Nessuno Tocchi Caino - IL PRESIDENTE-PADRONE L’HA CAPITO: LA FORCA NON SERVE NEPPURE AL POTERE

Nessuno tocchi Caino News

Anno 22 - n. 36 - 01-10-2022

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : IL PRESIDENTE-PADRONE L’HA CAPITO: LA FORCA NON SERVE NEPPURE AL POTERE
2.  NEWS FLASH: NOI ERGASTOLANI IN ATTESA DI TORNARE TRA I VIVI
3.  NEWS FLASH: ALABAMA (USA): L’ESECUZIONE DI ALAN MILLER SOSPESA DOPO DUE ORE DI TENTATIVI PER DIFFICOLTÀ NEL TROVARE LA VENA
4.  NEWS FLASH: INDIA: CORTE SUPREMA ANNULLA CONDANNA CAPITALE E CRITICA TRIBUNALI E POLIZIA
5.  NEWS FLASH: CINA: ALTO FUNZIONARIO CONDANNATO A MORTE PER CORRUZIONE NELLA MONGOLIA INTERNA
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


IL PRESIDENTE-PADRONE L’HA CAPITO: LA FORCA NON SERVE NEPPURE AL POTERE
Elisabetta Zamparutti su Il Riformista del 30 settembre 2022

Nell’immensità del continente africano la Guinea Equatoriale è un quadratino di terra. Sembra disegnata con il righello. Solo un lato è frastagliato, quello che guarda verso l’Oceano Atlantico dove ci sono delle isole, in una delle quali, Bioko, c’è la capitale Malabo. Oltre ad avere la capitale su un’isola, senza essere un arcipelago, questo Paese annovera una serie di altre singolarità. È tra i più piccoli Stati per superficie e popolazione, ma i suoi giacimenti di petrolio, diamanti, oro, uranio e manganese sono tra i più importanti al mondo. L’attuale Presidente della Repubblica, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, è ininterrottamente in carica da 43 anni, un record mondiale battuto solo da alcune monarchie. La parabola di un potere infinito può portare anche a esiti felici e singolari. Durante i suoi reiterati mandati, Teodoro Obiang ha usato i plotoni di esecuzione, ha compiuto gravissimi abusi dei diritti umani ma, alla fine, ha deciso di abolire la pena di mort
 e.
Lo ha fatto lo scorso 19 settembre firmando la legge che libera il Paese dall’ultimo retaggio dell’era coloniale. Una legge che lui stesso aveva invocato dal 2019 e che è stata votata da un Parlamento in cui il suo partito ha 99 seggi su 100. Ha poi lasciato che a darne notizia sui canali della modernità fosse Teodorin Nguema Obiang Mangue, il figlio designato a succedergli, attuale vice Presidente. Nel suo tweet trionfale si legge: “Scrivo in maiuscolo per suggellare questo momento unico: LA GUINEA EQUATORIALE HA ABOLITO LA PENA DI MORTE”.
L’antica vicenda di Caino e Abele ha conosciuto una tragica attualità in tutto il continente. Si è manifestata in forma di genocidi, guerre tribali, colpi di stato e faide di palazzo. È accaduto anche in Guinea Equatoriale da quando è diventata “grande” con l’indipendenza risalente al 1968 e in una famiglia, quella degli Nguema, avvinta come l’edera alla reggenza di questo Paese.
Il Presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è al potere dal 1979, da quando, con un colpo di stato militare, rovesciò lo zio Francisco Macías Nguema, a sua volta primo Presidente della Guinea Equatoriale post-coloniale.
Francisco era figlio di un “curatore del malocchio”. La vita lo trascinò in una paranoia intrisa di violenza e crudeltà. Venne paragonato a Pol Pot e a Hitler. Coltivò un culto della personalità che lo portò ad autodefinirsi “Unico Miracolo” e a proclamarsi Presidente a vita. Vietò l’uso della parola “intellettuale”, abolì ogni riferimento a nomi stranieri in quanto espressione di imperialismo imponendo l’africanizzazione degli stessi e distrusse ogni barca per evitare che qualcuno potesse scappare dal Paese.
Poi arrivò il nipote Teodoro Obiang Nguema che lo spodestò, lo fece processare da un tribunale militare speciale che lo condannò a morte per genocidio e violazione dei diritti umani. I soldati guineani avevano però così tanta paura dei suoi poteri magici che non vollero far parte del plotone d’esecuzione e si rese necessario assoldare dei mercenari marocchini. Lo giustiziarono nella prigione di Black Beach a Malabo, quella che da Presidente aveva voluto fosse proprio il nipote Teodoro Obiang a dirigere.
Una volta divenuto Presidente, Teodoro Obiang modificò con un referendum la costituzione in modo da estendere i poteri presidenziali. Venne riconfermato nella carica alle elezioni del 1989, 1996, 2002, 2009 e 2016, grazie anche alla repressione di qualsiasi forma di opposizione politica. Durante tutto il suo mandato la Guinea Equatoriale ha continuato a praticare la pena capitale. Le ultime esecuzioni sono avvenute nel 2014 quando almeno otto uomini furono segretamente fucilati nel mese di gennaio. Ma da lì a poco, il 13 febbraio 2014, il Presidente Teodoro Obiang introdusse una moratoria della pena di morte con l’impegno a rispettarla fino all’abolizione definitiva. La moratoria era il passaggio obbligato della Guinea per entrare a far parte a pieno titolo della Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese.
Teodoro ha deciso insomma di sintonizzarsi sulle lunghezze d’onda di una lingua, quella del Portogallo che non solo è un antesignano dell’abolizione della pena di morte ma anche dell’ergastolo, la pena fino alla morte. Una lingua che lo zio Francisco, introvertito e chiuso, non avrebbe certamente voluto sentire, leggere, parlare. E così, con la moratoria, Teodoro Obiang si è aperto al mondo. Nulla di singolare, di strano: quello della moratoria è il percorso naturale, pragmatico, democratico che quasi tutti i Paesi hanno seguito per arrivare all’abolizione.
Dopo averla conosciuta, praticata nel suo Paese e nella sua stessa famiglia, Teodoro Obiang ha compreso che la pena di morte non serve più, non serve neanche a mantenere il potere. Non serve a lui, non servirà al figlio Teodorin. Possiamo davvero dire che la pena capitale è un ferro vecchio della storia, se anche nella terra degli Obiang è giunta la fine dello Stato-Caino.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

