Nessuno tocchi Caino - CARCERE: NESSUNO TOCCHI CAINO, CONTINUA IL VIAGGIO DELLA SPERANZA NEI LUOGHI DI PENA IN EMILIA ROMAGNA

Nessuno tocchi Caino news

Anno 23 - n. 20 - 27-05-2023

Contenuti del numero:

1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : CARCERE: NESSUNO TOCCHI CAINO, CONTINUA IL VIAGGIO DELLA SPERANZA NEI LUOGHI DI PENA IN EMILIA ROMAGNA
2.  NEWS FLASH: IRAQ: 40 IN UNA CELLA, CENTINAIA DI JIHADISTE IN SCIOPERO DELLA FAME
3.  NEWS FLASH: VISITARE I CARCERATI PER CAPIRE CHE IL CARCERE E’ UN FERRO VECCHIO
4.  NEWS FLASH: ZIMBABWE: INIZIATO IL RILASCIO DEI DETENUTI
5.  NEWS FLASH: MYANMAR: CINQUE MEMBRI DELLA RESISTENZA CONDANNATI A MORTE PER TERRORISMO
6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO


CARCERE: NESSUNO TOCCHI CAINO, CONTINUA IL VIAGGIO DELLA SPERANZA NEI LUOGHI DI PENA IN EMILIA ROMAGNA
Proseguono le visite negli istituti di pena in Emilia Romagna, che sono il modo per verificare anche le condizioni di chi da recluso vive nelle zone alluvionate. Perché anche il carcere è parte delle città.

Il “Viaggio della speranza” è organizzato da Nessuno tocchi Caino (presenti i dirigenti Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti) in collaborazione con le Camere Penali.
Dopo le visite in carcere si svolgono conferenze nel corso delle quali vengono presentati i risultati e le proposte di superamento di una realtà, quella carceraria, che sempre più appare fuori controllo, fuori legge, fuori dal tempo e fuori dal mondo.
Questo è il calendario delle restanti visite in carcere e iniziative programmate:

REGGIO EMILIA
Lunedì 29 maggio 2023
Ore 16
Tribunale di Reggio Emilia
I° piano, Aula 5

Conferenza
CARCERE E TOSSICODIPENDENZA: UNA DOPPIA PENA?

Presiede
Luigi SCARCELLA, Presidente Camera Penale di Reggio Emilia

Intervengono
Rita BERNARDINI, Presidente di Nessuno tocchi Caino | Enrico DELLA CAPANNA, Presidente Consiglio Ordine Avvocati Reggio Emilia | Pierluigi CASTAGNETTI, già Parlamentare | Sergio D’ELIA, Segretario di Nessuno tocchi Caino | Veronica MANCA, membro Osservatorio Carcere UCPI | Alessandro NIZZOLI, Vicepresidente Camera Penale di Reggio Emilia | Ninfa RENZINI, Membro Osservatorio Carcere UCPI | Cecilia SOLIANI, referente Osservatorio Carcere Camera Penale di Reggio Emilia | Elisabetta ZAMPARUTTI, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino


MODENA
Mercoledì 31 maggio
Ore 10 - Visita al Carcere
Ore 14:30 – Conferenza stampa fuori dal carcere


CASTEFRANCO EMILIA
Giovedì 1° giugno
Ore 10 - Visita al Carcere
Ore 14:30 - Conferenza stampa


Il Viaggio della speranza in Emilia Romagna è organizzato da Nessuno tocchi Caino in collaborazione con l’Osservatorio Carcere dell’UCPI e le Camere Penali di Bologna, Ferrara, Piacenza, Rimini, Camera penale della Romagna, Parma, Reggio Emilia, Modena.

