivamente inquisitorio.
Oltre due anni è durato il commissariamento per mafia del Comune di Manfredonia. Ci sono stati inviati uomini o già oberati da altri gravosi impegni d’ufficio o senza neppure verificarne la idoneità e l’attitudine al governo di un Ente. Commissari presenti al Comune solo per uno-due giorni la settimana. Un Comune commissariato non è un luogo per il tempo libero: bisogna starci sette giorni su sette. Servivano commissari con propensione al dialogo e al confronto con i cittadini. Tutto questo ha mortificato il confronto e la politica opportunisticamente si è sottratta dallo svolgere il suo ruolo.
Sul tema più delicato del Bilancio nulla è stato detto. Così come nulla è stato detto sui ritardi dell’approvazione definitiva del piano, che hanno avuto irrimediabili ripercussioni sulla possibilità del Comune di attingere ai fondi straordinari messi a disposizione dal Governo per gli enti in pre-dissesto.
A tutto questo bisogna aggiungere che, nonostante i poteri tutti riassunti nelle mani dei commissari, nulla è stato fatto sull’organizzazione della macchina amministrativa. Per non parlare dei nuovi concorsi: dopo due anni si sono partoriti bandi pasticciati, più volte revocati, dimostrando un’approssimazione disarmante. La politica degli organi collegiali, del confronto esasperato, delle mediazioni, avrebbe fatto di gran lunga meglio.
Cosa dire dell’Azienda Servizi Ecologici? Nonostante l’aumento della Tari, il servizio ha perso punti percentuale nella raccolta e si è dimostrato inefficace e disorganizzato come mai nel passato. Per non parlare degli obblighi di trasparenza degli atti amministrativi più volte disattesi. Sarebbe il caso di capire anche che fine hanno fatto alcune delle progettazioni finanziate dalla precedente amministrazione.
Ho l’amara e netta sensazione che siamo stati fermi per oltre due anni, mentre lo sviluppo e il futuro passano attraverso la capacità di riprendere un cammino bruscamente interrotto dalla decisione di un Governo, in un momento delicato per tutti noi. Il prossimo sindaco è chiamato a
svolgere un ruolo decisivo, non solo per rimettere insieme i pezzi di una comunità lacerata e disorientata, ma soprattutto per dare una visione chiara di sviluppo.
Non c’è il tempo per inventarsi cose nuove e straordinarie, c’è la necessità di ripartire da tutto quello che è già in piedi e che ha bisogno di camminare. C’è la necessità di recuperare i due anni persi e di progettare la Manfredonia del futuro.
* Ex Sindaco di Manfredonia
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EGITTO: CORTE DI CASSAZIONE CONFERMA 22 CONDANNE CAPITALI
La Corte di Cassazione egiziana il 25 novembre 2021 ha respinto i ricorsi presentati dagli imputati nel caso "Ansar Bayt Al-Maqdes", confermando le condanne a morte di 22 persone.
Le condanne erano state originariamente emesse dalla Corte Suprema per la Sicurezza dello Stato in relazione all’uccisione dell'ufficiale del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale Mohamed Mabrouk e per aver condotto 54 attacchi terroristici nel Paese.
La sentenza della Corte di Cassazione obbliga inoltre i condannati a pagare allo Stato una multa di 198,7 milioni.
Le condanne a morte confermate dalla Corte di Cassazione non possono essere appellate.
La Corte ha condannato a morte anche Ahmed Ezzat per aver finanziato l’operazione che ha portato all’uccisione di Mabrouk.
I 22 imputati sono stati riconosciuti colpevoli di appartenere al gruppo Ansar Beit al-Maqdis, che ha promesso fedeltà allo Stato Islamico nel 2014.
La stessa Corte di Cassazione, la più alta corte d'appello egiziana, ha inoltre confermato le pene detentive di altri 118 imputati nello stesso caso, che vanno da diversi anni all'ergastolo.
Secondo le indagini svolte della procura nel caso “Ansar Bayt Al-Maqde”, gli imputati hanno assassinato l'ufficiale Mohamed Abu Shakra e il generale maggiore Mohamed El-Saeed, ex assistente del ministro degli Interni.
Avrebbero anche tentato di uccidere Mohamed Ebrahim, l'ex ministro degli Interni, e hanno fatto esplodere le Direzioni della Sicurezza al Cairo e Dakahlia.
Secondo le indagini, gli attacchi terroristici commessi dagli imputati avrebbero provocato il ferimento di oltre 340 cittadini.
(Fonte: Egypttoday, 25/11/2021)
BANGLADESH: 13 CONDANNATI A MORTE PER IL LINCIAGGIO DI SEI STUDENTI
Un tribunale di Dacca il 2 dicembre 2021 ha condannato a morte 13 persone e altre 19 all'ergastolo con l'accusa di aver ucciso sei studenti nel villaggio di Aminbazar, alla periferia della città, 10 anni fa.
Il giudice distrettuale Ismat Jahan ha assolto altri 25 imputati poiché il loro coinvolgimento nel linciaggio non è stato dimostrato.