NOI ERGASTOLANI IN ATTESA DI TORNARE TRA I VIVI
Due brevi lettere dal carcere di Opera spiegano il senso – in una è scritto: la “religiosa missione etica” – dei Laboratori del Cambiamento “Spes contra Spem” che Nessuno tocchi Caino ha istituito e continua a tenere con cadenza mensile da ormai sei anni nelle sezioni di alta sicurezza. L’ultimo, a Opera, è stato “animato” dalla presenza di detenuti che non li avevano mai frequentati. I toni del confronto all’inizio un po’ troppo accesi erano la spia di un malessere che è sempre più diffuso nelle carceri. Gli autori delle due lettere sono ergastolani ormai veterani dei Laboratori di Nessuno tocchi Caino. Il primo, Giuseppe Grassonelli, invoca il tribunale della verità e della riconciliazione; il secondo, Antonio Aparo, letteralmente, ricama la speranza e la pazienza che il tempo della pena richiede. Sarebbe bene siano ascoltati, non solo dagli altri detenuti, ma anche dai guardiani detenenti e dai magistrati sorveglianti, se si vuole evitare che la sfiduci e la disperazione, che serpeggiano nelle carceri e di cui il numero dei suicidi di quest’anno è solo un terribile indice, superino un punto di non ritorno.


I nostri “laboratori del cambiamento” hanno un obiettivo chiaro e definito: rivoltare la banalità del male nella gratuità del bene. Noi stiamo tra il bene e il male, stiamo bene e male, ma la nostra missione è rendere il tutto sensato e gratuito. Tutto ciò che facciamo è senza scambio e interesse, perché se la Giustizia è restituzione, essa non può essere incatenata a uno scambio equivalente. La giustizia dell’occhio per occhio non è vera. È vendetta. È ripetizione. Non fa fare un solo passo in avanti. Ferma l’orologio dell’esistenza. È certificabile. Vera è invece la restituzione del non equivalente.
Mi piace pensare che “letteratura” significa “le cose che si leggeranno”, quelle che potranno essere lette. Prima o poi, comincerà un tempo nuovo per tutti, e con questo bisognerà fare i conti. Ci sarà bisogno allora non di pentimenti giudiziari di scambio, ma di “relazioni di verità”. Sergio D’Elia cita sempre la commissione sudafricana “verità e riconciliazione” e il suo mandato, il suo scopo principale: una ricostruzione dei fatti avvenuti e non la vendetta sui colpevoli.
Per quanto mi riguarda, io sono disponibile a sottopormi al duro giudizio dinanzi a un Tribunale della Verità. Non chiederei di essere perdonato, ma di poter sperare in un “ritorno” alla società perduta. Quindi: No a uno scambio di informazioni; No a uno scambio per avere; Sì a uno scambio di formazione; Sì a uno scambio per essere. Non basterà uscire dall’odio del passato, occorrerà orientarsi a un’altra storia, perché il nemico più brutale, più arrogante e più presuntuoso è stato quello che un tempo ci è stato amico. Lunga vita a Spes contra Spem.
Giuseppe Grassonelli