Per informazioni
335 8000577

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

IRAQ: 40 IN UNA CELLA, CENTINAIA DI JIHADISTE IN SCIOPERO DELLA FAME
Elisabetta Zamparutti su L’Unità del 21 maggio 2023

In Iraq ci sarebbero almeno 400 donne che da oltre quattordici giorni stanno conducendo uno sciopero della fame. Non sono detenute comuni. Sono tutte dell’alta sicurezza. L’accusa è la più pesante che ci possa essere: jihadiste, appartenenti all’ISIS.
Sono russe, turche, azere, ucraine, siriane, francesi, tedesche, finanche americane. Le loro condanne vanno dai 15 anni di carcere alla pena fino alla morte se non anche alla pena di morte.
Con loro, detenuti, ci sono anche un centinaio di bambini. Bambini nati in carcere. Bambini morti in carcere. L’ultimo, un bambino di tre anni. Recluse e reclusi nel carcere di Rusafa, a est di Baghdad. Un video trafugato, diffuso dalla BBC, rivela che sono stipate anche in 40 in un’unica cella.
Se alcune hanno riconosciuto di aver liberamente scelto di entrare a far parte dell’ISIS partecipando anche ad azioni violente, altre vi sono state costrette. C’è chi con insistenza ha detto di aver dovuto sposare un combattente islamico, minacciata di morte se si fosse rifiutata. A questi uomini è poi accaduto, con la caduta dello Stato islamico nel 2017, che la furia violenta che hanno seminato gli si sia ritorta contro.
Decine di migliaia di militanti sono stati catturati, molti giustiziati sommariamente. Alle migliaia di loro donne e bambini, salvo chi è stato rimpatriato nei Paesi di origine, è toccata in sorte la detenzione nelle galere della Siria e dell’Iraq. Ed è qui che queste donne, stremate da una vita che le ha portate a conoscere anche il modo in cui quella che si chiama “giustizia”, dal processo al carcere, si può abbattere su un essere umano, hanno deciso di non mangiare più, alcune anche di non bere più. Sono emaciate, stese immobili sul duro pavimento di pietra del carcere. All’inizio di questo sciopero bevevano meno di un bicchiere d’acqua al giorno. Poi alcune hanno deciso di rifiutare anche questo. Lo fanno per dire che il processo che hanno subito non è stato giusto. Lo fanno per dire che le condizioni di detenzione sono disumane. Il mese scorso il Ministro della Giustizia iracheno, dopo aver licenziato il direttore del penitenziario di Rusafa per via delle immagi
 ni che da lì sono uscite, ha ammesso che vi è il quadruplo delle detenute che potrebbero stare in quella struttura.
Caino allora oggi è lo Stato. E Caino per queste donne oggi è il carcere.
Il carcere che così come è concepito e organizzato nella vita quotidiana, rappresenta un’istituzione totale maschile. Lì dentro tutto è volto a rispondere all’aggressività e alla violenza con regole speculari che fanno vincere i valori maschili. Vi è una tremenda assenza di considerazione della componente emozionale che è propria di ogni essere umano ma che più naturalmente sono le donne a esprimere. I corpi inermi di queste detenute nel carcere di Rusafa che non sappiamo se stiano continuando o no il loro sciopero della fame ci impongono allora di tendere loro la mano, rinchiuse come sono non solo in uno spazio fisico, ma anche emotivo. Tutto il mondo è paese e il carcere è tale in tutto il mondo. È duro. È maschio e rende la condizione detentiva femminile carica di una componente afflittiva ulteriore.
Quelle 400 donne jihadiste ci chiedono aiuto e al contempo ci aiutano a meglio confrontarci con la dimensione femminile della detenzione che noi stessi trascuriamo per l’entità numericamente inferiore a quella maschile e perché poco propensi a comprendere le ragioni della “devianza” femminile.
Leggo sulla Treccani che “Cesare Lombroso, universalmente riconosciuto come il fondatore dell’antropologia criminale, fu il primo a tentare una analisi sistematica della problematica della delinquenza femminile, individuando, nel suo testo del 1893 intitolato La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, nella maggiore debolezza e stupidità delle donne rispetto agli uomini la causa della minore diffusione della criminalità femminile.”
Ecco, è proprio lasciandoci passare sulla testa considerazioni come questa che tutto un mondo di garanzie e valori nonviolenti, di cui il mondo femminile, come ha detto Mariateresa di Lascia, è un portato formidabile, lasciano spazio a una giustizia senza grazia. Non è un caso se proprio lei, all’atto della fondazione, volle quel riferimento a Caino nel nome della associazione, a riprova di una necessità che anche nel male, può sembrare paradossale, occorre in fondo sapere amare. Perché nei confronti dei due fratelli, Caino e Abele, Dio, per essere pienamente in ascolto di Abele interroga anche Caino e per fare piena giustizia del sangue di Abele si prende cura di Caino. Non lo inchioda a un fatto passato ma,
in un processo di consapevolezza dove il carcere non figura mai mentre è serrato il dialogo, gli dischiude un dopo da vivere.

