Nessuno tocchi Caino - DA TORTURATO ED ESILIATO VI CHIEDO COL CUORE IN MANO DI AIUTARE IL MIO VENEZUELA

 Nessuno tocchi Caino news

Anno 24 - n. 30 - 27-07-2024

 

LA STORIA DELLA SETTIMANA

DA TORTURATO ED ESILIATO VI CHIEDO COL CUORE IN MANO DI AIUTARE IL MIO VENEZUELA

NEWS FLASH

1. LAVORARE PER QUALCOSA DI MEGLIO DELL’ATTUALE SISTEMA CARCERARIO
2. DESTRA IPOCRITA E BUGIARDA VUOLE PRIGIONI ILLEGALI. CARCERE: IL GOVERNO È FUORILEGGE E LO SA. NOI NON MOLLIAMO DI UN CENTIMETRO
3. MISSOURI (USA): SANDRA HEMME È STATA DICHIARATA INNOCENTE DOPO 44 ANNI DI CARCERE
4. BIELORUSSIA: TEDESCO CONDANNATO A MORTE PER ‘ATTIVITÀ MERCENARIA’




DA TORTURATO ED ESILIATO VI CHIEDO COL CUORE IN MANO DI AIUTARE IL MIO VENEZUELA
Questo intervento è stato fatto all’evento del 23 luglio alla Camera dei Deputati promosso da Deborah Bergamini, Vice Presidente di Forza Italia, in vista delle presidenziali del 28 luglio in Venezuela, a cui ha partecipato una delegazione di oppositori politici a Maduro guidata da Rodrigo Diamanti.

Jesus Alemán

Ho 31 anni e ho un sogno da quando ne avevo 12. Parte della mia famiglia proviene da un immigrato italiano, originario di Ficarazzi in Sicilia. Negli anni 50 si nascose su una nave in partenza senza conoscere la direzione. Fu portato al largo del Venezuela e lì iniziò la sua vita e quella della mia famiglia. Ho iniziato il mio impegno politico come leader studentesco con il sogno di poter vivere in un Venezuela come quello che ha potuto avere la mia famiglia. Questo impegno mi ha portato a essere imprigionato o meglio rapito due volte dal SEBIN (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional).
La prima volta è stata nel marzo 2014. Avevo 20 anni, sono stato picchiato, isolato e torturato perché la pensavo diversamente dalla dittatura di Nicolás Maduro.
La seconda volta il 18 gennaio 2018, dopo le proteste del 2017. Due veicoli del SEBIN con diversi agenti con armi lunghe mi hanno intercettato e sono stato rapito. È iniziato un percorso di tortura. Mi hanno coperto il viso con un sacco nero che mi ha tolto il respiro. Mi hanno picchiato, colpito alla testa, stordito. “Ricevi tanti colpi quanti applausi nei comizi”, mi hanno detto. Per farmi “sentire il potere”, mi hanno schiacciato sul pavimento e inflitto scosse elettriche sulla schiena e sul petto. Mi dicevano che la mia vita non valeva niente, che ero solo, che non avrei avuto un salvatore. Mi chiedevano di altri leader politici, non avevo niente da dire se non i miei silenzi che venivano tradotti in colpi, colpi che hanno segnato la mia vita. Dopo le percosse li ho ascoltati godersi il momento. Anche le loro risate erano una tortura. Per il resto del tempo mi tenevano isolato in una piccola stanza con una luce bianca sempre accesa. Mi chiedevo quando sarebbero tornati, a volte preferendo che tornassero, perché da solo mi sentivo impazzire. Solo pensare alla mia famiglia e ai miei compagni mi ha dato la forza di resistere.