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Mi sveglio con un disegno confuso in mente e inizio a ricamare all’alba, l’immagine si dipana come il filo tra le dita e una figura prende forma sulla tela. Il ricamo mi ricorda la speranza e accompagna la pazienza che il tempo della pena ci richiede, perché magari non si è avuto tempo di considerare l’istanza oppure perché i documenti sono andati smarriti. Intanto le nostre richieste sbaragliano per ansia gli schemi del punto croce, si fanno più insistenti, sembrano assillanti, ma sono mosse dalla consapevolezza di chi sa che non riceverà risposta.
Il 5 agosto 2022 ricamavo quando il magistrato di sorveglianza m’ha convocato per la prima volta dopo trent’anni e due mesi di reclusione. Le mie istanze di permesso vengono rigettate perché – scrivono – non ho fatto una revisione critica del mio passato e sono «restio» a entrare nel merito dei reati e delle motivazioni che mi hanno indotto a delinquere. Eppure ho scritto una lettera pubblica ai miei concittadini e partecipo alle attività del laboratorio Spes contra spem per ribadire la mia distanza da tutte le mafie e assumermi le mie responsabilità.
Eschilo nelle Eumenidi ci insegna che il colpevole inciampa a sua insaputa perché il delitto lo rende cieco. I miei compagni e io abbiamo sbagliato trent’anni fa perché ci siamo lasciati cadere nella narrazione che la società ci offriva, ma oggi abbiamo imparato a riflettere e dialogare. La società ci ignora, ma l’ordinamento penitenziario non dovrebbe ruotare intorno al detenuto? A ogni passo ci scontriamo con la difficoltà di comunicazione, che è equivoca e contorta, così moltiplica le situazioni di inciampo, mentre la nostra paura e l’ansia crescono dentro e persino le mura ci gridano contro che noi non siamo esseri umani.
In Spes contra spem parliamo della nostra trasformazione e speriamo nella “restituzione alla società”. I miei compagni e io quando parliamo fra noi usiamo un’altra espressione, la chiamiamo “ritorno tra i vivi”.
Antonio Aparo

