Adele, le foibe e i libri

 


E i libri arrivano e sto meglio anche se sto di merda davvero e mi sforzo di non crollare.

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Sono stato tirato dentro per caso nelle "polemiche" (ho un'amica che è una sua super fan) sul discorso pronunciato da Adele ai Brit Awards dopo aver ricevuto il "Gender Neutral Artist of the Year" che tra l'altro è davvero un nome del cazzo e bruttissimo per un premio. Ha espresso parole semplici, di cuore, si è detta felice di essere una donna e via con le polemiche che ormai sono polemiche social e che non fanno che attivare l'odio in tutte le sue forme. 

E mentre cercavo di dire che per me erano polemiche del cazzo e che uno è liberissimo di dire quel che cazzo che vuole ho pensato a un ragazzo più grande di mia sorella di due o tre anni che conobbi quando ero un ragazzino. Era un grunge. Quando era uscito Bleach era già un adolescente. Un ragazzo buono, suonava un po' la chitarra e ogni volta che suonava qualche canzone (che non erano poi tanto grunge ma qualcosa fra il cantautorato italiano e quelle cose alla Elliott Smith) le dedicava agli esuli dell'Istria e Dalmazia. Era figlio e nipote di esuli giuliano-dalmati. Di politica gliene fregava pochissimo e non era certo di Destra ma la ferita di quell'esodo gravava su di lui come una ferita impossibile da rimarginare. La sua non era una famiglia di fascisti o di ricchi o di collaborazionisti ma semplicemente una di quelle famiglie che viveva in quelle zone da tempi immemorabili, ancor prima che esistesse un'Italia come la intendiamo noi. 

Qualche anno fa ci siamo ritrovati per caso in un bar e dopo essere finiti a parlare di quegli anni mi disse che quella ferita gli rovinava la vita, che aveva rovinato la vita dei suoi genitori. Era come una colpa, un fantasma che lo macerava da dentro. Una questione privata ma che lo riempiva di un dolore immane. E che l'istituzione del Giorno della Memoria lo aveva quantomeno aiutato a risolvere una parte dei problemi personali. Ma che quella casa perduta, quei campi, quella vita erano sempre al suo fianco, una costante nei discorsi. Parte del suo Dna.

Una volta quando espresse queste sue parole di dedica partirono dei fischi e delle grida che gli davano del fascista e questo ragazzo gentile, schivo, timido non seppe cosa rispondere e se ne andò via. Senza voglia di litigare o reagire. Per lui quelle canzoni erano dedicate a una parte della sua vita. E questi fischiavano. Sognavano la Resistenza. Riempivano la sala di grida contro il fascista. E lui voleva solo cantare dei suoi drammi quotidiani, del suo cuore spezzato, del suo non voler lavorare.

Tutto qui.

C'è una persona importantissima nella mia vita col cuore che vive ancora di quell'esodo che si chiama Gianfranco Franchi, uno scrittore e intellettuale fra i migliori e piu' onesti della mia generazione ma purtroppo ancora poco conosciuto fuori dagli addetti ai lavori. 

Ed è anche grazie a lui che mi è venuta voglia di leggere questo libro.

Su tutta la vicenda delle foibe non voglio scrivere una sola riga (e non ho alcuna voglia di entrare in discussioni se sia giusto o no il Giorno del Ricordo o del numero degli infoibati e non consigliatemi video o altro perché con una come Alessandra Kersevan ci ho mangiato e ci siamo scritti per tanto tempo... quindi lasciate stare tutto ma tutto tutto tutto tutto) ma personalmente mi associo a un pensiero di mio nonno, partigiano nei Balcani, che era perplesso su vie dedicate a Stalin o Tito. Forse revocare l'onorificenza a Tito non sarebbe un brutto gesto e forse potrebbe anche essere la fine di un periodo terribile.

Commenti

  1. È veramente ingiusto io modo in cui sono stati trattati i profughi italiani, che ancora oggi c'è chi fatica a riconoscerlo.

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    1. Per me una vera schifezza. Certo paragonarlo all'Olocausto o altri situazioni è per me fuori luogo ma spesso chi stenta a riconoscerlo non sa nemmeno che vuol dire abbandonare tutto e rifarsi una vita altrove.

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    2. Dalle mie parti c'era un campo profughi, una situazione ignomignosa per i deportati.

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  2. Marina di Carrara, vivere lì deve essere stato davvero difficile.

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