Il 18 luglio 2011, la notte di Shab-e-Barat, quando i musulmani di solito stanno alzati fino a tardi per pregare, una folla di abitanti del villaggio picchiò a morte gli studenti di diverse scuole e college di Dhaka sospettandoli di essere dei rapinatori.
I sei studenti uccisi si chiamavano: Tipu Sultan del Tejgaon College, Towhidur Rahman Palash, Kamruzzaman Kanto e Ibrahim Khalil del Mirpur Bangla College, Shams Rahim Shamam della Maple Leaf International School e Sitaf Jabi Munif della Bangladesh University of Business and Technology.
Il loro amico Al Amin fu l’unico a salvarsi.
La sentenza è stata pronunciata alla presenza di 41 imputati in un'aula gremita. Altri sedici imputati sono latitanti.
Tre degli imputati sono morti nel corso del processo.
I condannati a morte – Abdul Malek, Saeed Member, Abdur Rasheed, Ismail Hossain, Jamsher Ali, Mir Hossain, Mojibur Rahman, Anwar Hossain, Rajjab Ali Sohag, Alam, Rana, Abdul Hamid e Aslam Mia – sono stati anche multati di 20.000 Taka ciascuno.
I condannati all'ergastolo sono: Shaheen Ahmed, Farid Khan, Rajib Hossain, Wasim, Sattar, Selim, Monir Hossain, Alamgir, Mubarak Hossain, Akhil Khandaker, Bashir, Rubel, Nur Islam, Shahad Hossain, Tutul, Masud, Moklesh, Totan e Saiful.
Sono stati anche multati di 10.000 Taka ciascuno e in caso di mancato pagamento dovranno passare altri sei mesi dietro le sbarre.
Il pubblico ministero Sheikh Hemayet Hossain ha dichiarato: "Siamo soddisfatti del verdetto. Esamineremo il verdetto e se pensiamo che qualcuno debba essere punito, allora ci rivolgeremo all'Alta Corte".
L'avvocato difensore Sheikh Siraj Uddin ha detto: "Non c'è nessun testimone oculare nel caso e il funzionario inquirente non ha indagato adeguatamente sul caso e ha presentato accuse con superficialità".
"Il giudice non ha esaminato adeguatamente i testimoni - ricorreremo all'Alta Corte", ha aggiunto.
Il pubblico ministero ha affermato che 92 persone sono state citate come testimoni, tuttavia il giudice ha emesso il verdetto dopo aver ascoltato solo 55 testimoni.
In seguito ai fatti di Aminbazar, un uomo d'affari locale di nome Malek ha presentato una denuncia per rapina contro Al-Amin e le sei vittime.
Un'inchiesta giudiziaria ha poi accertato che gli studenti non erano rapinatori.
Gli inquirenti presentarono quindi presso la stazione di polizia di Savar una denuncia di omicidio nei confronti di almeno 500 abitanti del villaggio non identificati.
Il Battaglione d'Azione Rapida, il 13 gennaio 2013 formalizzò accuse contro 60 persone nel caso.
Il 30 ottobre dello stesso anno la procura presentò accuse contro gli imputati.
(Fonti: Tbsnews, 02/12/2021)
MALESIA: ANNULLATA CONDANNA A MORTE PER TRAFFICO DI CANNABIS
Una Corte d’Appello malese il 25 novembre 2021 ha annullato la condanna a morte di uno studente di ingegneria del Bangladesh a causa di un "errore" commesso dal giudice del processo di primo grado.
La condanna capitale era stata emessa in relazione a un traffico di 3,8 kg di cannabis, avvenuto nel 2017.
Lo studente è stato identificato come Md Habibul Hassan Khan, 26 anni, che studiava in un'università privata in Malesia e viveva in una stanza di ostello.
Il collegio di tre membri della Corte d'Appello ha stabilito che l'appello di Habibul è fondato, ritenendo che l'accusa non sia riuscita a dimostrare che l’imputato fosse consapevole della presenza della droga, ha riportato il quotidiano malese The Star.
Sebbene nella sua stanza sia stata trovata una borsa contenente cannabis, Habibul in sua difesa aveva affermato che la borsa apparteneva a un altro studente di nome Jawad, hanno detto i giudici della Corte d’Appello.
"Questo studente (Jawad), che si trovava all'esterno dell’università, si è suicidato il giorno dopo che l’imputato è stato fermato per la borsa.
"Il giudice di primo grado non ha considerato questo elemento e lo ha semplicemente scartato", ha affermato il giudice Datuk Hanipah Farikullah.
Il giudice del processo ha commesso un "errore di fatto e di diritto" perché la confessione dell’imputato al direttore del suo ostello Shazereen Kamaruddin non poteva essere accettata poiché il giudice non ha posto le domande corrette, ha aggiunto.
Habibul aveva presentato appello contro la decisione dell'Alta Corte di Shah Alam dell'aprile 2019, dopo essere stato riconosciuto colpevole di aver trafficato droga nella sua stanza di ostello dell'università di Semenyih, secondo The Star.
Era stato accusato ai sensi della Sezione 39B (1) (a) del Dangerous Drugs Act 1952 che prevede la pena di morte obbligatoria in caso di colpevolezza.
(Fonti: bdnews24, 26/11/2021)
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