ALABAMA (USA): L’ESECUZIONE DI ALAN MILLER SOSPESA DOPO DUE ORE DI TENTATIVI PER DIFFICOLTÀ NEL TROVARE LA VENA
L’esecuzione di Alan Miller in Alabama è stata sospesa il 22 settembre dopo che per due ore gli operatori all’interno della camera della morte hanno inutilmente cercato di inserire un ago nelle vene del condannato.
L’esecuzione di Miller era stata fissata da tempo. Il suo caso però è stato al centro di una serie di polemiche, scaturite dal fatto che in Alabama dal giugno 2018 è previsto che un condannato possa chiedere di essere giustiziato con un nuovo tipo di camera a gas, l’ipossia da azoto. Negli scorsi mesi Miller aveva sostenuto di aver presentato regolare domanda perché si usasse questo nuovo metodo, avendo lui sempre avuto paura degli aghi. Alcuni sostengono che Miller avesse scelto questo metodo perché lui, o i suoi avvocati, confidavano nel fatto che, non essendo mai stato usato prima in nessuna parte del mondo, sarebbe stato più facile rallentare la procedura. L’Amministrazione Penitenziaria dell’Alabama ad un certo punto ha sostenuto di non aver mai ricevuto la dichiarazione di Miller, dichiarazione a cui Miller ha replicato sostenendo che evidentemente l’avevano persa, e insisteva per essere giustiziato per ipossia.
Nei giorni scorsi una serie di sentenze (giudice federale R. Austin Huffaker il 19 settembre, e Corte d’appello federale per l’11° Circuito il 22 settembre mattina) gli avevano dato ragione, imponendo allo stato di utilizzare l’ipossia, ma al tempo stesso sospendendo l’esecuzione perché diversi aspetti del nuovo metodo di esecuzione necessitavano di approfondimento. La pubblica accusa ha subito fatto ricorso, e il 22 pomeriggio il caso è stato discusso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, che con un voto 5-4, senza motivazione, aveva semplicemente annullato le sospensioni e ordinato procedere all’esecuzione utilizzando l’iniezione letale.
Attendere la decisione della Corte Suprema, giunta poco dopo le 9 di sera, ha generato un ritardo ci circa 3 ore rispetto alla tabella di marcia prevista.
Per due ore all’interno della camera della morte gli operatori hanno cercato di inserire un ago nelle vene di Miller, e poco prima della mezzanotte il capo dell’amministrazione penitenziaria, John Hamm, responsabile per l’esecuzione, ha deciso di sospendere la procedura perché non sarebbe stata completata entro la mezzanotte.
Come è noto i mandati di esecuzione sono emessi indicando una data precisa, data che scade a mezzanotte. Un condannato non può essere ucciso in un giorno diverso da quello previsto dal mandato.
Miller è stato riportato nella sua cella nel braccio della morte, ha detto Hamm. In una nota la governatrice Kay Ivey (bianca, Repubblicana) dice che "l'esecuzione verrà ripristinata il prima possibile. Nonostante le circostanze che hanno portato all'annullamento di questa esecuzione, nulla cambierà il fatto che una giuria abbia ascoltato le prove di questo caso e abbia preso una decisione. Non cambia il fatto che il signor Miller non abbia mai contestato i suoi crimini. E non cambia il fatto che tre famiglie siano ancora in lutto”.
Miller era stato condannato a morte nel luglio 2000 nella Shelby County dopo aver confessato di aver ucciso 3 colleghi di lavoro il 5 agosto 1999.
Miller avrebbe sparato a Lee Holdbrooks, 32 anni, Scott Yancy, 28 anni, e Terry Jarvis, 39 anni, perché “parlavano male di lui, prendendolo in giro per le sue condizioni mentali.”
Lo psichiatra forense che aveva testimoniato per la difesa aveva sostenuto che l’imputato era malato di mente e soffriva di un disturbo delirante, ma non era sufficientemente “grave” da rientrare nei casi di esenzione dalla pena di morte previsti dalla legge dell’Alabama.
(Fonti: CNN, 22/09/2022)

INDIA: CORTE SUPREMA ANNULLA CONDANNA CAPITALE E CRITICA TRIBUNALI E POLIZIA
La Corte Suprema dell’India il 28 settembre 2022 ha assolto un uomo che era stato condannato a morte nell’Uttar Pradesh per il presunto stupro e omicidio di una bambina di sei anni.
"Un tribunale non può rendere qualcuno vittima di un'ingiustizia per compensare l’ingiustizia commessa nei confronti della vittima di un reato", ha affermato la Corte.
Criticando la polizia dell'Uttar Pradesh per aver svolto indagini errate, la Corte ha anche affermato che non conducendo correttamente le indagini, l'accusa ha commesso un'ingiustizia nei confronti della famiglia della vittima.
Quando il crimine è atroce, la Corte è tenuta a sottoporre le prove materiali a un controllo più approfondito, ma l'approccio errato da parte del tribunale di primo grado e dell'Alta Corte ha portato alla condanna a morte di una “persona povera”.
I giudici della Corte Suprema S Abdul Nazeer, AS Bopanna e V Ramasubramanian hanno definito come orribile il caso di stupro e omicidio della bambina di sei anni.
"Non conducendo correttamente le indagini, l'accusa ha commesso un'ingiustizia nei confronti della famiglia della vittima. Fissando la colpevolezza sull'imputato senza alcuna prova in grado di resistere al vaglio, l'accusa ha commesso un'ingiustizia nei confronti dell'imputato. La Corte non può rendere qualcuno vittima di un'ingiustizia per compensare l'ingiustizia subita dalla vittima di un reato", hanno affermato i giudici.
La Corte Suprema ha emesso il verdetto su un ricorso presentato da un uomo chiamato Chotkau che era stato condannato per i reati punibili ai sensi delle sezioni 302 (omicidio) e 376 (stupro) del Codice penale indiano e condannato a morte in primo grado con pena confermata dall'Alta Corte di Allahabad.
I giudici supremi hanno detto che questo è un caso in cui il condannato è "così povero" da non potersi permettere di assumere un avvocato, per cui dopo ripetute richieste era stato fornito il gratuito patrocinio.
"In casi di tale natura, la responsabilità della Corte diventa più gravosa. Analizzando le prove con tale senso di responsabilità, non siamo convinti che la colpevolezza del ricorrente sia stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Pertanto, i ricorsi sono ammessi e la condanna e la sanzione sono annullate. Il ricorrente deve essere immediatamente scarcerato", ha stabilito il collegio.
In base alla denuncia presentata alla stazione di polizia di Ikauna, verso le 16:00 dell'8 marzo 2021, Chotkua avrebbe preso sua nipote di circa 6 anni per portarla ad assistere a spettacoli di danza e canto in occasione dell'Holi Festival.
La bambina non rientrò a casa, per cui fu condotta una ricerca che portò al ritrovamento del corpo della vittima nel campo di canna da zucchero situato nella parte meridionale del villaggio.
(Fonti: PTI, 28/09/2022)

