"La custode" di Karina Sainz Borgo (Einaudi, traduzione di Federica Nioli)

 


Un romanzo di cimiteri e bambini morti. Di violenza inaudita e malattia. Di corpi squarciati e frontiere insuperabili. Di canzoni e di feste. Di mercenari e narcos. Di fuga e cenere. Di stupri e parti. Di droga e alcool. Di follia e fiumi da valicare. Di croste purulenti e capelli rasati. Di donne incredibili e di donne morte. Di donne che si ribellano e combattimenti di galli. "La custode" di Karina Sainz Borgo (Einaudi, traduzione di Federica Nioli) è un romanzo che fa male, carnale, feroce, commovente, potentissimo, con un ritmo perfetto, quasi magico e favolistico. Un canto di speranza e dolore. Un canto di libertà e vita. Una preghiera per i morti e per quelli che si ostinano a voler vivere anche se tutto sembra appassito, impazzito, morto.

Coi cimiteri ho un rapporto quasi genetico. Ci ho trascorso tanto tempo nei cimiteri. Ci passo davanti tutti i giorni quando vado e torno dal lavoro. Ci vado ogni volta che torno nel mio paese. La mia nonna materna nel 1944 rimase sdraiata per un giorno sulla tomba del figlio sedicenne morto in ospedale mentre lei era ricoverata in un altro ospedale. Non era presente al funerale. Lo aveva perso e basta. Mi hanno raccontato che mia nonna, allora aveva 42 anni, aveva avvolto la tomba coi suoi lunghissimi capelli e il suono che le usciva dalla bocca chiusa era straziante. Con lei sono andato sulla tomba di suo marito e di suo figlio. E ogni volta che accarezzava la foto del figlio piangeva e le usciva un suono dalla bocca che mi spezzava in due il cuore. 

"È come un fantasma per me."

Ogni volta che torno davanti alla tomba di mia madre certe volte penso che è quasi più viva lei di me.

La morte di mio zio Adriano è stata una ferita aperta anche per mio zio Ezio che era nato nel 1930. 

Quando era ancora in vita mi capitava di andare al cimitero e vedere mio zio davanti alla tomba coi suoi genitori e suo fratello. Giacca, cravatta, scarpe sempre lucide. Sapevo che non dovevo avvicinarmi perché odiava farsi vedere mentre piangeva. 

Mia madre aveva le stesse labbra di mio zio che aveva lineamenti quasi femminili.

Ogni volta che lo guardo sogno di sentirlo suonare il pianoforte.



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