Una settimana dopo mi hanno portato in tribunale, mi hanno accusato di essere un attivista politico, ma mi hanno anche incriminato per cose che non avevo commesso, falsificando prove e testimonianze e gestendo a piacimento le forze di polizia.
È così che opera la dittatura in Venezuela. Mi hanno fatto firmare un numero infinito di documenti che non avrei mai potuto leggere. Alla fine del “processo”, hanno deciso la privazione della libertà e il trasferimento nel carcere comune di Campo Lindo.
Lì ho visto come una parola sbagliata può costarti la vita. Perché ciò che è buono o normale per strada in un carcere venezuelano è assolutamente negativo. Ognuno di noi era sottoposto a un PRAN, l’acronimo di “preso rematado, asesino nato”, che è il leader dei criminali in prigione. Vivevamo in condizioni disumane. Ho preso la scabbia e un’infezione da funghi. Potevo vedere anche i tendini delle dita dei piedi, ero limitato nei movimenti, mi è stata negata ogni assistenza medica. A volte di notte lanciavano lacrimogeni nella sezione dove stavo io e mi urlavano “Aspetta Guarimbero”. Così veniva appellato chi protestava contro la dittatura. Era un chiaro messaggio di allerta. Perché la mattina era normale che qualcuno si svegliasse pugnalato. Ho anche vissuto una rivolta. La mia guardia è stata colpita alla testa e io sono caduto sotto di lui. Ho passato più di 20 ore steso a terra in una linea di fuoco. L’unica cosa che ho chiesto a Dio era che non esplodess e una granata vicino a me, perché se fossi morto, avrei chiesto di morire intero.
Una mattina, inaspettatamente, mi hanno portato in tribunale e mi hanno fatto firmare misure precauzionali che vietavano di lasciare il Paese. Ho avuto gli arresti domiciliari fino al 27 luglio 2018, quando sono stato espatriato dal mio Paese.
Arrivato all’aeroporto di Valencia - Carabobo, alcuni funzionari del SEBIN mi hanno preso per un “controllo antidroga”. Mi hanno portato fuori dall’aeroporto con un’auto di pattuglia. Era l’ultimo avvertimento. Mi avevano già salvato due volte – hanno detto –, la terza non l’avrei potuta raccontare perché mi avrebbero fatto a pezzi. Dopo due ore sono riuscito a imbarcarmi, bandito ed espatriato dal mio Paese.
Da allora vivo in esilio, come milioni di venezuelani costretti in un modo o nell’altro a lasciare il Venezuela. Ma non abbiamo dimenticato il nostro Paese. Sono le cicatrici che la dittatura ci ha lasciato a ricordarci che anche dall’esilio dobbiamo continuare ad alzare la voce e a lottare per quel Venezuela di libertà e opportunità che ha potuto vivere la mia famiglia.
Il 28 luglio ci saranno milioni di venezuelani all’estero che non potranno esercitare il loro diritto di voto, e anche più di 300 prigionieri politici che, anche se si trovano in Venezuela, non potranno votare. Non possiamo rimanere indifferenti, vi chiedo con il cuore in mano di essere parte di questa lotta.



NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LAVORARE PER QUALCOSA DI MEGLIO DELL’ATTUALE SISTEMA CARCERARIO
Sarah Brizzolara*

Quello che sta succedendo nelle carceri italiane inizia forse a colpire al cuore anche persone che fino ad oggi del carcere non si erano occupate. Quando ho iniziato, da consigliera comunale, a visitare il carcere della mia Città, a Monza, sono rimasta colpita dalla differenza tra quanto, pur di negativo e drammatico potevo immaginare, e quel che davvero ho visto con i miei occhi. È solo grazie alla non conoscenza del carcere che è possibile mantenere in una società come la nostra un luogo di abbandono e di sofferenza come questo.
Nella mia città, come in molte altre, la maggior parte delle persone nemmeno sa che c’è un carcere o dove si trova, nascosto come è in un angolo invisibile di territorio. Un non luogo. Dove i “cattivi” vengono puniti. Ma chi si mette a cercarlo,
chi varca la soglia trova tanti disperati, persone abbandonate che non hanno avuto opportunità dalla vita, avvolte in un circolo di negatività e di sofferenza, persone con problemi psicologici, psichiatrici e tossicodipendenze, clandestini abbandonati al loro destino.
La conta dei suicidi da inizio anno si fa ogni giorno più pesante e quando tocca anche al carcere della tua città questo ti scatena un sentimento di rabbia e di impotenza. La sensazione di non essere riusciti a fare abbastanza, nonostante l’impegno di chi ci lavora, che a volte decide a sua volta di togliersi la vita, nonostante le tante associazioni di volontariato.
Eppure sarebbe veramente possibile gestire tutto questo sistema diversamente.
Dare lavoro alla maggior parte di queste persone, che sarebbero nella condizione di farlo secondo la normativa vigente, eppure solo 221 detenuti su 700 a Monza lavora, e solo per pochissime ore l’anno. Non portare in carcere chi, secondo la legge, non ci dovrebbe stare. Facendo uscire anticipatamente chi ancora, secondo la legge, sarebbe nelle condizioni di farlo e applicare alla maggior parte di queste persone le pene alternative che sono previste. Così da non avere 700 persone in uno spazio fatiscente progettato per 400. Perché, innanzitutto, se lo si conosce, il carcere è un luogo di illegalità, non solo di chi viene detenuto ma innanzitutto dello Stato che non riesce o non vuole applicare le regole che si è dato.
Del progetto di reinserimento sociale di cui parla la nostra Costituzione si vedono forse pochissime tracce, il resto è attesa. Un luogo dal tempo immobile. Dove la solitudine e la sensazione di disperazione prendono il sopravvento e questo spiega il perché di certe scelte tragiche, perché in troppi hanno ritenuto che quello fosse l’unico modo di uscirne.
Morte per pena e pena fino alla morte, nel Paese che tra i primi ha abolito la pena di morte e ne ha promosso l’abolizione nel Mondo. In questa lunga notte del diritto e della ragione noi dobbiamo accendere una luce e lavorare per qualcosa di meglio dell’attuale sistema carcerario.
In questi anni abbiamo provato a discutere di carcere nel territorio, a coinvolgere Sindaci e amministrazioni a che di parti politiche diverse, abbiamo raccolto disponibilità e attenzione anche dal mondo delle imprese. Stiamo lavorando perché si attivi il Garante dei detenuti a livello comunale e provinciale.
Perché siamo convinti che molto si possa fare per la riduzione del danno. Per trasformare tutto il carcere nell’esempio dato dall’ex reparto femminile ad esempio, dove gli spazi per persona sono rispettati, dagli orti e dai laboratori che non riescono però a coinvolgere abbastanza persone per la carenza di personale e il sovraffollamento, dalla palestra o dal teatro che però non sono più utilizzabili.
Soprattutto abbiamo cercato di raccontare le storie di chi si conosce nel carcere. Perché sono storie che aprono gli occhi e fanno cambiare idea, distruggono i pregiudizi di chi è disposto a mettersi in discussione.
Questo sistema non è necessario, non è sostenibile, non è inevitabile e si può e si deve cambiare. E quando l’intero Consiglio Comunale si è alzato in piedi, in silenzio, per quella persona che si è tolta la vita a pochi minuti da dove noi ci riuniamo ho sentito la forza di una speranza, la possibilità di essere speranza. Possiamo davvero realizzare insieme un cambiamento. E per farlo dobbiamo essere uniti e coinvolgere molte più persone nella comprensione di quel che davvero accade dietro quelle mura.
A Opera ogni mese con alcuni di loro c’è la possibilità di percorrere un pezzo di cammino insieme verso la consapevolezza. A Monza, adesso, c’è la possibilità di fare passi avanti nella direzione della Giustizia.
*consigliera comunale a Monza



DESTRA IPOCRITA E BUGIARDA VUOLE PRIGIONI ILLEGALI. CARCERE: IL GOVERNO È FUORILEGGE E LO SA. NOI NON MOLLIAMO DI UN CENTIMETRO
Rita Bernardini su l’Unità del 26 luglio 2024