CINA: ALTO FUNZIONARIO CONDANNATO A MORTE PER CORRUZIONE NELLA MONGOLIA INTERNA
Li Jianping, un ex alto funzionario del Partito Comunista Cinese nella zona di sviluppo economico e tecnologico di Hohhot, nella Regione Autonoma della Mongolia Interna, il 27 settembre 2022 è stato condannato a morte per diversi reati.
Un Tribunale Intermedio del Popolo della Lega Hinggan nella Regione ha condannato a morte per corruzione Li, che un tempo era a capo del comitato di lavoro del Partito Comunista Cinese della zona, a una condanna a morte con sospensione della pena per abuso d’ufficio, all’ergastolo per appropriazione indebita e a cinque anni di carcere per concorso in criminalità organizzata.
Nel complesso, il tribunale ha deciso di infliggere a Li la pena di morte.
Ha anche privato Li dei suoi diritti politici e confiscato tutti i suoi beni personali. Inoltre, i ricavi dei suoi abusi d’ufficio e appropriazione indebita sono stati recuperati e restituiti al territorio e i ricavi ottenuti dalla corruzione sono stati ceduti alle casse dello Stato.
Dal 2016 al 2018, l’ex funzionario avrebbe approfittato della sua posizione per appropriarsi indebitamente di oltre 1,44 miliardi di yuan (199 milioni di dollari) di fondi statali, di cui, secondo il Tribunale, circa 289 milioni non ancora in suo possesso.
Dal 2009 al 2014, quando Li era il presidente del Chunhua Water Group a Hohhot e Capo del comitato di lavoro del Partito nella zona, avrebbe offerto assistenza ad altri soggetti nelle gare d'appalto per contratti di progetto, accettando in cambio più di 577 milioni di yuan.
Tra il 2006 e il 2016, Li, insieme ad altri, ha sottratto oltre 1,05 miliardi di yuan di fondi pubblici per uso personale, di cui 404 milioni di yuan non erano ancora stati restituiti quando è stato posto sotto inchiesta.
Inoltre, l’ex funzionario avrebbe lavorato a lungo con Zhao Wenyuan, un membro di una banda con precedenti, che avrebbe permesso a Zhao e ai suoi uomini di condurre attività illegali in progetti di demolizione, acquisizioni di terreni e accordi di lavoro.
"Li deve ricevere la pena capitale perché ha commesso più crimini e la somma dei suoi guadagni illeciti è stata estremamente grande e non solo ha causato un impatto sociale estremamente negativo, ma ha anche provocato perdite estremamente gravi nell'interesse del Paese e del Popolo", ha detto il Tribunale.
Parte dei soldi – ha aggiunto il tribunale - sono stati utilizzati per il gioco d'azzardo e trasferiti all'estero da Li, e alcuni dei fondi pubblici che aveva sottratto non sono stati restituiti.
Li, 62 anni, originario della provincia di Hebei, ha iniziato la sua carriera nel 1982 ed è entrato a far parte del Partito nel 1985. Ha ricoperto diversi incarichi a Hohhot, incluso quello di capo dell'autorità idrica e presidente del Chunhua Water Group.
È diventato capo del comitato di lavoro del Partito nella zona nel 2011 ed è stato posto sotto inchiesta nel settembre 2018 per sospette gravi violazioni della disciplina e della legge.
Nell'agosto 2019 è stato espulso dal Partito e rimosso dall'incarico.
(Fonte: China Daily, 27/09/2022)

 

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