VISITARE I CARCERATI PER CAPIRE CHE IL CARCERE E’ UN FERRO VECCHIO
Gabriele Terranova*

Qualche anno fa, quando l’Italia fu condannata dall’Europa per le endemiche condizioni di sovraffollamento in cui versavano i nostri Istituti di detenzione, in violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, il Governo Renzi, illustrando il piano per rientrare nella legalità, volle dare atto dell’esistenza di alcuni soggetti indipendenti che eseguono regolari visite nei luoghi di privazione della libertà personale, esercitando un controllo – per così dire – diffuso sul rispetto dei diritti umani e sugli standard di civiltà che vi sono garantiti.
Il fatto di essere stati menzionati fra quei soggetti costituì un importante riconoscimento, per noi penalisti delle camere penali che, dal 2006, ci eravamo dotati di un osservatorio carcere proprio con questa finalità.
Oggi esiste anche un garante nazionale che si occupa dei diritti delle persone private della libertà personale e tanti garanti nominati dagli enti locali territoriali, ma conserva tutta la sua importanza anche il monitoraggio esercitato da soggetti non istituzionali, fra i quali si segnala in particolare l’associazione Nessuno tocchi Caino, che ha raccolto il testimone di Marco Pannella e della cultura radicale, da sempre attentissima a questi temi. Quest’ultima, sotto lo slogan “Il viaggio della speranza – visitare i carcerati”, ha promosso l’iniziativa, nella quale sta coinvolgendo i penalisti di tutta Italia, di organizzare non singole visite, ma un tour che, regione per regione, si propone di visitare tutti gli Istituti di detenzione del paese e che, ad aprile, ha segnato ben 11 tappe toscane.
Il progetto è di grande interesse, non solo per l’impatto comunicativo che, sul territorio, rappresenta l’arrivo della carovana dei visitatori, che organizza sempre conferenze stampa e occasioni di pubblico dibattito, ma anche perché, un pezzo per volta, nel giro di un anno, avremo una radiografia completa di tutto il sistema penitenziario nazionale.
L’intenzione finale, per nulla velata, è quella di promuovere anche una riflessione di fondo sull’opportunità di superare il carcere, quale forma di risposta privilegiata all’illegalità, rivelandone il volto brutale e degradante, che è tale sempre e ontologicamente, non tanto per ragioni congiunturali. Gli orizzonti del terzo millennio, nel quale siamo oramai entrati a pieno titolo, offrono ben più estese alternative, magari altrettanto invasive e da adottare con le dovute cautele, a chi ambisce esercitare un controllo sociale, rispetto agli strumenti di cui disponevano i governanti del 700, quando scelsero la prigione come alternativa alle pene corporali e alla legge del taglione.
Il discorso ci porterebbe lontano, ma può anche essere declinato in termini minimali, immaginando di cominciare a sostituire i cancelli e le sbarre di metallo con normali porte blindate e vetri antisfondamento e i militari armati con strumenti di controllo telematico (come braccialetti elettronici, ma anche comuni webcam e smartphone geolocalizzati), in modo da contribuire ad assottigliare la differenza concreta fra una prigione e il confinamento coatto – più o meno esteso, a seconda delle concrete esigenze – in luoghi di privata (o pubblica) dimora.
Anche il bilancio delle tappe toscane, offre interessanti spunti di riflessione. Ovunque abbiamo trovato strutture datate e ambienti fatiscenti, promiscuità fra gli spazi utilizzati per cucinare e lavare i piatti e i bagni, separati dal resto degli spazi detentivi talvolta solo da una tenda; per non parlare di docce e acqua calda, quasi sempre relegate in ambienti comuni, pregni di umidità stagnante, muffa e cattivo odore.
Il tutto a dispetto di diffusi quanto interminabili progetti di ristrutturazione che, sulla carta, avrebbero dovuto garantire condizioni minimali di igiene e decoro e che invece contribuiscono a disegnare un quadro fosco di precarietà ed emergenza.
Naturalmente, ovunque mancano le opportunità di studio o lavoro o di altre utili occupazioni e, anche quando il regime detentivo è aperto (si può cioè uscire dalle celle nelle ore centrali della giornata), l’alternativa alla branda è solo quella di passeggiare nei corridoi. Si riscontrano infine continuamente, fra i detenuti, problemi di salute e di dipendenze, quando non veri e propri casi psichiatrici, tutt’altro che rari, in attesa di cure e di quel trattamento individualizzato voluto dalla legge, che spesso cede il passo alla gestione del quotidiano.
Unico significativo elemento di conforto: nelle strutture di dimensioni ridotte, a dispetto del degrado e perfino di tassi di sovraffollamento oltre la soglia di tollerabilità, si respira un clima disteso, perché il rapporto fra il personale e i reclusi è più diretto e si instaurano relazioni umane migliori.
Speriamo che il messaggio arrivi a chi, quando si parla di piani di edilizia penitenziaria, quale unica, miope risposta a tutti i problemi del settore, propone di costruire maxi-carceri da 5.000 posti, cioè dieci volte i più grandi Istituti della Toscana.
*Co-responsabile Regione Toscana Osservatorio Carcere Ucpi 