In Gran Bretagna (dove il sovraffollamento praticamente non c’è, visto che in 100 posti ci sono 98 detenuti) sono allarmati e si attivano per varare provvedimenti di liberazione anticipata. Ce lo ha raccontato sabato scorso Elisabetta Zamparutti nella pagina che Nessuno tocchi Caino cura ogni settimana su questo giornale. Questa attenzione al sovraffollamento tiene conto di una raccomandazione del Consiglio d’Europa secondo la quale se il tasso di occupazione carceraria supera il 90% della sua capacità, allora occorre subito correre ai ripari. E non si tratta solo del nuovo corso del governo laburista del primo ministro Starmer, l’attenzione al de-congestionamento delle celle c’è stata sempre, anche con i governi conservatori.
In Gran Bretagna non vogliono correre il rischio del sovraffollamento, qui da noi in Italia invece continuiamo ad alimentarlo (tanto che siamo al 130% con punte del 230%) pur sapendo benissimo che comporta trattamenti disumani e degradanti della popolazione detenuta e di chi in carcere ci lavora. Ce lo ha detto e continua a dircelo la Corte EDU con condanne umilianti, ma l’Italia, imperterrita, se ne frega.
Quanto è accaduto il 24 luglio scorso alla Camera dei deputati sulla proposta Roberto Giachetti/Nessuno Tocchi Caino sulla liberazione anticipata speciale avrebbe dell’incredibile e del vergognoso se non ci avessero tartassati da tempo con comportamenti istituzionali tanto inconcludenti quanto ipocriti: la maggioranza non ha avuto il coraggio né di dire SÌ né di dire NO, ha rinviato. Ha rinviato con la motivazione che occorre attendere che giunga alla Camera (dal Senato) il ddl di conversione del decreto Nordio "Carcere sicuro" perché - dicono - il disegno di legge toccherebbe lo stesso argomento di cui si occupa la proposta Giachetti. Niente di più falso: il decreto Nordio nulla ha a che fare con l’emergenza sovraffollamento e per comprenderlo basta leggere le premesse che argomentano le motivazioni di necessità e di urgenza che giustificano il decreto-legge. La parola sovraffollamento non figura proprio nel testo di tutto il decreto. Addirittura, alcune misure che il dec reto definisce di "razionalizzazione" di alcuni benefici e di "semplificazione" dell’accesso ai benefici, secondo diversi magistrati di sorveglianza rallenterebbero l’iter per ottenerli. Si rimanda dunque. Come se non ci trovassimo nel bel mezzo di una delle estati più torride degli ultimi decenni, come se dall’inizio dell’anno non ci fossero stati i 58 suicidi di detenuti e i 6 di agenti di polizia penitenziaria, come se centinaia di detenuti non avessero già tentato di farla finita, come se questo stato delle cose non soffiasse sul fuoco della violenza, delle rivolte, della mancanza di speranza. Quella speranza dei carcerati invocata in queste ore dal Presidente della Repubblica Mattarella, ancora una volta inascoltato. Quello che è certo è che non bisogna mollare di un millimetro semplicemente perché siamo dalla parte della ragione e del diritto. Lorsignori sanno - e lo sanno anche i magistrati che per pene brevi decidono il carcere anziché una misura alternativa o la custodia cautelare nei confronti di presunti innocenti - che la pena che si sconta nei nostri istituti penitenziari è una pena illegale che contrasta con la nostra Costituzione e con la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. Non si può comminare, sapendolo, una pena illegale. Ci impegneremo a farlo valere in ogni sede, anche giudiziaria.



