Ho preso in prestito questo libro in
uno dei miei giorni liberi al cinema. Non è che sto lavorando tanto
in questo periodo. Non uso lo “stiamo” volutamente. Perché sono
io che ho un contratto su chiamata e senza garanzie. Quindi sono io a
non lavorare e non il cinema della grande catena. Sono elemento
sacrificabile e negli ultimi mesi non sono riuscito poi tanto a
tenere a bada la mia lingua che sa essere molto feroce. Ne ho i
coglioni pieni di tutta questa situazione ma non so davvero che fare.
E quando torno a casa dal lavoro mi sento libero ma anche vuoto,
scocciato, irrisolto. Fuori posto nel cinema e nella società. Col
lavoro e senza lavoro. Refrattario a tutto quanto. Ma almeno quando
non lavoro e mi alzo presto, ormai ho la sveglia puntata alle 4 e 45
fissa, riesco a far colazione e mettermi a leggere. O anche solo ad
accendere un disco e starmene sul letto a scrivere due righe o a non
fare un cazzo di niente. Ma non ho mai veramente giorni liberi.
Perchè mi chiamano spesso. E quasi sempre per scaricarmi addosso
altra ansia. Tutta roba di lavoro che senza cellulari e social forse
si sarebbe anche dissolta nell'aria. Ma ormai la gente non ce la fa
mai ad aspettare per le stronzate. Devi essere connesso. Non puoi
spegnerlo il telefono e se lo spegni ti fanno le battute e guai se la
prendi.. Devi esserci sempre e comunque.. E allora ecco che arriva
nel giorno libera una telefonata per una stronzata delle solte. E
l'ansia che mi sale. E tanta voglia di piangere. E già sono uno che
di mio non si vuole per niente bene. E volevo solo rimanere in casa
ma alla fine sono uscito a camminare e sono finito in biblioteca e mi
sono portato via la racolta di racconti dello scrittore ticinese
Giorgio Genetelli “Laconta degli ostinati” (Gabriele Capelli Editore) uscita nel 2017 ma
il Genetelli probabilmentedirà che questi racconti li ha scritti
nel 1960 o nel 1937 o l'altro ieri e io gli risponderei che questo libro ha le
dimensioni esatte del pacchetto di sigarette dei miei sogni quando a 12 anni avevo cominciato a fumare. Un pacchetto grande, gigantesco che potevo far
scomparire e insieme dischiudere per amici e una ragazzina che mi
piaceva un sacco.. Un libro che sono riuscito a mettermelo nella
tasca del mio giaccone da becchino, tutto nero, preso in sconto
perché nessun altro lo volevo. E volevo camminare per far sbollire
la rabbia e le troppe birre bevute la sera prima e invece mi sono
seduto davanti al lago con ancora una gran voglia di piangere e di
gettare dentro all'acqua cosparsa di foglie e rami il mio badge, il
cellulare, lo zaino. Tutto ma davvero tutto per questa mia voglia di
scomparire e di non esserci più e di affondare lontano. Perché
davvero ne ho pieni i coglioni di tutto. E poi ho aperto questo
libricino coi sorrisi degli asini in copertina che mi hanno fatto
pensare a un mio amico che mollò tutto e con la sua compagna rimise
in piedi un roccolo in una valle fuori Lecco e ci vive con un asino,
la compagna, una figlia e i terrazzamenti. E ho cominciato a leggerlo
questo libro. E mi ssentito abbracciato. L'altro libro di Genetelli
che ho letto
(Merluz Vogn) l'ho stroncato e lo stroncherei anche domani ma questi
diciotto racconti vivono di un respiro che sa di vita e di morte, di
ribellione e di sorrisi, di intraducibile, di spirito libertario che
mi ha fatto sentire a casa. Mi hanno fatto piangere quando racconta
di padri e madri, di sconfitti, di ribelli, di piccole cose. Questi
racconti hanno un sapore che è lo stesso di quando volevo scappare
via dal collegio, di quando volevo mandare a fanculo tutte le