ZIMBABWE: INIZIATO IL RILASCIO DEI DETENUTI
Lo Zimbabwe ha iniziato il rilascio di più di 4.000 prigionieri sulla base di un'amnistia presidenziale che secondo le autorità contribuirà ad alleviare il sovraffollamento delle carceri.
Circa 800 prigionieri sono stati liberati il 19 maggio dalla Prigione Centrale e dalla Prigione di Chikurubi nella capitale Harare.
In altre parti del Paese, il 18 maggio diverse carceri hanno iniziato a rilasciare i prigionieri che rientrano nell'amnistia, ha detto Meya Khanyezi, portavoce delle Prigioni e dei Servizi penitenziari dello Zimbabwe.
La funzionaria ha detto che l'amnistia "farà molto per ridurre la popolazione carceraria". Le carceri dello Zimbabwe hanno una capacità di 17.000 persone ma ospitano più di 20.000 detenuti.
Ex detenuti hanno in passato lamentato condizioni di sovraffollamento, oltre alla mancanza di cibo e di un'adeguata assistenza sanitaria.
Amnesty International ha in passato descritto le condizioni come "deplorevoli".
Questo Paese dell'Africa meridionale di 15 milioni di abitanti utilizza regolarmente l'amnistia presidenziale come strumento per decongestionare le carceri.
Un beneficiario di quest’ultima amnistia, John Mafararikwa, che stava scontando una condanna a 17 mesi per furto, ha espresso sollievo.
“È sovraffollato e il cibo è pessimo. La maggior parte delle volte mangiavamo cibo preparato senza olio da cucina”, ha detto il 71enne, salendo su un autobus della prigione che ha portato lui e altri beneficiari dell'amnistia lontano dalla Prigione Centrale di Harare.
Canti, danze e preghiere hanno accompagnato l'evento. Alcune persone di età avanzata camminavano con l'ausilio delle stampelle. Un piccolo gruppo ha indossato abiti di laurea dopo aver ricevuto diplomi in studi biblici.
Nella prigione di Chikurubi, le donne liberate hanno abbracciato gli agenti della prigione, mentre gli uomini sono saliti di corsa sul retro di un camion aperto in attesa di essere condotti fuori dalla prigione. Altri ringraziavano il presidente Emmerson Mnangagwa per aver mostrato clemenza.
Tutte le donne detenute per reati non violenti e che hanno scontato un terzo della pena saranno rilasciate. I malati terminali saranno liberati indipendentemente dal reato commesso, mentre ai prigionieri ciechi e a coloro "che hanno problemi fisici che non possono essere trattati in una prigione" sono state completamente condonate le pene.
I detenuti di età pari o superiore a 60 anni e i minorenni sono tra i beneficiari dell'amnistia, mentre coloro che si trovano nel braccio della morte da 10 o più anni hanno avuto la condanna a morte commutata in ergastolo.
Lo Zimbabwe ha ancora la pena di morte nei propri codici ma l’ultima impiccagione nel Paese risale al 2005.
Il presidente Mnangagwa già in passato si era detto contrario alla pena capitale.
Saranno liberati anche coloro che stanno scontando l'ergastolo e che hanno trascorso in carcere gli ultimi 20 anni.
Vengono rilasciati anche i detenuti che hanno commesso crimini violenti come omicidio, tratta di esseri umani e reati sessuali e che hanno scontato tre quarti della pena.
I detenuti per reati come tradimento, rapina, violenza pubblica e sabotaggio di infrastrutture elettriche non vengono invece rilasciati.
(Fonti: AP, 19/05/2023)