MISSOURI (USA): SANDRA HEMME È STATA DICHIARATA INNOCENTE DOPO 44 ANNI DI CARCERE
Sandra Hemme è stata dichiarata innocente di un omicidio per il quale ha scontato 44 anni di carcere. All’epoca del processo la donna, dopo essersi inizialmente dichiarata innocente, decise di dichiararsi colpevole a patto che la pubblica accusa ritirasse la minaccia di farla condannare a morte.
Sandra Hemme, che oggi ha 64 anni, bianca, è stata scarcera il 19 luglio alle 17,50 dalla prigione di Chillicothe. È la donna ingiustamente incarcerata più a lungo negli Stati Uniti.
Il 14 giugno 2024, il giudice della Livingston Count, Ryan Horsman, ha annullato la condanna della Hemme per l'omicidio di Patricia Jeschke, avvenuto il 12 novembre 1980 a St. Joseph.
Nessun testimone ha collegato la Hemme all'omicidio, alla vittima o alla scena del crimine. Non aveva alcun movente per fare del male alla signora Jeschke, né vi erano prove che le due si fossero mai incontrate. Né alcuna prova fisica o forense collegava la signora Hemme all'omicidio. L'unica prova che ha collegato la Hemme al crimine è stata una sua confessione, ottenuta mentre era in cura presso l'ospedale psichiatrico statale, e sotto l’effetto di forti psicofarmaci che, secondo la difesa, “erano stati letteralmente progettati per sopraffare la sua volontà”.
Allo stesso tempo, il Dipartimento di Polizia di St. Joseph ha nascosto le prove contro Michael Holman, un poliziotto.
Holmann era stato sorpreso a usare la carta di credito della vittima il giorno dopo l'omicidio. Il suo furgone era stato visto parcheggiato vicino alla casa della vittima al momento dell'omicidio e lui era stato sorpreso a nascondere gli orecchini della vittima nella sua abitazione.
Nella sentenza del 14 giugno che ha annullato la condanna, il giudice Ryan Horsman, in un memorandum di 118 pagine, ha stabilito che le prove collegavano direttamente Holman all'omicidio, mentre non esistevano prove forensi, testimoni o moventi per coinvolgere la Hemme.
Hemme, ho proseguito il giudice, ha dimostrato la sua effettiva innocenza, in quanto “le uniche prove che collegano la signora Hemme al crimine sono le sue dichiarazioni incoerenti e smentite, dichiarazioni che sono state fatte mentre era in crisi psichiatrica e soffriva fisicamente”.
Nel frattempo, le prove che coinvolgevano l'agente di polizia erano così significative che “sarebbe difficile immaginare che lo Stato possa provare la colpevolezza della signora Hemme al di là di un ragionevole dubbio sulla base del peso delle prove ora disponibili che collegano Holman alla vittima e al crimine ed escludono la signora Hemme”.
Ai procuratori della contea di Buchanan erano stati concessi trenta giorni per concederle un nuovo processo o per ritirare le accuse. Ma il procuratore generale dello stato, il repubblicano Andrew Bailey, ha ostacolato il suo rilascio.
Durante l'udienza del 19 luglio, il giudice Horsman ha detto che se la Hemme non fosse stata rilasciata entro l'ora stabilita, voleva che Bailey stesso si presentasse in tribunale.
Ha anche rimproverato l'ufficio di Bailey per aver chiamato il direttore del carcere, e aver detto ai funzionari del carcere di non rilasciare Hemme anche dopo che la corte d'appello aveva confermato che poteva essere rilasciata.
“Suggerirei di non farlo mai”, ha detto Horsman, aggiungendo: “Chiamare qualcuno e dirgli di ignorare un ordine del tribunale è sbagliato”.
L'ingiusta condanna di Hemme ha prodotto il più lungo periodo di detenzione per una donna americana scagionata.
Hemme, ora nonna, vivrà con la sorella.
Il suo avvocato ha dichiarato che avrà bisogno di aiuto a causa del lungo periodo di detenzione e dell'impossibilità di accedere alla previdenza sociale.
(Fonte: The Innocence Project, 19/07/2024)



BIELORUSSIA: TEDESCO CONDANNATO A MORTE PER ‘ATTIVITÀ MERCENARIA’
Il ministero degli Esteri tedesco ha confermato il 19 luglio 2024 che un cittadino tedesco è stato condannato a morte in Bielorussia, affermando che Berlino è in intenso contatto con le autorità di Minsk sul caso.
Il ministero tedesco non ha identificato l'uomo, tuttavia il 19 luglio il gruppo per i diritti umani Vyasna, con sede a Minsk, ha identificato il condannato a morte come Rico Krieger.
Vyasna ha detto che Krieger, 30 anni, è stato arrestato nel novembre 2023, è stato processato lo scorso 6 giugno e condannato il 24 giugno dal tribunale regionale di Minsk.
Il gruppo per i diritti umani ha affermato che si tratta del primo processo in Bielorussia per "attività mercenaria".
Krieger è stato accusato anche di terrorismo, creazione di un gruppo estremista, danneggiamento intenzionale di un veicolo e operazioni illegali con armi da fuoco ed esplosivi.
Le autorità bielorusse non hanno commentato il caso e la corte ha rifiutato di fornire telefonicamente qualsiasi informazione sulla questione a RFE/RL.
Il ministero degli Esteri tedesco ha affermato che l'ambasciata tedesca sta fornendo "alla persona in questione sostegno consolare e sta lavorando intensamente con le autorità bielorusse per suo conto".
Secondo Vyasna le accuse sarebbero collegate al reggimento Kalinouski, un gruppo di esuli bielorussi antigovernativi che combattono per l'Ucraina. Il reggimento Kalinouski nega qualsiasi collegamento con il caso.
Krieger è nato a Berlino e ha lavorato come paramedico per la Croce Rossa tedesca, secondo Vyasna. Ha un figlio piccolo, che vive in Germania.
Krieger ha lavorato in precedenza come agente di sicurezza speciale per il Dipartimento di Stato americano a Berlino, dove ha acquisito esperienza in operazioni di sicurezza armata. Successivamente si è trasferito nel campo dell'assistenza sanitaria e ha lavorato come infermiere specializzato in cure mediche di emergenza.
(Fonte: RFE/RL, 19/07/2024)

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