aspettative di mio padre (e ancora oggi sono la vergogna di mio padre
perché ho mollato l'università ma tanto c'è mia sorella che ci
pensa lei coi suoi successi a tenere in alto l'onore della famiglia),
delle persone che ho conosciuto finite in carcere o latitanti, di mio
nonno partigiano, dei miei compagni radicali, di me stesso che sono
in vita per puro caso, della mia compagna che fa lavori di merda da
sempre e che rimane la stessa ragazza inafferrabile che ho incontrato
alla stazione di Desenzano, di mia nonna lesbica, dei manicomi dove
corro sempre il rischio di finire, delle birre, del vino, delle
montagne non addomesticate dal turismo, della povertà,
dell'emigrazione, della morte, della voglia di libertà, di una lingua pastosa di dialetto e oralità e suoni e odori e letteratura che non insegue mode e classifica, di Don
Chisciotte e Panza e di quei mulini che stanno davanti ai nostri
occhi, del sangue che risuona di Resistenza ai nazisti e Guerra Civile in Spagna, di
emancipazione, di anticlericalismo, di amicizia, di conflitti familiari, di piazze e teatri e comuni finalmente liberi.
Ho pensato a Nicola Pezzoli, a Davide
Bregola, a Maurizio Milani, a Gogol, a Ermanno Cavazzoni, al Plinio
Martini mentre leggevo questi racconti. Al loro essere inafferrabili,
al loro mescolare tragedia e ironia, avventura e libertà, al loro
sguardo infantile, puro ma segnato da mille problemi, dolori,
indecisioni, fallimenti.
Però ecco, tutte le righe sopra sono
di troppo.
Perché questi 18 racconti mi
piacerebbe che li leggeste come è accaduto a me quando ho letto Don
Chisciotte o Martin Eden da ragazzino.
Senza saperne un cazzo.
Con la mente sgombra da preconcetti o
recensioni.
E poi son cazzi vostri, anche se non vi va di leggerli.
E se non vi piacciono, mica è un
problema.
Io sono un uomo di colline, di lago, di
mare, di stanze, un liberale e soffro pure di vertigini e patisco il
freddo e la neve mi fa venir voglia di morire.
Genetelli no.
Eppure mi sono sentito a casa in questi
racconti
Perché c'è tantissima libertà in
queste pagine, in questi esseri umani coi loro sogni, miserie,
bellezze, fragilità.
Tantissime sfumature che è impossibile
riferire ma solo vivere nella lettura.
E questo sentirsi sempre fuori posto e
non sentire il bisogno di sentirsi allineati, a posto, accomodanti che Genetelli, nella forma breve, restituisce nella maniera migliore .
Tutto qui.
Non aggiungo altro perché ne ho già
scritte troppe di parole.
Fra un po' comincia la partita del Lugano contro lo Zurigo, l'ascolto alla radio, e vado a bermi un paio di birre.
Anche se sono solo le 4 di pomeriggio.
Poi ce ne saranno anche delle altre.
Andrea, ti ringrazio per aver apprezzato il mio libro, ma la cosa più bella è aver intersecato le storie dei miei poveri eroi con i tuoi turbamenti pieni di vita, questo sì è uscire dalla letteratura per fare in modo che diventi esistenza. Mi spiace per il tuo Lugano, che ho seguito live al Letzigrund per Blue (per dire di come le cose a volte si fanno orrendamente prossime). È vero, la tua non è una recensione, è molto di più, è un completamento. Chissà cosa mi dirai del prossimo. La prima volta che torno a Lugano ci potrebbe stare una birretta. Intanto mi beo (senza V) la neve annunciata e che spero cada a metri cubi. Ti abbraccio.
RispondiEliminaGrazie a te Gene. Qui per ora la neve sta scivolando sul Brè da quel che ho visto mezz'oretta fa. Birretta volentieri anche se sono un orso che non riesce tanto a stare con le persone. Sul rigore, non dico nulla.
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