MYANMAR: CINQUE MEMBRI DELLA RESISTENZA CONDANNATI A MORTE PER TERRORISMO
Cinque persone sono state condannate a morte il 15 maggio 2023 da un tribunale della giunta militare del Myanmar in relazione agli omicidi di quattro poliziotti, avvenuti su un treno a Yangon. Lo hanno reso noto avvocati che seguono il caso.
Il tribunale interno al carcere di Insein ha emesso le condanne a morte ai sensi della legge antiterrorismo nei confronti di Ko Kyaw Win Soe, Ko Kaung Pyae Sone Oo, Ko San Min Aung, Ko Zayar Phyoe e Ma Myat Phyo Pwint, che sono stati inoltre condannati all'ergastolo ai sensi della Legge sulle Armi (1949).
Una fonte del tribunale ha confermato la sentenza, affermando che è stata emessa da un tribunale civile piuttosto che da un tribunale militare, come avvenuto in casi precedenti.
Il 14 agosto 2021, sei agenti di polizia in servizio su un treno della ferrovia circolare che dalla stazione centrale di Yangon andava verso Kyemindaing, nella parte occidentale della città, sarebbero stati uccisi con armi da fuoco da tre membri di un gruppo di guerriglia urbana anti-regime. Quattro agenti persero la vita sul posto, mentre gli altri due rimasero feriti. Le armi da fuoco degli agenti furono portate via dagli assalitori.
Gli omicidi sono avvenuti una settimana dopo che cinque membri della resistenza sono saltati da un edificio di quattro piani per sfuggire alle forze di sicurezza. La caduta è costata la vita a due dei cinque oppositori.
A settembre, il regime ha arrestato cinque delle 16 persone sospettate di essere coinvolte nell'attacco sul treno.
Anche l'Associazione di Assistenza ai Prigionieri Politici (AAPP) ha verificato che cinque uomini detenuti per l'attentato sono stati condannati a morte questa settimana.
Il 18 maggio l'AAPP ha affermato nella sua nota quotidiana che dal colpo di stato del 1° febbraio 2021, un totale di 3.520 persone, inclusi attivisti pro-democrazia e civili, sono state uccise dalla repressione militare.
A partire dal colpo di stato, i tribunali della giunta hanno condannato a morte un totale di 158 persone.
Tra le persone giustiziate c'erano due noti attivisti pro-democrazia, i politici U Jimmy e Ko Phyo Zeya Thaw.
(Fonte: Irrawaddy, 19/05/2023)

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I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA


DESTINA IL TUO 5X1000 A NESSUNO TOCCHI CAINO
Firma nel riquadro “Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale” e riporta il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino 96267720587

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